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giovedì 29 marzo 2012

Fiat, quando l'azienda è la fedele imitazione del Gulag. La testimonianza di un'operaia

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È Stefania Fantauzzi, rappresentante sindacale della Fiom Cgil,a spiegarci tutto quello che in Fiat, a Termoli e in Italia, sta cambiando in peggio. Impossibile ammalarsi, impossibile dissentire dalle prescrizioni del nuovo contratto aziendale voluto da Marchionne e impossibile essere mamma, voler seguire i propri figli e rispettare tutte le regole che l’azienda impone. Stefania ci ha parlato anche di articolo 18 definendo le sue modifiche “la fine della democrazia”
Figli da seguire, orari di fabbrica da rispettare e operaie da ascoltare. È questa in sintesi la vita di una sindacalista Fiom Cigl della Fiat di Termoli. E Stefania Fantauzzi ha voluto proprio denunciare tutto quello che accade all’interno della fabbrica di Rivolta del Re e in generale anche negli altri stabilimenti Fiat italiani. Una situazione che nessuno oserebbe immaginare perché in pochi hanno il coraggio di parlare. Con i nuovi contratti che Marchionne ha fatto firmare, così ha esordito Stefania “è vietato dissentire, chi lo fa rischia quotidianamente di andare a casa”. “Un bel giorno - ci ha raccontato con la rabbia di chi vuole che le cose cambino - ci hanno messi davanti a uno schermo e ci hanno illustrato i nuovi contratti. Lo hanno fatto gente con la giacca e la cravatta che non si è mai sporcata, come me e come tanti altri, le mani con i macchinari della catena di montaggio”.
La nostra curiosità è andata naturalmente sul tipo di contratto che è stato somministrato agli operai. E la nostra donna coraggiosa, senza peli sulla lingua, ci ha spiegato tutto.
“Ci hanno chiesto maggiore flessibilità tutto questo con un numero minore di operai in fabbrica. Hanno aumentato la possibilità di fare ore di straordinario, da 40 di prima alle 120 di oggi. Ma la cosa strana è che te le possono chiedere anche durante la pausa mensa se dovessero servire. Con il contratto vecchio venivano pagate il 50% in più rispetto a quelle ordinarie. Ora, mentendo, hanno detto che verranno aumentate al 70%. Ma questo avviene soltanto se arrivi alle terza ora della giornata. Le prime due hanno una maggiorazione del solo 25%. Tutto questo togliendo il tempo al recupero fisico di cui ciascun operaio ha bisogno. Usano una nuova metodologia imparata in Giappone dove sul posto di lavoro bisogna tenere tutto a portata di mano per stancarsi di meno. Ma questo serve soltanto ad aumentare la produzione non ad agevolare il lavoro degli operai della catena di montaggio. Noi siamo stati robotizzati. Ogni giorno quando si va sul posto di lavoro c’è una voce meccanica che ti dice tutto quello che devi fare. E’ un qualcosa che nessuno avrebbe immaginato anni fa prima che arrivasse Marchionne”.
Dopo dichiarazioni forti come queste era logico chiedere alla nostra operaia cosa pensasse lei e quale fosse la posizione del suo sindacato sulla riforma dell’articolo 18 che tutela(va) i lavoratori dai licenziamenti facili.
“Qua di sicuro si vuole imbrogliare qualcuno. Questa riforma è la fine di un percorso di azioni illegittime del Governo Monti. Si crea così una società dove non esiste la democrazia. L’articolo 18 dovrebbe proteggere dai licenziamenti arbitrari e discriminatori. Era nato per difendere tre operai di Melfi licenziati senza giusta causa reintegrati a lavoro da una sentenza del Tribunale. Questa è una situazione che non va bene non soltanto per gli operai Fiat ma per tutti quelli che ogni giorno devono poter garantire la propria sopravvivenza e quella della loro famiglia. La cosa scandalosa è che si può licenziare se la fabbrica ha problemi economici. Altrettanto grave è il taglio che si fa sugli ammortizzatori sociali. Con le leggi precedenti si veniva assistiti per sette anni ora dopo due anni, se non trovi altra occupazione, non puoi più vivere. Non si tratta di benessere ma di pane quotidiano. Ora è più grave rispetto agli anni 40. In quei tempi se si veniva licenziati ci si dedicava all’agricoltura. Dopo 70 anni abbiamo venduto anche le terre e senza lavoro si rischia di non poter sfamare la nostra famiglia. Con il nuovo articolo 18 accade anche un’altra cosa gravissima. Prima era il giudice a decidere se reintegrare o meno il lavoratore. Ora è l’azienda che può licenziare arbitrariamente, solo se un operaio (a responsabilità individuale) sceglie di non condividere alcune parti del proprio contratto di lavoro. A venir penalizzato è soprattutto il sindacalista che lotta. Il quale difficilmente viene reintegrato dopo essere stato licenziato. Se fai parte di un sindacato dissidente come la Fiom nelle commissioni di fabbrica dove ci sono i sindacati aziendali nemmeno ti ascoltano”.
Ad una donna così non potevamo non chiedere se esistono differenze di trattamento sul posto di lavoro tra operai e operaie. Stefania non si smentisce e anche su questo argomento mostra tutta la sua grinta di lottatrice.
“È ovvio che sia così. Innanzitutto gli uomini finiscono di lavorare e vanno a dormire per noi il recupero fisico è più difficile. Per questo riscuotiamo meno fiducia da parte del capo quando si tratta di far carriera. Solo il fatto che noi possiamo decidere di avere un figlio li spaventa. Ma io sono convinta di una cosa, i nostri figli sono il futuro della nostra società. Trascurare un bambino oggi significa creare un uomo con problemi domani. Non stargli accanto significa non rispettarlo. Un'operaia come me guadagna mille euro al mese. Per far stare bene i miei figli ho dovuto mandarli negli asili privati di Termoli, dove la retta costa 350 euro al mese per ognuno di loro. Per fortuna i miei tre bambini hanno età diverse e quindi non dovevano stare all’asilo tutti e tre insieme. In passato per il fatto di essere mamma ho avuto un’agevolazione di orario. Iniziavo a lavorare alle 7.45 e smettevo alle 16.15 Anche con quegli orari avevo difficoltà ad accompagnare mia figlia a scuola. A Termoli in nessun istituto scolastico le lezioni iniziano prima delle 8. Non esisteva modo di far collimare gli orari con quelli della Fiat. Ma ora per le donne Fiat è tutto finito nonostante siamo solo il 10% quelle con figli che avrebbero bisogno di questi orari. Nessuno capisce che è difficilissimo far lavorare una mamma su tre turni. Lavorare di notte significa far dormire i propri bambini da soli e dormire solo tre ore per poterli seguire. Andare in fabbrica nel turno pomeridiano invece vuol dire non vederli uscire da scuola (si inizia a lavorare alle 13.30) e non poterli seguire nelle loro attività”.
Ma la novità delle ultime ore è che in Fiat è vietato ammalarsi. È la stessa Stefania che ci illustra il problema dopo aver preso confidenza con il nostro organo di stampa
“Ora ci sono nuovi turni e nuovi metodi di lavoro che hanno abbassato la possibilità di assentarsi dalla fabbrica. Il numero massimo di assenze tollerate si è notevolmente abbassato. La novità è che si riunisce una commissione sulla malattia che valuta situazione per situazione. E per chi chiede un numero di giorni inferiore ai sei è solo l’Inps a pagare la sua quota. Quello che spetta all’azienda viene scalato dallo stipendio. Ma accade anche che chi si ammala per periodi lunghi non ha diritto al premio di produzione di 600 euro che la Fiat mette a disposizione”.
Le situazioni appena descritte  non lasciano spazio a dubbi. La maggiore azienda automobilistica italiana ha cambiato il modo di rapportarsi con i propri dipendenti. Ai lettori tocca ora capire se in bene o in male.
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martedì 27 marzo 2012

