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mercoledì 30 novembre 2011

Fiat, la finta trattativa parte con il piede sbagliato: senza la Fiom

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Parte con il piede sbagliato la finta trattativa per il nuovo contratto della Fiat, resasi necessaria dopo l'uscita del Lingotto dalla Confindustria e la conseguente disdetta di tutti gli accordi, nazionali e locali, a partire dal primo gennaio 2012. Come nelle altre occasioni, la Fiom era pronta a partecipare al primo incontro che si è tenuto ieri all'Unione industriali di Torino. Invece è successo che buona parte della delegazione delle tute blu Cgil, tra cui il responsabile auto Giorgio Airaudo, sia stata inopinatamente lasciata fuori dalla palazzina. A provocare l'improvvisa chiusura dell'ingresso era stata la protesta delle Rsu dei Cobas, che a loro volta chiedevano di entrare nella saletta sindacale. Problema immediatamente segnalato da Maurizio Landini, uno dei pochi riuscito a passare perché arrivato prima: «La mia delegazione è formata da quindici persone. Finchè tutti non saranno dentro, l'incontro non può iniziare», ha avvertito il segretario generale della Fiom. Di fronte all'indifferenza degli altri sindacati e della Fiat, Landini ha perciò deciso di uscire dalla sala, lasciando un proprio osservatore al tavolo (il segretario provinciale della Fiom di Torino, Federico Bellono). L'episodio è stato quindi seguito da un vivace scambio di opinioni tra il sindacato e l'azienda. «C'è stata - racconta Airaudo - una mediazione della questura di Torino che aveva concordato con la vigilanza Fiat l'ingresso dei Cobas, ma poi è saltato tutto. Non sappiamo se tutto questo sia accaduto per insipienza, incapacità o provocazione». Accuse «infondate che sembrano costruite per nascondere la volontà di sottrarsi alla trattativa», la scontata replica del Lingotto. Il confronto riprenderà venerdì prossimo su Magneti Marelli e Fiat Industrial, il lunedì successivo ci sarà invece un nuovo incontro plenario. Il vero problema, però, è un altro. E cioè che c'è poco o nulla da trattare, anche se Fim, Uilm, Ugl e Fismic giurano il contrario. Innanzitutto, non sarà un contratto dell'auto, dal momento che Fiat non fa più parte di Confindustria. Quindi varrà solo per gli stabilimenti del gruppo torinese. Dopodiché, l'intenzione del Lingotto è piuttosto chiara: «Quello che abbiamo capito - spiega Landini - è che siamo di fronte semplicemente all'estensione del modello Pomigliano e noi non possiamo firmare un accordo che consideriamo illegittimo e contro la Costituzione». Cosa accadrebbe lo riassume Cesare Pizzolla, della segreteria Fiom-Cgil di Modena: «Meno diritti per i lavoratori, con i primi tre giorni di malattia negati in determinate condizioni di assenteismo, sabati obbligatori e turni aumentati, ritmi di lavoro intensificati e pause tagliate, come quella per la mensa a fine turno se si presentano imprevisti con i fornitori di componenti». Inoltre verrà «negato il diritto di sciopero per i sindacati non firmatari, e saranno previste sanzioni sia per i sindacati che per i lavoratori, sino al licenziamento». Per tutte queste ragioni la Fiom ha già proclamato uno sciopero generale dei metalmeccanici «di almeno 4 ore» per il 16 dicembre. Landini ha anche lanciato la campagna "Io voglio la Fiom in Fiat". La mancata firma avrà infatti una pesante conseguenza per le tute blu Cgil, vale a dire l'esclusione dalle rappresentanze aziendali. In attesa che la giustizia trionfi (il giudice di Torino, in primo grado, ha già bocciato questa parte dell'accordo per lo stabilimento campano, condannando la Fiat per comportamento antisindacale), l'idea è quella di creare un "fondo di resistenza straordinario" finanziato con il versamento della quota simbolica di un euro ad opera degli 11.500 lavoratori iscritti alla Fiom del gruppo Fiat, il pagamento per un anno di una doppia tessera da parte dei 500 dipendenti Fiom, più l'accettazione di offerte libere. La Fiat vuole impedire ai lavoratori di scegliere da chi farsi rappresentare? «E' un problema che può risolvere solo la Fiom», taglia corto il segretario generale della Fim, Giuseppe Farina. Anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, si schiera con l'azienda: «Con la proclamazione dello sciopero generale - afferma - la Fiom ha già deciso l'esito della trattativa. A questo punto riteniamo che la presenza della loro delegazione al tavolo sia praticamente inutile».


