Sconvolgenti i dati dell'indagine sanitaria del dottor
Lobuono. "A coloro che sono entrati in contatto con l'amianto devono
aggiungersi i potenziali contaminati"
Fino alla fine degli anni '80 l'Italia è stato in Europa il
secondo paese produttore d'amianto dopo l'Unione Sovietica. Dalla fine della
seconda guerra mondiale sino al bando definitivo della fibra killer nel nostro
paese si sono prodotte 3.448.550 tonnellate di amianto grezzo. Nel '83 una
direttiva comunitaria obbligò a predisporre il registro dei casi accertati di
asbestosi e mesotelioma, evidenziando la correlazione tra esposizione
all'amianto e patologie polmonari e non solo. Nel '91 l'Ispesl (Istituto superiore
per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, ndr), dal 2010 assorbito
dall'Inail (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro, ndr), concordò con le Regioni l'adozione di alcuni standard operativi
comuni, l'istituzione di Centri operativi regionali (Cor, ndr) con compiti di
attivazione, controllo e trasmissione e ricezione dei flussi informativi
inerenti la sorveglianza sanitaria dei casi di mesotelioma verso e
dall'Istituto Prevenzionale Centrale. Cor a cui venne dato anche il compito
d'istituire il Registro nazionale dei casi di mesotelioma (Re.Na.M, ndr), al
fine di raccogliere e quantificare dati sull'esposizione sia di ordine
occupazionale, sia di contaminazione ambientale. Obbiettivo che oggi non
riguarda solo la problematica amianto ma anche esposizioni ad altri prodotti
utilizzati nei processi industriali e soprattutto, i possibili effetti
collaterali da diverse fonti di contaminazione. Facciamo il punto sulla
situazione lucana.
Inquinamento tra esposizione diretta e indiretta. A cosa serve la sorveglianza
sanitaria è presto detto. A prevenire. Evitando che patologie in fase iniziale
diventino incurabili. All'Ospedale di Matera parte nell'aprile del 2006 e
riguarda alcuni dipendenti della ex Materit di Ferrandina, una fabbrica che
produceva manufatti in cemento-amianto. Si trattava d'uno sparuto gruppo di ex
lavoratori che prima andava a farsi visitare a Bari, e ai quali, poco dopo,
s'associarono i lavoratori della Ferrosud di Matera. Elenco che dopo
l'intervento dell'Aiea Vba arrivò a oltre 200 lavoratori ex esposti provenienti
anche dallo stabilimento Enichem di Pisticci Scalo. “Purtroppo – ricorda
Francesco Paolo Lobuono dell'Unità Operativa del lavoro e antinfortunistica
dell'Ospedale Maria delle Grazie di Matera che, assieme al San Carlo di
Potenza, fa parte delle strutture di riferimento del Re.na.m C.o.r Basilicata –
non ne vedevamo parecchi di lavoratori della Materit perché molti di loro erano
morti prima d'arrivare al nostro controllo. La cosa che ci ha stupito è che
quando abbiamo cominciato a prendere in considerazione i soggetti dell'Enichem
si è aperto un vaso di Pandora. Sono venuti fuori tanti soggetti che alla prima
visita già avevano problemi molto seri senza che se ne fossero accorti”. I
risultati del monitoraggio portati avanti sono “sconvolgenti”, ribadisce lo
stesso Lobuono sottolineando che lo studio sull'esposizione all'amianto,
dall'aprile 2006 al dicembre 2011 ha sottoposto a sorveglianza sanitaria 1322
ex lavoratori ma eseguito complessivamente 2085 visite perché, per oltre 700
persone, sono stati necessari controlli molto più ravvicinati in quanto sono
state scoperte patologie alla prima visita.