val basento Su 1322 lavoratori 951 si sono ammalati

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Sconvolgenti i dati dell'indagine sanitaria del dottor Lobuono. "A coloro che sono entrati in contatto con l'amianto devono aggiungersi i potenziali contaminati" 
Fino alla fine degli anni '80 l'Italia è stato in Europa il secondo paese produttore d'amianto dopo l'Unione Sovietica. Dalla fine della seconda guerra mondiale sino al bando definitivo della fibra killer nel nostro paese si sono prodotte 3.448.550 tonnellate di amianto grezzo. Nel '83 una direttiva comunitaria obbligò a predisporre il registro dei casi accertati di asbestosi e mesotelioma, evidenziando la correlazione tra esposizione all'amianto e patologie polmonari e non solo. Nel '91 l'Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, ndr), dal 2010 assorbito dall'Inail (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ndr), concordò con le Regioni l'adozione di alcuni standard operativi comuni, l'istituzione di Centri operativi regionali (Cor, ndr) con compiti di attivazione, controllo e trasmissione e ricezione dei flussi informativi inerenti la sorveglianza sanitaria dei casi di mesotelioma verso e dall'Istituto Prevenzionale Centrale. Cor a cui venne dato anche il compito d'istituire il Registro nazionale dei casi di mesotelioma (Re.Na.M, ndr), al fine di raccogliere e quantificare dati sull'esposizione sia di ordine occupazionale, sia di contaminazione ambientale. Obbiettivo che oggi non riguarda solo la problematica amianto ma anche esposizioni ad altri prodotti utilizzati nei processi industriali e soprattutto, i possibili effetti collaterali da diverse fonti di contaminazione. Facciamo il punto sulla situazione lucana.

Inquinamento tra esposizione diretta e indiretta. A cosa serve la sorveglianza sanitaria è presto detto. A prevenire. Evitando che patologie in fase iniziale diventino incurabili. All'Ospedale di Matera parte nell'aprile del 2006 e riguarda alcuni dipendenti della ex Materit di Ferrandina, una fabbrica che produceva manufatti in cemento-amianto. Si trattava d'uno sparuto gruppo di ex lavoratori che prima andava a farsi visitare a Bari, e ai quali, poco dopo, s'associarono i lavoratori della Ferrosud di Matera. Elenco che dopo l'intervento dell'Aiea Vba arrivò a oltre 200 lavoratori ex esposti provenienti anche dallo stabilimento Enichem di Pisticci Scalo. “Purtroppo – ricorda Francesco Paolo Lobuono dell'Unità Operativa del lavoro e antinfortunistica dell'Ospedale Maria delle Grazie di Matera che, assieme al San Carlo di Potenza, fa parte delle strutture di riferimento del Re.na.m C.o.r Basilicata – non ne vedevamo parecchi di lavoratori della Materit perché molti di loro erano morti prima d'arrivare al nostro controllo. La cosa che ci ha stupito è che quando abbiamo cominciato a prendere in considerazione i soggetti dell'Enichem si è aperto un vaso di Pandora. Sono venuti fuori tanti soggetti che alla prima visita già avevano problemi molto seri senza che se ne fossero accorti”. I risultati del monitoraggio portati avanti sono “sconvolgenti”, ribadisce lo stesso Lobuono sottolineando che lo studio sull'esposizione all'amianto, dall'aprile 2006 al dicembre 2011 ha sottoposto a sorveglianza sanitaria 1322 ex lavoratori ma eseguito complessivamente 2085 visite perché, per oltre 700 persone, sono stati necessari controlli molto più ravvicinati in quanto sono state scoperte patologie alla prima visita.