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martedì 29 novembre 2011

lluvione. L'ordinanza pugliese non arriva e lo sciopero della fame si sposta a Ginosa

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METAPONTO - Confermata la ripresa dello sciopero della fame da oggi pomeriggio alle ore 16. Gianni Fabbris (portavoce del Comitato TerreJoniche), Massimiliano Cospite (vicesindaco di Bernalda), Leonardo Galante ed Enzo Giannico (rispettivamente Assessore e consigliere di minoranza del Comune di Ginosa) si ritroveranno alle Tavole Palatine (che finora è stato il luogo organizzativo e logistico di questa fase della mobilitazione, dove rimarranno in sciopero della fame fino a domani.
Nel pomeriggio, intanto, il Comitato sta predisponendo tutta la logistica per trasferire lo sciopero della fame a Marina di Ginosa a partire da domattina. Questa sera, dopo l'incontro che si terrà alle Tavole Palatine alle ore 18, il Comitato renderà noto il luogo in cui, già a partire da domani si terrà l'iniziativa a Marina di Ginosa con gli appuntamenti per le iniziative in programma. Questo l'annuncio dato in Conferenza stampa stamattina dal Portavoce del Comitato TerreJoniche che ha ribadito gli obiettivi: "Abbiamo interrotto lo sciopero della fame sabato mattina sulla assicurazione che si trattava solo di attendere copia di un'ordinanza già firmata sia per la Puglia che per la Basilicata. Oggi prendiamo atto che, al contrario, l'ordinanza per la Puglia non c'è e, dunque, riprendiamo lo sciopero della fame da dove avevamo interrotto. Nessuno si faccia illusioni: i cittadini organizzati nel Comitato guardano i fatti e non siamo disposti a lasciare più nessun alibi ai ritardi di Istituzioni e politica. Rivolgiamo, anzi, un forte appello alla classe dirigente Regionale Pugliese (parlamentari, amministratori, consiglieri) perché, finalmente, assumano la vicenda del territorio ginosino e tarantino colpito dalle alluvioni di Marzo per tutto il valore concreto e simbolico che deve avere. Troppe sottovalutazioni e ritardi accumulati fin'ora. Adesso è il tempo per recuperare dignità e dare risposte urgenti ed efficaci ai cittadini ed al territorio"

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Fiat, Landini lancia lo sciopero generale il 16 dicembre contro il modello Pomigliano

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Il segretario generale della Fiom Maurizio Landini ha prosposto oggi al comitato centrale del sindacato dei metalmeccanici uno sciopero generale il 16 dicembre per reagire allìestensione degli accordi di Pomigliano a tutti gli stambilimenti del gruppo Fiat. Una reazione all'offensiva lanciata da Marchionne con l'annunciata disdetta dal primo gennaio 2012, di tutti gli accordi sindacali vigenti e "ogni altro impegno derivante da prassi collettive in atto". La Fiom si prepara comunque a resistere al peggio. Tra le proposte lanciate al comitato centrale c'è stata quella di organizza una cassa di resistenza nel caso la Fiom venisse esclusa dalla rappresentanza sindacale all'interno delle fabbriche del Lingotto. Una vera e propria campagna nazionale per la sottoscrizione straordinaria per affrontare la perdita di un milione e mezzo di euro delle trattenute sindacali per i lavoratori Fiat iscritti alla Fiom.