Tra gli indicatori importanti per avere un quadro della
situazione nel materano troviamo la residenza. Le persone monitorate per la maggior parte
provengono da Matera, Pisticci, Bernalda e Ferrandina. Altro indicatore è lo
stato civile, poiché si deve tener conto del fatto che i lavoratori, tornando a
casa con indumenti contaminati, hanno probabilmente causato un'esposizione
indiretta a mogli e figli. “In quel periodo – ricorda ancora Lobuono – la
natalità media era di 2,3, dunque alle mogli bisogna aggiungere mediamente due
figli esposti ad amianto quando questi soggetti tornavano a casa”. Altri indicatori
sono l'età media, i luoghi e i tempi di lavoro. In quest'ultimo caso oltre al
numero spropositato dei lavoratori della Ferrosud di Matera e di innumerevoli
aziende edili, i dati, ricorda Lobuono, mostrano come la maggior parte degli ex
lavoratori sottoposti a sorveglianza proviene da società operative a Pisticci
Scalo che orbitavano intorno alla multinazionale Eni spa come Enichem, Anic,
Carbon Valley, Omcm, Tecnoparco, Snia, Tucam, Lamitel, Inca, Fapak, Cfp,
Caffaro. Ma anche da aziende dell'area di Ferrandina come Liquichimica, Impes
Group, Materit. Infatti nella zona di Pisticci hanno lavorato1236 delle persone
monitorate, a Ferrandina 189, Matera 399, Policoro 57. Le diagnosi patologiche
correlate a esposizione all'amianto mostrano 208 soggetti con placche
pleuriche, 27 con asbestosi conclamata, 198 con noduli sospetti dei quali
23 sono poi risultati tumori polmonari. 248 sono le placche pleuriche
denunciate all'Inail. I dati dell'Aiea Vba registrano invece oltre 270 casi, e
tra questi 170 decessi tra i lavoratori ex dipendenti dell'Enichem, 30 legati a
carcinomi polmonari, 7 mesoteliomi e tante altre patologie.
La storia che si ripeteNel '79 il parlamentare Saverio D'Amelio, oggi Sindaco
di Ferrandina, dichiarò, a seguito della crisi che colpì la Cemater, di essere
consapevole della cancerogenicità dell'amianto però per quel prodotto c'era
ancora mercato, pertanto, visto lo stato dei lavoratori e l'agitazione sociale
all'epoca in corso insistette sul continuare quella produzione di morte. Produzione
continuata sotto sigle societarie diverse sino al '89, anno in cui alcuni
cittadini fecero una denuncia per smaltimento illecito di amianto all'interno
dello stabilimento. Denuncia a seguito della quale non poterono uscire per
diversi giorni di casa perché rischiarono di essere linciati. Il processo che
ebbe luogo e che vide imputati i responsabili dello stabilimento difesi
dall'avvocato Emilio Nicola Buccico si concluse con l'assoluzione per non aver
commesso il fatto. Tra gli elementi che comportarono la caduta del capo di
imputazione vi furono sia l'assenza di testimonianze degli operai,
probabilmente vessati da pressioni lavorative, sia le perizie tecniche prodotte
dagli imputati, e addirittura dal perito della Procura. Entrambe stabilirono
che quell'amianto non era cancerogeno. E così che si chiuse nel '94 il
processo. E assieme a esso la storia dei lavoratori che oggi devono fare causa
all'Inail.
Solo nel 2000 l'Arpab ammette che l'amianto lavorato alla
Materit era cancerogeno. Ma intanto cosa è cambiato?La Regione Basilicata aveva
autorizzato assieme al Comune di Ferrandina la costruzione d'una discarica
accanto al fiume, fatta poi da imprese locali. Contemporaneamente sorse il
problema della chimica della Valle del Basento. Chimica che in quel periodo
voleva dire Eni spa. C'era infatti il problema d'una zona contaminata da
rifiuti di processo industriale molto vasta, e il Comune di Ferrandina risolse
la cosa attraverso un comitato tecnico che stabilì come l'unica soluzione
possibile era confinare l'area. In pratica scaricare lì perché sarebbe stato
troppo costoso andare a smaltire i rifiuti tossici dei processi industriali
dove era corretto farlo. Anche in questo caso furono creati accumuli lungo
l'alveo del Basento. Anche in questo caso, come per la Materit, le piene
potevano portarsi via i rifiuti tossici accumulati. La zona, oggi chiamata area