Tra gli indicatori importanti per avere un quadro della situazione nel materano troviamo la residenza. Le persone monitorate per la maggior parte provengono da Matera, Pisticci, Bernalda e Ferrandina. Altro indicatore è lo stato civile, poiché si deve tener conto del fatto che i lavoratori, tornando a casa con indumenti contaminati, hanno probabilmente causato un'esposizione indiretta a mogli e figli. “In quel periodo – ricorda ancora Lobuono – la natalità media era di 2,3, dunque alle mogli bisogna aggiungere mediamente due figli esposti ad amianto quando questi soggetti tornavano a casa”. Altri indicatori sono l'età media, i luoghi e i tempi di lavoro. In quest'ultimo caso oltre al numero spropositato dei lavoratori della Ferrosud di Matera e di innumerevoli aziende edili, i dati, ricorda Lobuono, mostrano come la maggior parte degli ex lavoratori sottoposti a sorveglianza proviene da società operative a Pisticci Scalo che orbitavano intorno alla multinazionale Eni spa come Enichem, Anic, Carbon Valley, Omcm, Tecnoparco, Snia, Tucam, Lamitel, Inca, Fapak, Cfp, Caffaro. Ma anche da aziende dell'area di Ferrandina come Liquichimica, Impes Group, Materit. Infatti nella zona di Pisticci hanno lavorato1236 delle persone monitorate, a Ferrandina 189, Matera 399, Policoro 57. Le diagnosi patologiche correlate a esposizione all'amianto mostrano 208 soggetti con placche pleuriche, 27 con asbestosi conclamata, 198 con noduli  sospetti dei quali 23 sono poi risultati tumori polmonari. 248 sono le placche pleuriche denunciate all'Inail. I dati dell'Aiea Vba registrano invece oltre 270 casi, e tra questi 170 decessi tra i lavoratori ex dipendenti dell'Enichem, 30 legati a carcinomi polmonari, 7 mesoteliomi e tante altre patologie.

La storia che si ripeteNel '79 il parlamentare Saverio D'Amelio, oggi Sindaco di Ferrandina, dichiarò, a seguito della crisi che colpì la Cemater, di essere consapevole della cancerogenicità dell'amianto però per quel prodotto c'era ancora mercato, pertanto, visto lo stato dei lavoratori e l'agitazione sociale all'epoca in corso insistette sul continuare quella produzione di morte. Produzione continuata sotto sigle societarie diverse sino al '89, anno in cui alcuni cittadini fecero una denuncia per smaltimento illecito di amianto all'interno dello stabilimento. Denuncia a seguito della quale non poterono uscire per diversi giorni di casa perché rischiarono di essere linciati. Il processo che ebbe luogo e che vide imputati i responsabili dello stabilimento difesi dall'avvocato Emilio Nicola Buccico si concluse con l'assoluzione per non aver commesso il fatto. Tra gli elementi che comportarono la caduta del capo di imputazione vi furono sia l'assenza di testimonianze degli operai, probabilmente vessati da pressioni lavorative, sia le perizie tecniche prodotte dagli imputati, e addirittura dal perito della Procura. Entrambe stabilirono che quell'amianto non era cancerogeno. E così che si chiuse nel '94 il processo. E assieme a esso la storia dei lavoratori che oggi devono fare causa all'Inail.

Solo nel 2000 l'Arpab ammette che l'amianto lavorato alla Materit era cancerogeno. Ma intanto cosa è cambiato?La Regione Basilicata aveva autorizzato assieme al Comune di Ferrandina la costruzione d'una discarica accanto al fiume, fatta poi da imprese locali. Contemporaneamente sorse il problema della chimica della Valle del Basento. Chimica che in quel periodo voleva dire Eni spa. C'era infatti il problema d'una zona contaminata da rifiuti di processo industriale molto vasta, e il Comune di Ferrandina risolse la cosa attraverso un comitato tecnico che stabilì come l'unica soluzione possibile era confinare l'area. In pratica scaricare lì perché sarebbe stato troppo costoso andare a smaltire i rifiuti tossici dei processi industriali dove era corretto farlo. Anche in questo caso furono creati accumuli lungo l'alveo del Basento. Anche in questo caso, come per la Materit, le piene potevano portarsi via i rifiuti tossici accumulati. La zona, oggi chiamata area diaframmata, rappresenta purtroppo la minima parte di una zona ben più vasta di contaminazione ambientale, tant'è che nel 2000 il Consorzio industriale di Matera, che si era comprato nel frattempo tutti i  lotti inquinati dall'Eni, affidò allo Studio Omega la caratterizzazione dell'area di Pisticci Scalo e dell'ex Liquichimica di Ferrandina, da cui risultò un pesante inquinamento da mercurio. Nel 2003 la Valbasento diventa Sito di interesse nazionale da bonificare e nel 2004 il Comune di Ferrandina riceve 500 mila euro per mettere in sicurezza la ex Materit. Operazione affidata a un geometra e all'imprenditore locale, come confermato dalla Geogav srl che caratterizzò l'area, che mai avevano fatto lavori in tal senso e che lo stesso Nedo Biancani, dello Studio Omega, ricorda come non sapessero nemmeno da dove cominciare. Così invece di eliminare alla fonte l'origine dell'inquinamento i soldi furono spesi in progettazione, tanto che il Ministero dell'Ambiente arrivò a chiedere al Comune lo stato dei lavori e un “quadro economico” definitivo per far luce sulle spese. La Materit restò invece lì assieme ai 550 big bags solo nel capannone, perché all'esterno risulta una contaminazione del suolo che arriva anche a toccare punte di 62 mila volte oltre i limiti normativi, oltre l'inquinamento della falda da tricoletilene e altri cancerogeni. Una pietra tombale sulla salute del territorio e delle comunità limitrofe.

"Meglio morire di cancro fra vent'anni che morire di fame ora"

