Marchionne parla nello
stabilimento del Ducato, dove la presidente della Camera Boldrini non è voluta
andare. «Gli ultimi investimenti ad Atessa, ma dopo la sentenza della Consulta
il resto è congelato». Però apre alla Fiom
«La sentenza della
Consulta aggiunge incertezze: senza regole certe, quello della Sevel è l’ultimo
investimento della Fiat». Parla più che chiaro l’amministratore delegato del
Lingotto, Sergio Marchionne, davanti alla platea degli operai dello stabilimento
di Atessa, dove il gruppo torinese realizza i furgoni Ducato. Quello stesso
impianto dove aveva invitato la presidente della Camera Laura Boldrini,
ricevendo un netto rifiuto: uno solo dei numerosi schiaffi dell’ultima
settimana. Prima c’era stata la sentenza della Corte costituzionale, appunto,
che aveva cancellato parte dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori,
riammettendo le Rsa Fiom nelle fabbriche. Subito dopo, Boldrini aveva ricevuto
una delegazione delle tute blu Cgil a Montecitorio. Infine, la polemica con il
vescovo di Nola, che aveva abbracciato i cassintegrati a un presidio: «Sostiene
i violenti», la stilettata del management. E così, ieri, il super dirigente
italo-canadese (e adesso anche Usa) si è tolto diversi sassolini dalle scarpe.
Marchionne ha
articolato il suo pensiero, precisandolo più tardi nel corso di un incontro con
i leader di Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. «Non lasciamo gli
stabilimenti europei in balia di un mercato in declino: investiamo in Italia
per preservare l’ossatura manifatturiera del Paese», aveva detto agli operai di
Atessa. E su Mirafiori, stabilimento realmente in declino e per ora senza
prospettiva, su cui aveva lanciato un allarme qualche giorno fa il ministro
dello Sviluppo Flavio Zanonato: gli interventi a «Torino arriveranno quando
saremo pronti». ha detto.
Gli investimenti,
comunque, saranno congelati in attesa di un chiarimento sulle relazioni
sindacali dopo la sentenza della Consulta, e toccherà anche al governo dire la
sua: «Non vogliamo mettere in discussione gli investimenti già annunciati, ma
non possiamo accettare il boicottaggio dei nostri impegni, avallati anche da
autorevoli istituzioni (chiaro il riferimento alla Consulta, ndr). È importante
che questo governo proponga qualche soluzione, ci dica quali sono le nuove
norme che vanno a rimpiazzare l’articolo 19».
Dopo l’incontro con
l’ad Fiat, è stato Luigi Angeletti ad aggiungere nuovi elementi, spiegando che
anche con loro Marchionne ha ripetuto di voler fermare per ora lo stanziamento
di nuove risorse sugli impianti italiani: «Marchionne ci ha comunicato che, in
assenza di norme certe, la Fiat fermerà gli investimenti a Mirafiori e a
Cassino», ha detto il segretario Uil.
In ogni caso, gli
investimenti per Atessa (almeno quelli) per il momento sembrano garantiti:
«Oltre 700 milioni di euro per estendere e consolidare la supremazia Sevel», ha
detto pomposamente Marchionne. E poi è arrivato il turno della lamentela: «Tra
il 2004 e il 2012 abbiamo investito in Italia 23,5 miliardi, e ricevuto
agevolazioni per 742 milioni. È assurdo dire che viviamo alle spalle dello
Stato – ha affermato – Noi continuiamo a credere e a investire in Italia». Un
anelito di «patriottismo» che da solo non riesce a fugare le preoccupazioni
sugli stabilimenti del nostro paese – tutti in cassa integrazione – e sul
progressivo spostamento della «testa» (come anche delle produzioni) del gruppo
Fiat all’estero.
Ma non è finita qui,
perché in realtà il deus ex machina della Fiat ha pure aperto alla Fiom,
affermando di essere disponibile a incontrare il segretario Maurizio Landini,
suo tradizionale antagonista. I metalmeccanici Cgil ultimamente, dopo la
sentenza della Consulta, forti probabilmente della vittoria, ma insieme
preoccupati per lo stato della Fiat e dell’indotto (dove la cig fiocca e si
temono licenziamenti), avevano aperto uno spiraglio al dialogo: l’«amo» lo
aveva gettato un ex Fiom, oggi senatore di Sel, Giorgio Airaudo, in una
intervista alla Repubblica di qualche giorno fa. Airaudo ammetteva che errori
potevano esserci stati da entrambi i fronti e che sarebbe stato importante per
tutti arrivare al dialogo. A questo «abbocco» è seguita una lettera di Landini
a Marchionne, dove si chiede un incontro. Quindi nuovi spiragli.
E, ieri, la risposta
dell’ad Fiat: «Di sicuro li incontreremo, ma non so dire se si tratti di
un’apertura – ha detto Marchionne riferendosi alla lettera della Fiom – Credo
semmai sia una mossa, ma confermo che li incontreremo». E ancora: «Siamo più
che disponibili a incontrare la Fiom, ma partendo dal dato acquisito che non
possono essere messi in discussione gli accordi presi dalla maggioranza. Li
incontreremo con la speranza che anche loro riconoscano che in gioco c’è la
possibilità di far rinascere il sistema industriale. Il Paese ha bisogno di
ritrovare la pace sindacale se vogliamo far ripartire lo sviluppo. Dobbiamo
tornare a un sano senso del dovere: per avere bisogna anche dare». Con una
chiusa finale, che certamente farà discutere: «Lasciatemi dire che i diritti
sono sacrosanti e vanno tutelati. Se però continuiamo a vivere di soli diritti,
di diritti moriremo».