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martedì 27 marzo 2012

val basento Su 1322 lavoratori 951 si sono ammalati

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Sconvolgenti i dati dell'indagine sanitaria del dottor Lobuono. "A coloro che sono entrati in contatto con l'amianto devono aggiungersi i potenziali contaminati" 
Fino alla fine degli anni '80 l'Italia è stato in Europa il secondo paese produttore d'amianto dopo l'Unione Sovietica. Dalla fine della seconda guerra mondiale sino al bando definitivo della fibra killer nel nostro paese si sono prodotte 3.448.550 tonnellate di amianto grezzo. Nel '83 una direttiva comunitaria obbligò a predisporre il registro dei casi accertati di asbestosi e mesotelioma, evidenziando la correlazione tra esposizione all'amianto e patologie polmonari e non solo. Nel '91 l'Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, ndr), dal 2010 assorbito dall'Inail (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ndr), concordò con le Regioni l'adozione di alcuni standard operativi comuni, l'istituzione di Centri operativi regionali (Cor, ndr) con compiti di attivazione, controllo e trasmissione e ricezione dei flussi informativi inerenti la sorveglianza sanitaria dei casi di mesotelioma verso e dall'Istituto Prevenzionale Centrale. Cor a cui venne dato anche il compito d'istituire il Registro nazionale dei casi di mesotelioma (Re.Na.M, ndr), al fine di raccogliere e quantificare dati sull'esposizione sia di ordine occupazionale, sia di contaminazione ambientale. Obbiettivo che oggi non riguarda solo la problematica amianto ma anche esposizioni ad altri prodotti utilizzati nei processi industriali e soprattutto, i possibili effetti collaterali da diverse fonti di contaminazione. Facciamo il punto sulla situazione lucana.

Inquinamento tra esposizione diretta e indiretta. A cosa serve la sorveglianza sanitaria è presto detto. A prevenire. Evitando che patologie in fase iniziale diventino incurabili. All'Ospedale di Matera parte nell'aprile del 2006 e riguarda alcuni dipendenti della ex Materit di Ferrandina, una fabbrica che produceva manufatti in cemento-amianto. Si trattava d'uno sparuto gruppo di ex lavoratori che prima andava a farsi visitare a Bari, e ai quali, poco dopo, s'associarono i lavoratori della Ferrosud di Matera. Elenco che dopo l'intervento dell'Aiea Vba arrivò a oltre 200 lavoratori ex esposti provenienti anche dallo stabilimento Enichem di Pisticci Scalo. “Purtroppo – ricorda Francesco Paolo Lobuono dell'Unità Operativa del lavoro e antinfortunistica dell'Ospedale Maria delle Grazie di Matera che, assieme al San Carlo di Potenza, fa parte delle strutture di riferimento del Re.na.m C.o.r Basilicata – non ne vedevamo parecchi di lavoratori della Materit perché molti di loro erano morti prima d'arrivare al nostro controllo. La cosa che ci ha stupito è che quando abbiamo cominciato a prendere in considerazione i soggetti dell'Enichem si è aperto un vaso di Pandora. Sono venuti fuori tanti soggetti che alla prima visita già avevano problemi molto seri senza che se ne fossero accorti”. I risultati del monitoraggio portati avanti sono “sconvolgenti”, ribadisce lo stesso Lobuono sottolineando che lo studio sull'esposizione all'amianto, dall'aprile 2006 al dicembre 2011 ha sottoposto a sorveglianza sanitaria 1322 ex lavoratori ma eseguito complessivamente 2085 visite perché, per oltre 700 persone, sono stati necessari controlli molto più ravvicinati in quanto sono state scoperte patologie alla prima visita.