Sui motivi dell'abbandono della bonifica, Anna Maria Dubla, presidente dell'Associazione Ambiente e Legalità, ricorda bene la logica distorta in cui “i lavoratori vengono prima” perché, riprendendo una frase detta dallo stesso sindaco D'Amelio all'epoca dei fatti Materit, “è meglio morire di cancro tra vent'anni che di fame ora”. Così il comune di Ferrandina abbandonò la bonifica per dedicarsi alla Mythen spa, cioè alla famiglia Falciola, mandata sotto processo a Milano con una condanna per bancarotta fraudolenta a 5 anni. Motivo? “S'erano fregati – continua la Dubla – i soldi per fare la bonifica dei loro stessi siti inquinati”. Nel frattempo sbarcano in Basilicata si prendono i capannoni della ex Industrie resine speciali (Irs, ndr), prima ancora Liquichimica che aveva già lasciato uno scempio ambientale, e si tengono addirittura i vecchi macchinari Irs degli anni '70 per fare biodiesel. Come si sono potuti utilizzare macchinari non consoni a produzioni di combustibili di nuova generazione non è dato saperlo. La Mythen comunque, di cui l'Arpab recentemente ha analizzato ed evidenziato la contaminazione prodotta dalle acque di processo e di cui abbiamo anche parlato e mostrato con un servizio modalità non proprio consone di scarico, nasce con l'obbligo di fare la bonifica dei terreni e delle acque di falda per la contaminazione da mercurio. Un fatto che “dimostra – ricorda la Dubla – come l'area ex Liquichimica non era stata per niente bonificata”. La società eseguì una caratterizzazione e bonifica di appena 200 metri quadri di terreni dello stabilimento. Nulla per le acque di falda. Nel 2006 venne denunciata dopo l'intervento del Corpo Forestale che accertò nel canale di scarico fango da idrocarburi e mercurio. Da dove era arrivato? Al sequestro seguì pochi mesi dopo il dissequestro da parte del Pm. Motivo? L'Arpab aveva dimenticato d'inviare tutte le analisi, consegnando solo quelle relative a BO2 e CO2, i cui superamenti erano stati depenalizzati dall'ex governo Berlusconi. Per cui multa senza responsabilità penali. Negli anni a seguire si è continuato a produrre inquinamento e non solo, rimarca l'associazione di Ferrandina, perché nonostante la Mythen spa abbia giustificato con il malfunzionamento del depuratore “questi accadimenti sono uno dietro l'altro fino al 2012”. Una questione, quella ambientale in Basilicata, che  – conclude Dubla – “si risolve con la magistratura poiché è sempre valido il concetto chi inquina paga”. Sarà, ma non sembra.

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Fiat, quando l'azienda è la fedele imitazione del Gulag. La testimonianza di un'operaia

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È Stefania Fantauzzi, rappresentante sindacale della Fiom Cgil,a spiegarci tutto quello che in Fiat, a Termoli e in Italia, sta cambiando in peggio. Impossibile ammalarsi, impossibile dissentire dalle prescrizioni del nuovo contratto aziendale voluto da Marchionne e impossibile essere mamma, voler seguire i propri figli e rispettare tutte le regole che l’azienda impone. Stefania ci ha parlato anche di articolo 18 definendo le sue modifiche “la fine della democrazia”
Figli da seguire, orari di fabbrica da rispettare e operaie da ascoltare. È questa in sintesi la vita di una sindacalista Fiom Cigl della Fiat di Termoli. E Stefania Fantauzzi ha voluto proprio denunciare tutto quello che accade all’interno della fabbrica di Rivolta del Re e in generale anche negli altri stabilimenti Fiat italiani. Una situazione che nessuno oserebbe immaginare perché in pochi hanno il coraggio di parlare. Con i nuovi contratti che Marchionne ha fatto firmare, così ha esordito Stefania “è vietato dissentire, chi lo fa rischia quotidianamente di andare a casa”. “Un bel giorno - ci ha raccontato con la rabbia di chi vuole che le cose cambino - ci hanno messi davanti a uno schermo e ci hanno illustrato i nuovi contratti. Lo hanno fatto gente con la giacca e la cravatta che non si è mai sporcata, come me e come tanti altri, le mani con i macchinari della catena di montaggio”.
La nostra curiosità è andata naturalmente sul tipo di contratto che è stato somministrato agli operai. E la nostra donna coraggiosa, senza peli sulla lingua, ci ha spiegato tutto.
“Ci hanno chiesto maggiore flessibilità tutto questo con un numero minore di operai in fabbrica. Hanno aumentato la possibilità di fare ore di straordinario, da 40 di prima alle 120 di oggi. Ma la cosa strana è che te le possono chiedere anche durante la pausa mensa se dovessero servire. Con il contratto vecchio venivano pagate il 50% in più rispetto a quelle ordinarie. Ora, mentendo, hanno detto che verranno aumentate al 70%. Ma questo avviene soltanto se arrivi alle terza ora della giornata. Le prime due hanno una maggiorazione del solo 25%. Tutto questo togliendo il tempo al recupero fisico di cui ciascun operaio ha bisogno. Usano una nuova metodologia imparata in Giappone dove sul posto di lavoro bisogna tenere tutto a portata di mano per stancarsi di meno. Ma questo serve soltanto ad aumentare la produzione non ad agevolare il lavoro degli operai della catena di montaggio. Noi siamo stati robotizzati. Ogni giorno quando si va sul posto di lavoro c’è una voce meccanica che ti dice tutto quello che devi fare. E’ un qualcosa che nessuno avrebbe immaginato anni fa prima che arrivasse Marchionne”.
Dopo dichiarazioni forti come queste era logico chiedere alla nostra operaia cosa pensasse lei e quale fosse la posizione del suo sindacato sulla riforma dell’articolo 18 che tutela(va) i lavoratori dai licenziamenti facili.
“Qua di sicuro si vuole imbrogliare qualcuno. Questa riforma è la fine di un percorso di azioni illegittime del Governo Monti. Si crea così una società dove non esiste la democrazia. L’articolo 18 dovrebbe proteggere dai licenziamenti arbitrari e discriminatori. Era nato per difendere tre operai di Melfi licenziati senza giusta causa reintegrati a lavoro da una sentenza del Tribunale. Questa è una situazione che non va bene non soltanto per gli operai Fiat ma per tutti quelli che ogni giorno devono poter garantire la propria sopravvivenza e quella della loro famiglia. La cosa scandalosa è che si può licenziare se la fabbrica ha problemi economici. Altrettanto grave è il taglio che si fa sugli ammortizzatori sociali. Con le leggi precedenti si veniva assistiti per sette anni ora dopo due anni, se non trovi altra occupazione, non puoi più vivere. Non si tratta di benessere ma di pane quotidiano. Ora è più grave rispetto agli anni 40. In quei tempi se si veniva licenziati ci si dedicava all’agricoltura. Dopo 70 anni abbiamo venduto anche le terre e senza lavoro si rischia di non poter sfamare la nostra famiglia. Con il nuovo articolo 18 accade anche un’altra cosa gravissima. Prima era il giudice a decidere se reintegrare o meno il lavoratore. Ora è l’azienda che può licenziare arbitrariamente, solo se un operaio (a responsabilità individuale) sceglie di non condividere alcune parti del proprio contratto di lavoro. A venir penalizzato è soprattutto il sindacalista che lotta. Il quale difficilmente viene reintegrato dopo essere stato licenziato. Se fai parte di un sindacato dissidente come la Fiom nelle commissioni di fabbrica dove ci sono i sindacati aziendali nemmeno ti ascoltano”.
Ad una donna così non potevamo non chiedere se esistono differenze di trattamento sul posto di lavoro tra operai e operaie. Stefania non si smentisce e anche su questo argomento mostra tutta la sua grinta di lottatrice.
“È ovvio che sia così. Innanzitutto gli uomini finiscono di lavorare e vanno a dormire per noi il recupero fisico è più difficile. Per questo riscuotiamo meno fiducia da parte del capo quando si tratta di far carriera. Solo il fatto che noi possiamo decidere di avere un figlio li spaventa. Ma io sono convinta di una cosa, i nostri figli sono il futuro della nostra società. Trascurare un bambino oggi significa creare un uomo con problemi domani. Non stargli accanto significa non rispettarlo. Un'operaia come me guadagna mille euro al mese. Per far stare bene i miei figli ho dovuto mandarli negli asili privati di Termoli, dove la retta costa 350 euro al mese per ognuno di loro. Per fortuna i miei tre bambini hanno età diverse e quindi non dovevano stare all’asilo tutti e tre insieme. In passato per il fatto di essere mamma ho avuto un’agevolazione di orario. Iniziavo a lavorare alle 7.45 e smettevo alle 16.15 Anche con quegli orari avevo difficoltà ad accompagnare mia figlia a scuola. A Termoli in nessun istituto scolastico le lezioni iniziano prima delle 8. Non esisteva modo di far collimare gli orari con quelli della Fiat. Ma ora per le donne Fiat è tutto finito nonostante siamo solo il 10% quelle con figli che avrebbero bisogno di questi orari. Nessuno capisce che è difficilissimo far lavorare una mamma su tre turni. Lavorare di notte significa far dormire i propri bambini da soli e dormire solo tre ore per poterli seguire. Andare in fabbrica nel turno pomeridiano invece vuol dire non vederli uscire da scuola (si inizia a lavorare alle 13.30) e non poterli seguire nelle loro attività”.
Ma la novità delle ultime ore è che in Fiat è vietato ammalarsi. È la stessa Stefania che ci illustra il problema dopo aver preso confidenza con il nostro organo di stampa
“Ora ci sono nuovi turni e nuovi metodi di lavoro che hanno abbassato la possibilità di assentarsi dalla fabbrica. Il numero massimo di assenze tollerate si è notevolmente abbassato. La novità è che si riunisce una commissione sulla malattia che valuta situazione per situazione. E per chi chiede un numero di giorni inferiore ai sei è solo l’Inps a pagare la sua quota. Quello che spetta all’azienda viene scalato dallo stipendio. Ma accade anche che chi si ammala per periodi lunghi non ha diritto al premio di produzione di 600 euro che la Fiat mette a disposizione”.
Le situazioni appena descritte  non lasciano spazio a dubbi. La maggiore azienda automobilistica italiana ha cambiato il modo di rapportarsi con i propri dipendenti. Ai lettori tocca ora capire se in bene o in male.
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venerdì 23 marzo 2012