diaframmata, rappresenta purtroppo la minima parte di una zona ben più vasta di
contaminazione ambientale, tant'è che nel 2000 il Consorzio industriale di
Matera, che si era comprato nel frattempo tutti i lotti inquinati
dall'Eni, affidò allo Studio Omega la caratterizzazione dell'area di Pisticci
Scalo e dell'ex Liquichimica di Ferrandina, da cui risultò un pesante
inquinamento da mercurio. Nel 2003 la Valbasento diventa Sito di interesse
nazionale da bonificare e nel 2004 il Comune di Ferrandina riceve 500 mila euro
per mettere in sicurezza la ex Materit. Operazione affidata a un geometra e
all'imprenditore locale, come confermato dalla Geogav srl che caratterizzò
l'area, che mai avevano fatto lavori in tal senso e che lo stesso Nedo
Biancani, dello Studio Omega, ricorda come non sapessero nemmeno da dove
cominciare. Così invece di eliminare alla fonte l'origine dell'inquinamento i
soldi furono spesi in progettazione, tanto che il Ministero dell'Ambiente
arrivò a chiedere al Comune lo stato dei lavori e un “quadro economico”
definitivo per far luce sulle spese. La Materit restò invece lì assieme ai 550
big bags solo nel capannone, perché all'esterno risulta una contaminazione del
suolo che arriva anche a toccare punte di 62 mila volte oltre i limiti
normativi, oltre l'inquinamento della falda da tricoletilene e altri
cancerogeni. Una pietra tombale sulla salute del territorio e delle comunità
limitrofe.
"Meglio morire di cancro fra vent'anni che morire di
fame ora"
Sui motivi dell'abbandono della bonifica, Anna Maria Dubla,
presidente dell'Associazione Ambiente e Legalità, ricorda bene la logica
distorta in cui “i lavoratori vengono prima” perché, riprendendo una frase
detta dallo stesso sindaco D'Amelio all'epoca dei fatti Materit, “è meglio
morire di cancro tra vent'anni che di fame ora”. Così il comune di Ferrandina
abbandonò la bonifica per dedicarsi alla Mythen spa, cioè alla famiglia
Falciola, mandata sotto processo a Milano con una condanna per bancarotta
fraudolenta a 5 anni. Motivo? “S'erano fregati – continua la Dubla – i soldi
per fare la bonifica dei loro stessi siti inquinati”. Nel frattempo sbarcano in
Basilicata si prendono i capannoni della ex Industrie resine speciali (Irs,
ndr), prima ancora Liquichimica che aveva già lasciato uno scempio ambientale,
e si tengono addirittura i vecchi macchinari Irs degli anni '70 per fare
biodiesel. Come si sono potuti utilizzare macchinari non consoni a produzioni
di combustibili di nuova generazione non è dato saperlo. La Mythen comunque, di
cui l'Arpab recentemente ha analizzato ed evidenziato la contaminazione
prodotta dalle acque di processo e di cui abbiamo anche parlato e mostrato con
un servizio modalità non proprio consone di scarico, nasce con l'obbligo di
fare la bonifica dei terreni e delle acque di falda per la contaminazione da
mercurio. Un fatto che “dimostra – ricorda la Dubla – come l'area ex
Liquichimica non era stata per niente bonificata”. La società eseguì una
caratterizzazione e bonifica di appena 200 metri quadri di terreni dello
stabilimento. Nulla per le acque di falda. Nel 2006 venne denunciata dopo
l'intervento del Corpo Forestale che accertò nel canale di scarico fango da
idrocarburi e mercurio. Da dove era arrivato? Al sequestro seguì pochi mesi
dopo il dissequestro da parte del Pm. Motivo? L'Arpab aveva dimenticato
d'inviare tutte le analisi, consegnando solo quelle relative a BO2 e CO2, i cui
superamenti erano stati depenalizzati dall'ex governo Berlusconi. Per cui multa
senza responsabilità penali. Negli anni a seguire si è continuato a produrre
inquinamento e non solo, rimarca l'associazione di Ferrandina, perché
nonostante la Mythen spa abbia giustificato con il malfunzionamento del
depuratore “questi accadimenti sono uno dietro l'altro fino al 2012”. Una
questione, quella ambientale in Basilicata, che – conclude Dubla – “si
risolve con la magistratura poiché è sempre valido il concetto chi inquina
paga”. Sarà, ma non sembra.
0 commenti:
Posta un commento