Tra gli indicatori importanti per avere un quadro della situazione nel materano troviamo la residenza. Le persone monitorate per la maggior parte provengono da Matera, Pisticci, Bernalda e Ferrandina. Altro indicatore è lo stato civile, poiché si deve tener conto del fatto che i lavoratori, tornando a casa con indumenti contaminati, hanno probabilmente causato un'esposizione indiretta a mogli e figli. “In quel periodo – ricorda ancora Lobuono – la natalità media era di 2,3, dunque alle mogli bisogna aggiungere mediamente due figli esposti ad amianto quando questi soggetti tornavano a casa”. Altri indicatori sono l'età media, i luoghi e i tempi di lavoro. In quest'ultimo caso oltre al numero spropositato dei lavoratori della Ferrosud di Matera e di innumerevoli aziende edili, i dati, ricorda Lobuono, mostrano come la maggior parte degli ex lavoratori sottoposti a sorveglianza proviene da società operative a Pisticci Scalo che orbitavano intorno alla multinazionale Eni spa come Enichem, Anic, Carbon Valley, Omcm, Tecnoparco, Snia, Tucam, Lamitel, Inca, Fapak, Cfp, Caffaro. Ma anche da aziende dell'area di Ferrandina come Liquichimica, Impes Group, Materit. Infatti nella zona di Pisticci hanno lavorato1236 delle persone monitorate, a Ferrandina 189, Matera 399, Policoro 57. Le diagnosi patologiche correlate a esposizione all'amianto mostrano 208 soggetti con placche pleuriche, 27 con asbestosi conclamata, 198 con noduli  sospetti dei quali 23 sono poi risultati tumori polmonari. 248 sono le placche pleuriche denunciate all'Inail. I dati dell'Aiea Vba registrano invece oltre 270 casi, e tra questi 170 decessi tra i lavoratori ex dipendenti dell'Enichem, 30 legati a carcinomi polmonari, 7 mesoteliomi e tante altre patologie.

La storia che si ripeteNel '79 il parlamentare Saverio D'Amelio, oggi Sindaco di Ferrandina, dichiarò, a seguito della crisi che colpì la Cemater, di essere consapevole della cancerogenicità dell'amianto però per quel prodotto c'era ancora mercato, pertanto, visto lo stato dei lavoratori e l'agitazione sociale all'epoca in corso insistette sul continuare quella produzione di morte. Produzione continuata sotto sigle societarie diverse sino al '89, anno in cui alcuni cittadini fecero una denuncia per smaltimento illecito di amianto all'interno dello stabilimento. Denuncia a seguito della quale non poterono uscire per diversi giorni di casa perché rischiarono di essere linciati. Il processo che ebbe luogo e che vide imputati i responsabili dello stabilimento difesi dall'avvocato Emilio Nicola Buccico si concluse con l'assoluzione per non aver commesso il fatto. Tra gli elementi che comportarono la caduta del capo di imputazione vi furono sia l'assenza di testimonianze degli operai, probabilmente vessati da pressioni lavorative, sia le perizie tecniche prodotte dagli imputati, e addirittura dal perito della Procura. Entrambe stabilirono che quell'amianto non era cancerogeno. E così che si chiuse nel '94 il processo. E assieme a esso la storia dei lavoratori che oggi devono fare causa all'Inail.