Comunicato StampaRifondazione Comunista di Pomarico per il reddito minimo garantito.

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In un momento storico in cui l’unica regola di vita pare essere la lotta tra poveri atta a favorire sempre più il privilegio dei ricchi, Rifondazione Comunista di Pomarico,assieme ad altri soggetti politici,movimenti ed esponenti della società civile, aderisce alla proposta di legge per il Reddito minimo Garantito. Non è vero che, dalla crisi,si esce solo da destra,non è vero che l’unica guida possibile può essere un sistema d’interesse economico bancario con riferimenti nella peggiore espressione del capitalismo italiano e non è vero che l’indice di sopravvivenza collettiva debba essere forzatamente inversamente proporzionale alla perdita di dignità individuale. In quest’ottica il nostro partito sostiene una proposta di legge regionale di iniziativa popolare atta a scardinare uno stato di cose che,favorendo una permanenza di una parte sempre più rilevante della popolazione in uno stato di indigenza,punta a favorire sempre più una zona d’ombra in cui agiscono clientelismi e perdita della cognizione di diritto. Puntare ad un reddito minimo,oltre ad essere indice di una ritrovatà civiltà,è anche un intervento in favore di chi,ormai da tempo,ha perso la propria libertà in favore di scambi per lasciarsi vivere.Per questi motivi Rifondazione Comunista di Pomarico è impegnata già dagli scorsi giorni nella raccolta firme  che proseguirà anche con iniziative di informazione e divulgazione sulla campagna.

Pomarico 21 marzo 2012                                       Rifondazione Comunista di Pomarico
Giovanni Rivecca



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giovedì 22 marzo 2012

Il lungo calvario dell’articolo 18 e gli operai di Melfi a Palazzo Madama

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È il tormentone dell’inverno, l’articolo 18. Per la società civile si tratta di una garanzia conquistata dopo anni di dure lotte, eppure in questi giorni si torna a manifestare per la tutela degli operai dai licenziamenti facili. Lo ha fatto la FIOM il 9 marzo scorso a Roma: Maurizio Landini in testa, l’Italia dei Valori con Felice Belisario… la mesta astensione del Partito Democratico.
Tra i manifestanti, arrivati da diverse regioni d’Italia, anche gli operai FIAT “SATA” di S. Nicola di Melfi, nuovamente reintegrati da una sentenza che Marchionne si ostina ad ignorare; per loro l’invito a Palazzo Madama giunge dal presidente dei senatori IDV Belisario.
Giovedì 15 marzo la delegazione FIOM arriva al Senato per assistere ad una delle tante discussioni sulla riforma del lavoro. Fuori dall’aula sono stati lasciati soprabiti, cellulari, borse e macchine fotografiche; è vietato anche l’uso di carta e penna e agli interventi degli onorevoli non è consentito dissentire né applaudire, poiché “ …il pubblico deveessere super partes!”, come ammonisce un addetto alla sorveglianza ad uno dei delegati, che sorpreso ironizza “…ma noi non siamo un pubblico, siamo il popolo!”.
Le loro testimonianze vengono raccolte alle 14:00, in una conferenza stampa dell’IDV tenutasi nella sala Nassirya: l’Onorevole Belisario apre la conferenza indossando la felpa della FIOM e lamentando la scarsa trasparenza del ministro Elsa Fornero sulle intenzioni di FIAT in Italia. Pur sottolineando l’importanza dell’azienda nel Paese, mette in evidenza anche i vincoli che essa ha nei confronti dello Stato e il debito con gli operai, senza i quali non sarebbe diventata detentrice di
quel potere economico che Marchionne tenta di usare per portare a proprio vantaggio i percorsi giudiziari.
Intervengono anche i senatori Giuliana Carlino, Francesco Pardi ed Elio Lannutti, che trattiene a stento un velo di commozione ricordando il suo passato da operaio.
Ma a commuovere l’intera aula sono gli operai, veri protagonisti della conferenza: Giovanni Barozzino, sindacalista FIOM e Marco Pignatelli che del sindacato ha solo la tessera. Accusati di aver fermato un carrello in azienda durante uno sciopero e licenziati con Antonio Lamorte, anche lui sindacalista, assente per problemi di salute dovuti allo stress subìto a causa di questa vicenda.
La loro innocenza nei fatti è stata ampiamente comprovata in tribunale, assieme al comportamento antisindacale dell’azienda, eppure parlano poco di questo. Ricordano di aver vissuto la vicenda in maniera surreale “quando abbiamo sentito dei tre licenziati, pensavamo si trattasse non di noi, bensì di qualcun altro… non ci sembrava possibile!”dichiara Giovanni Barozzino, con lo sguardo di chi –paradossalmente- ha ancora il timore di doversi giustificare. Poi esprimono la loro solidarietà e una speranza per i tanti compagni che ancora oggi vivono lo stesso dramma o subiscono vessazioni da parte dei lori superiori, nonostante la libertà sindacale sia garantita dalla nostra Costituzione. Infine prende la parola Marco Forgione, che in SATA lavora ancora, ma è stato spostato in un reparto saturo di fumi di saldatura, malgrado abbia avuto dei problemi molto gravi ai polmoni, dopo aver testimoniato in aula a favore dei tre compagni licenziati. Non è un caso limite. Michele Corbosiero non è intervenuto, ma a lui è capitato di svenire durante il lavoro; aveva già subìto un intervento al cuore e dall’ospedale, in cui era stato trasferito dopo la visita in infermeria, era partita la pratica dell’infortunio. Poco dopo riceveva una telefonata dal suo capo che, anziché augurargli una buona convalescenza, gli intimava di ritirare l’infortunio e mettersi in malattia. E’ quello che, da un pò di tempo a questa parte, sembra essere il destino di tutti i lavoratori tesserati a quelle sigle sindacali contrarie, senza ambiguità, agli intenti di stravolgere i contratti di lavoro nazionali e aziendali. Il timore costante di essere licenziati.
Lo vivono sulla loro pelle anche gli altri operai della delegazione FIOM di Melfi: Mimmo Destradis, Maria Labriola, Antonio Martina, Iolanda Picciariello, Pina Imbrenda e Principio Di Nanni. Dalla prima fila della sala Nassirya si è levato il loro applauso più caloroso, agli onorevoli ma soprattutto ai loro colleghi, che –in ultima istanza- hanno espresso un unico desiderio, “…tornare alla nostra meravigliosa normalità” . Semplice come loro. Del resto, è il requisito fondamentale per essere assunti da operai, come dice il titolo del libro di Giovanni Barozzino “Ci volevano con la terza media”…
La speranza più grande, a questo punto, è che questo nostro governo tecnico rifletta attentamente prima di andare ad intaccare quei pochi baluardi rimasti a tutela dei più deboli, come l’articolo 18. Solo in questo modo dimostrerebbe al Paese che davvero il suo intento è di uscire dalla crisi piuttosto che inasprire le tensioni tra le parti sociali. Rifiutando di venire a compromessi con chi, detentore di un vasto potere economico, pretende di poter rimescolare a proprio piacimento anche le carte della politica e della legalità.