Solo nel 2000 l'Arpab ammette che l'amianto lavorato alla Materit era cancerogeno. Ma intanto cosa è cambiato?La Regione Basilicata aveva autorizzato assieme al Comune di Ferrandina la costruzione d'una discarica accanto al fiume, fatta poi da imprese locali. Contemporaneamente sorse il problema della chimica della Valle del Basento. Chimica che in quel periodo voleva dire Eni spa. C'era infatti il problema d'una zona contaminata da rifiuti di processo industriale molto vasta, e il Comune di Ferrandina risolse la cosa attraverso un comitato tecnico che stabilì come l'unica soluzione possibile era confinare l'area. In pratica scaricare lì perché sarebbe stato troppo costoso andare a smaltire i rifiuti tossici dei processi industriali dove era corretto farlo. Anche in questo caso furono creati accumuli lungo l'alveo del Basento. Anche in questo caso, come per la Materit, le piene potevano portarsi via i rifiuti tossici accumulati. La zona, oggi chiamata area diaframmata, rappresenta purtroppo la minima parte di una zona ben più vasta di contaminazione ambientale, tant'è che nel 2000 il Consorzio industriale di Matera, che si era comprato nel frattempo tutti i  lotti inquinati dall'Eni, affidò allo Studio Omega la caratterizzazione dell'area di Pisticci Scalo e dell'ex Liquichimica di Ferrandina, da cui risultò un pesante inquinamento da mercurio. Nel 2003 la Valbasento diventa Sito di interesse nazionale da bonificare e nel 2004 il Comune di Ferrandina riceve 500 mila euro per mettere in sicurezza la ex Materit. Operazione affidata a un geometra e all'imprenditore locale, come confermato dalla Geogav srl che caratterizzò l'area, che mai avevano fatto lavori in tal senso e che lo stesso Nedo Biancani, dello Studio Omega, ricorda come non sapessero nemmeno da dove cominciare. Così invece di eliminare alla fonte l'origine dell'inquinamento i soldi furono spesi in progettazione, tanto che il Ministero dell'Ambiente arrivò a chiedere al Comune lo stato dei lavori e un “quadro economico” definitivo per far luce sulle spese. La Materit restò invece lì assieme ai 550 big bags solo nel capannone, perché all'esterno risulta una contaminazione del suolo che arriva anche a toccare punte di 62 mila volte oltre i limiti normativi, oltre l'inquinamento della falda da tricoletilene e altri cancerogeni. Una pietra tombale sulla salute del territorio e delle comunità limitrofe.

"Meglio morire di cancro fra vent'anni che morire di fame ora"

Sui motivi dell'abbandono della bonifica, Anna Maria Dubla, presidente dell'Associazione Ambiente e Legalità, ricorda bene la logica distorta in cui “i lavoratori vengono prima” perché, riprendendo una frase detta dallo stesso sindaco D'Amelio all'epoca dei fatti Materit, “è meglio morire di cancro tra vent'anni che di fame ora”. Così il comune di Ferrandina abbandonò la bonifica per dedicarsi alla Mythen spa, cioè alla famiglia Falciola, mandata sotto processo a Milano con una condanna per bancarotta fraudolenta a 5 anni. Motivo? “S'erano fregati – continua la Dubla – i soldi per fare la bonifica dei loro stessi siti inquinati”. Nel frattempo sbarcano in Basilicata si prendono i capannoni della ex Industrie resine speciali (Irs, ndr), prima ancora Liquichimica che aveva già lasciato uno scempio ambientale, e si tengono addirittura i vecchi macchinari Irs degli anni '70 per fare biodiesel. Come si sono potuti utilizzare macchinari non consoni a produzioni di combustibili di nuova generazione non è dato saperlo. La Mythen comunque, di cui l'Arpab recentemente ha analizzato ed evidenziato la contaminazione prodotta dalle acque di processo e di cui abbiamo anche parlato e mostrato con un servizio modalità non proprio consone di scarico, nasce con l'obbligo di fare la bonifica dei terreni e delle acque di falda per la contaminazione da mercurio. Un fatto che “dimostra – ricorda la Dubla – come l'area ex Liquichimica non era stata per niente bonificata”. La società eseguì una caratterizzazione e bonifica di appena 200 metri quadri di terreni dello stabilimento. Nulla per le acque di falda. Nel 2006 venne denunciata dopo l'intervento del Corpo Forestale che accertò nel canale di scarico fango da idrocarburi e mercurio. Da dove era arrivato? Al sequestro seguì pochi mesi dopo il dissequestro da parte del Pm. Motivo? L'Arpab aveva dimenticato d'inviare tutte le analisi, consegnando solo quelle relative a BO2 e CO2, i cui superamenti erano stati depenalizzati dall'ex governo Berlusconi. Per cui multa senza responsabilità penali. Negli anni a seguire si è continuato a produrre inquinamento e non solo, rimarca l'associazione di Ferrandina, perché nonostante la Mythen spa abbia giustificato con il malfunzionamento del depuratore “questi accadimenti sono uno dietro l'altro fino al 2012”. Una questione, quella ambientale in Basilicata, che  – conclude Dubla – “si risolve con la magistratura poiché è sempre valido il concetto chi inquina paga”. Sarà, ma non sembra.

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