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mercoledì 21 marzo 2012

Monti cambia l’articolo 18, no della Cgil

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di Emanuele Di Nicola
La Cgil dice no alla riforma del mercato del lavoro. Il sindacato respinge la modifica dell'articolo 18 proposta dal governo Monti e riserva un duro giudizio sull'operato dell'esecutivo: "Diceva di volere una grande riforma per migliorare il mercato del lavoro, invece introduce i licenziamenti facili", ha detto Camusso. E' quanto emerso al termine dell'incontro di ieri (20 marzo) a Palazzo Chigi.
Ora la parola passa al Parlamento. Non ci sarà un accordo firmato, ha detto il premier Monti, ma verranno verbalizzate le posizioni di tutte le parti, i punti di accordo e di disaccordo. Poi il verbale sarà alla base della proposta che il governo presenterà alle Camere. Giovedì 22 marzo si tiene l'incontro finale, appuntamento alle 16 a Palazzo Chigi.
In quell'occasione, l'esecutivo raccoglierà le opinioni di tutti e scriverà il verbale."Entro venerdì si chiuderanno i testi", ha detto il ministro del Lavoro, Elsa Fornero.
"Doveva essere una riforma per migliorare il mercato del lavoro, invece introduce i licenziamenti facili". Questo il giudizio del segretario generale, Susanna Camusso. "Avendo costruito una norma che sui licenziamenti soggettivi non prevede il reintegro – ha spiegato -, si fa venir meno l'effetto deterrente dell'articolo 18 verso i comportamenti illeciti. La funzione dell'articolo 18 viene così profondamente annullata".
Anche sui licenziamenti economici non è previsto reintegro. "E' una proposta totalmente squilibrata, molto lontana dalle dichiarazioni che sono state fatte. Ieri sera - a suo avviso - abbiamo avuto la dimostrazione che in realtà il governo voleva facilitare i licenziamenti. Vorremmo anche dire che una fetta di imprese e lavoratori sono stati esclusi dal sistema degli ammortizzatori". Poi Camusso ha proseguito: "Qualche elemento positivo lo abbiamo viste sul tema delle forme di ingresso, c'è un'inversione di tendenza rispetto agli ultimi dieci anni di legislazione. Ma nessuno – come fa Fornero – può dire che siamo di fronte alla cancellazione della precarietà". Ha quindi assicurato "sostegno" a chi proverà a cambiare la riforma in Parlamento.
La Cgil avvierà una mobilitazione. "E' assolutamente evidente che questo governo ha molto attenzione al mercato, ma non è attento alle questioni sociali e alle esigenze dei lavoratori. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per contrastare questa riforma, partirà una stagione di mobilitazione e non sarà di breve periodo", ha annunciato Camusso. Riservando nel finale una critica agli altri sindacati: "I miei colleghi di Cisl e Uil hanno condiviso un'ipotesi comune, l'hanno abbandonata ieri". Oggi, 21 marzo, si riunisce il direttivo di Corso Italia.
"Tutte le parti concordano alla nuova formulazione dell'articolo 18, proposta dal ministro Fornero, tranne la Cgil che ha manifestato un'opinione negativa". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Monti, in conferenza stampa dopo l'incontro. "Per il governo la questione è chiusa, non sarà oggetto del prossimo incontro". Ha poi lasciato la parola al ministro Fornero: "Aumentare l'occupazione e riduzione del precariato, questo il nostro obiettivo ultimo". Il contratto a tempo indeterminato "deve essere il punto di riferimento", a suo avviso, ma questo "non sarà più blindato, e oggi la blindatura è data dall'articolo 18".
LA MODIFICA DELL'ARTICOLO 18. Elsa Fornero ha spiegato la proposta del governo sull'articolo 18. Per i licenziamenti disciplinari è previsto il rinvio al giudice: questo deciderà per il reintegro del lavoratore o l'indennizzo, con un massimo di 27 mensilità. Il reintegro sarà previsto solo "nei casi gravi". Per i licenziamenti discriminatori resta invece l'articolo 18. Per i licenziamenti economici non ci sarà il reintegro, se giudicati illegittimi dal giudice l'indennizzo sarà tra le 15 e le 27 mensilità.
AMMORTIZZATORI E CONTRATTI. I nuovi ammortizzatori sociali entreranno in vigore nel 2017. Una data che è cambiata diverse volte nel corso del negoziato: in questo senso la titolare del dicastero ha accolto la richiesta dei sindacati, che volevano una transizione di cinque anni per l'entrata in vigore del nuovo regime.
Una novità riguarda il contratto a tempo determinato, che potrà durare al massimo 36 mesi. Fornero ha annunciato "un contrasto alla reiterazione" del tempo determinato allo scatto dei tre anni: a quel punto dovrebbe scattare l'assunzione a tempo indeterminato. E' inoltre confermata l'intenzione dell'esecutivo di rendere prevalente il contratto di apprendistato: il percorso lavorativo inizia "con un apprendistato vero", così Fornero, e "prosegue con la formazione sul lavoro. Le imprese e il lavoro devono impegnarsi per quell'incremento di produttività necessario affinché il paese cresca".
"Diamo un giudizio positivo sulle linee guida della riforma". Così il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, nel suo intervento all'interno del tavolo. "Possiamo lavorare intensamente fino a fine settimana per migliorare la riforma", ha aggiunto.
"Per dare un giudizio positivo sulla riforma servono modifiche". E' l'opinione del segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. "Ho apprezzato – ha detto – che sia stato scritto che, in caso di licenziamento disciplinare senza giusta causa, il giudice non possa fare altro che reintegrare". Sui licenziamenti economici, invece, "avevamo chiesto che fosse delegata al giudice la possibilità di decidere tra reintegro e indennizzo. Il testo che ci è stato letto non dice così".
Il giudizio di Confindustria è "complessivamente positivo", anche se la riforma può migliorare nei prossimi giorni. Lo ha detto il presidente Emma Marcegaglia: "Condividiamo la lotta alla cattiva flessibilità, ma non quella sulla buona flessibilità come i contratti a termine". Sui licenziamenti "chiedevamo di più, ma abbiamo aderito alla mediazione del governo. L'indennizzo massimo di 27 mesi è troppo alto, dobbiamo restare in standard europei". Infine, anche le piccole e medie imprese criticano le 27 mensilità per licenziamenti economici. "Ci sembrano eccessive. Se a un'impresa che è in forte difficoltà si chiedono 27 mensilità, è come dire chiudete subito". Queste le parole del presidente di Rete Imprese Italia, Marco Venturi.
da rassegna.it

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giovedì 15 marzo 2012

Crisi, debito, default. Rompere con l’utopia

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Scritto da Claudio Bellotti   
Mercoledì 14 Marzo 2012 14:57

La crisi sottopone i lavoratori a una pressione senza precedenti, con i licenziamenti, i tagli, i piani di austerità. Allo stesso modo mette anche a dura prova le concezioni politiche e i programmi di tutte le forze sindacali e politiche della sinistra. In tutta Europa i partiti riformisti si sono pienamente adeguati alle logiche del sistema e sono in prima linea nell’imporre le politiche di “risanamento”. I dirigenti delle principali organizzazioni sindacali si trovano completamente spiazzati e incapaci di organizzare una risposta all’altezza della situazione.
Tutto questo mette a nudo il vuoto a sinistra; esiste un dibattito fra le forze della sinistra di alternativa e nei settori sindacali più combattivi su quali possano essere le alternative alle politiche dominanti, ma una proposta chiara e capace di riaggregare la classe fatica ad emergere.
Da più parti ci si lamenta che i lavoratori non reagiscono e che c’è passività nella società. Noi crediamo che questa non sia altro che una scusa da parte di gruppi dirigenti che definire inadeguati è dire poco. È vero che la crisi rende difficile l’organizzazione del conflitto nei luoghi di lavoro, ma la rabbia che cresce nella società è enorme. In questo senso la Grecia ci indica il nostro futuro non solo per il carattere particolarmente profondo della crisi, ma anche per la grande risposta che da oltre un anno i lavoratori hanno saputo mettere in campo.
Il movimento operaio ha bisogno innanzitutto di percepire che nei suoi gruppi dirigenti c’è chiarezza di idee, di programmi e di proposte di azione. Purtroppo ciò che viene trasmesso in questo momento è l’esatto contrario: confusione, paura e subordinazione alle ragioni dell’avversario.
In campo vi sono sostanzialmente tre posizioni.
La borghesia dice “il debito va pagato, costi quello che costi, con decenni di austerità”. Su questo non vi sono sostanziali divergenze tra le grandi forze politiche, anche se esiste un conflitto, a volte latente e a volte aperto, tra debitori e creditori.
Una seconda posizione dice “il debito va pagato, ma il carico va equamente distribuito fra le varie classi sociali”; è la posizione delle burocrazie sindacali e delle forze riformiste; è anche presente nel Pd, tuttavia di fronte ai diktat dei “mercati”, ossia del capitale, queste forze non fanno altro che lamentarsi per poi inchinarsi. La Grecia lo dimostra (tragedia) e anche il Pd (farsa).
Infine una terza posizione viene proposta in ambiti di sinistra sindacale, di movimento giovanile, fra le forze della sinistra radicale, ed è la posizione di “non pagare il debito”. È di questa che vogliamo qui occuparci.
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domenica 11 marzo 2012

E’ nata l’opposizione di sinistra a Monti

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di Giacomo Russo Spena
Il partito non è Bersani, siamo noi presenti sui territori”. Con coraggio e disinvoltura il militante di “base” sventola la bandiera del suo Pd a Santa Maria Maggiore, durante il corteo della Fiom. Non sfila per la manifestazione, è fermo all’angolo della piazza e vede migliaia di persone (50mila si dirà dal palco finale di San Giovanni) e centinaia di bandiere rosse passare. Con lui altri 3 “compagni democratici”. “Essere oggi qui è importante, mi dissocio dalla scelta dei miei dirigenti” dichiara ai giornalisti incuriositi per quella unica bandiera Pd in tutto il corteo. Raccoglie qualche applauso, pochi per la verità, e insulti: “Via, vai via. Provocatore!”, gli urla un uomo. Alcuni ragazzi gli intonano la canzonzica “Il Pd non è qui, lecca il culo all’Udc…”. Lui alla fine desiste e lascia la piazza. La scelta del Pd, presente soltanto con una piccola delegazione di dissidenti, è criticata aspramente dai manifestanti. Come dare loro torto.
La piazza finale di San Giovanni – da cui il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, chiede risposte o “sarà sciopero generale “- è un simbolo. Un punto da cui ripartire per creare una vera alternativa alle politiche di austerity. E il Pd ha fatto un’altra scelta, ha deciso di non esserci: di sostenere il governo tecnico di Monti e le sue ricette inique per le classi meno abbienti. Il partito di Bersani sembra salito sul carro neocentrista e liberista che porta dritto dritto al Terzo Polo o al sostegno nel 2013 del Passera di turno, malgrado Massimo D’Alema continui a negarlo.
Dall’altra parte, San Giovanni lo dimostra, si apre un immenso spazio per generare un soggetto che riparta dai diritti, dalla giustizia sociale, dall’equità. Per lanciare un’opposizione di sinistra al governo dei tecnici. Un “polo” capace di andare oltre ai partiti (Idv, Sel e Federazione della Sinistra), aperto alla società civile, ai movimenti per i beni comuni, all’associazionismo e, ovviamente, alla Fiom. Luigi De Magistris in una recente intervista al Fatto ha parlato di una lista civica nazionale – con questi contenuti – capace di puntare al 20 per cento. Non è un numero poi così irreale!
Alla manifestazione di oggi ci sono, oltre ai metalmeccanici, i No-Tav, i referendari dell’acqua pubblica, i centri sociali e gli studenti. I quali si rendono protagonisti di un blitz davanti la sede dell’Inps per rivendicare quella pensione che non avranno mai e per reclamare nuovi ammortizzatori sociali. Lo stesso Antonio Mastrapasqua, direttore dell’Inps, lo scorso anno aveva dichiarato: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”.
Mettiamo un punto. Ripartiamo dalla splendida piazza di oggi. Con la speranza che un pezzo del Pd si ribelli alla deriva neocentrista.

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giovedì 8 marzo 2012

Firmiamo e facciamo firmare per l’articolo 18

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di Massimo Rossi, portavoce nazionale della Federazione della Sinistra
La Federazione della Sinistra ha promosso da alcuni giorni una petizione popolare nazionale per la tutela e l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (on line si può firmarequi), che sta già riscontrando un enorme successo, con centinaia di firme e commenti già lasciati.
Dopo l’aggressione mossa poco meno di dieci anni fa dal governo Berlusconi su mandato di Confindustria e sconfitta anche tramite una meravigliosa manifestazione della Cgil a Roma, l’art. 18 è ora tornato al centro degli attacchi del governo Monti e anche di molti esponenti della coalizione che lo sostiene, compresi alcuni dirigenti del Partito Democratico. Proprio l’allargamento dell’area di quanti vogliono una revisione profonda dell’articolo o addirittura una sua totale cancellazione è un dato preoccupante di fronte al quale non si può assistere in silenzio.
Siamo certi che siano tantissimi coloro i quali vogliono esprimersi direttamente in difesa dell’art. 18, ribadendo inoltre l’idea che un diritto così elementare debba valere per tutti i lavoratori senza limitazioni di sorta.
Per questa ragione, proprio in concomitanza con l’importante manifestazione della Fiom del 9 marzo a Roma, la Federazione della Sinistra ha pensato di dare modo a tutti di partecipare a questa battaglia, mettendo a disposizione lo strumento della petizione, che ci auguriamo raggiunga un grande numero di adesioni in un tempo breve, tale da incidere prima che sia troppo tardi.
Anche per questo chiediamo a tutti i sottoscrittori di darci una mano,  promuovendo la pagina internet su cui firmare e richiedendo i moduli cartacei per raccogliere le firme nelle piazze e sui luoghi di lavoro (per info chiamare:             06-44182218      , oppure             06-44182451      ).
Di seguito, il testo della petizione che, insieme alle firme raccolte, presenteremo al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati.
“Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà.
L’obbligo della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose.
Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali.
Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18.
L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione.”

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