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lunedì 28 novembre 2011

come gli Agnelli hanno rapinato l'Italia lungo un intero secolo

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Gioanin lamiera, come scherzosamente gli operai chiamavano l'Avvocato, ha succhiato di brutto; ma prima di lui ha succhiato suo padre; e prima di suo padre, suo nonno Giovanni. Giovanni Agnelli Il Fondatore. Hanno succhiato dallo Stato, cioè da tutti noi. E' una storia della Fiat a suo modo spettacolare e violenta, tipo rapina del secolo, questa che si può raccontare - alla luce dell'ultimo blitz di Marchionne - tutta e completamente proprio in chiave di scandaloso salasso di denaro pubblico. Un salasso che dura da cent'anni. Partiamo dai giorni che corrono. Per esempio da Termini Imerese, lo stabilimento ormai giunto al drammatico epilogo (fabbrica chiusa e operai sul lastrico fuori dai cancelli). Costruito su terreni regalati dalla Regione Sicilia, nel 1970 inizia con 350 dipendenti e 700 miliardi di investimento. Dei quali almeno il 40 per cento è denaro pubblico graziosamente trasferito al signor Agnelli, a vario titolo. La fabbrica di Termini Imerese arriva a superare i 4000 posti di lavoro, ma ancora per grazia ricevuta: non meno di 7 miliardi di euro sborsati pro Fiat dal solito Stato magnanimo nel giro degli anni. Agnelli costa caro. Calcoli che non peccano per eccesso, parlano di 220 mila miliardi di lire, insomma 100 miliardi di euro (a tutt'oggi), transitati dalle casse pubbliche alla creatura di Agnelli. Nel suo libro - "Licenziare i padroni?", Feltrinelli - Massimo Mucchetti fa alcuni conti aggiornati: «Nell'ultimo decennio il sostegno pubblico alla Fiat è stato ingente. L'aiuto più cospicuo, pari a 6059 miliardi di lire, deriva dal contributo in conto capitale e in conto interessi ricevuti a titolo di incentivo per gli investimenti nel Mezzogiorno in base al contratto di programma stipulato col governo nel 1988». Nero su bianco, tutto "regolare". Tutto alla luce del sole. «Sono gli aiuti ricevuti per gli stabilimenti di Melfi, in Basilicata, e di Pratola Serra, in Campania». A concorrere alla favolosa cifra di 100 miliardi, entrano in gioco varie voci, sotto forma di decreti, leggi, "piani di sviluppo" così chiamati. Per esempio, appunto a Melfi e in Campania, il gruppo Agnelli ha potuto godere di graziosissima nonché decennale esenzione dell'imposta sul reddito prevista ad hoc per le imprese del Meridione. E una provvidenziale legge n.488 (sempre in chiave "meridionalistica") in soli quattro anni, 1996-2000, ha convogliato nelle casse Fiat altri 328 miliardi di lire, questa volta sotto la voce "conto capitale". Un bel regalino, almeno 800 miliardi, è anche quello fatto da tal Prodi nel 1997 con la legge - allestita a misura di casa Agnelli, detentrice all'epoca del 40% del mercato - sulla rottamazione delle auto. Per non parlare dell'Alfa Romeo, fatta recapitare direttamente all'indirizzo dell'Avvocato come pacco-dono, omaggio sempre di tal Prodi. Sempre secondo i calcoli di Mucchetti, solo negli anni Novanta lo Stato ha versato al gruppo Fiat 10 mila miliardi di lire. Un costo altisssimo è poi quello che va sotto la voce"ammortizzatori sociali", un frutto della oculata politica aziendale (il collaudato stile "privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite"): cassa integrazione, pre-pensionamenti, indennità di mobilità sia breve che lunga, incentivi di vario tipo. «Negli ultimi dieci anni le principali società italiane del gruppo Fiat hanno fatto 147,4 milioni di ore di cassa integrazione - scrive sempre Mucchetti nel libro citato - Se assumiamo un orario annuo per dipendente di 1.920 ore, l'uso della cassa integrazione equivale a un anno di lavoro di 76.770 dipendenti. E se calcoliamo in 16 milioni annui la quota dell'integrazione salariale a carico dello Stato nel periodo 1991-2000, l'onere complessivo per le casse pubbliche risulta di 1228 miliardi». Grazie, non è abbastanza. Infatti, «di altri 700 miliardi è il costo del prepensionamento di 6.600 dipendenti avvenuto nel 1994: e atri 300 miliardi se ne sono andati per le indennità di 5.200 lavoratori messi in mobilità nel periodo». Non sono che esempi. Ma il conto tra chi ha dato e chi ha preso si chiude sempre a favore della casa torinese. Ab initio. In un lungo studio pubblicato su "Proteo", Vladimiro Giacché traccia un illuminante profilo della storia (rapina) Fiat, dagli esordi ad oggi, sotto l'appropriato titolo"Cent'anni di improntitudine. Ascesa e caduta della Fiat". Nel 1911, la appena avviata industria di Giovanni Agnelli è già balzata, con la tempestiva costruzione di motori per navi e sopratutto di autocarri, «a lucrare buone commesse da parte dello Stato in occasione della guerra di Libia». Non senza aver introdotto, già l'anno dopo, 1912, «il primo utilizzo della catena di montaggio», sulle orme del redditizio taylorismo. E non senza aver subito imposto un contratto di lavoro fortemente peggiorativo; messo al bando gli "scioperi impulsivi"; e tentato di annullare le competenze delle Commissioni interne. «Soltanto a seguito di uno sciopero durato 93 giorni, la Fiom otterrà il diritto di rappresentanza e il riconoscimento della contrattazione collettiva» (anno 1913). Anche il gran macello umano meglio noto come Prima guerra mondiale è un fantastico affare per l'industria di Giovanni Agnelli, volenterosamente schierata sul fronte dell'interventismo. I profitti (anzi, i "sovraprofitti di guerra", come si disse all'epoca) furono altissimi: i suoi utili di bilancio aumentarono dell'80 per cento, il suo capitale passò dai 17 milioni del 1914 ai 200 del 1919 e il numero degli operai raddoppiò, arrivando a 40 mila. «Alla loro disciplina, ci pensavano le autorità militari, con la sospensione degli scioperi, l'invio al fronte in caso di infrazioni disciplinari e l'applicazione della legge marziale». E quando viene Mussolini, la Fiat (come gli altri gruppi industriali del resto) fa la sua parte. Nel maggio del '22 un collaborativo Agnelli batte le mani al "Programma economico del Partito Fascista"; nel '23 è nominato senatore da Mussolini medesimo; nel '24 approva il "listone" e non lesina finanziamenti agli squadristi. Ma non certo gratis. In cambio, anzi, riceve moltissimo. «Le politiche protezionistiche costituirono uno scudo efficace contro l'importazione di auto straniere, in particolare americane». Per dire, il regime doganale, tutto pro Fiat, nel 1926 prevedeva un dazio del 62% sul valore delle automobili straniere; nel '31 arrivò ad essere del 100%; «e infine si giunse a vietare l'importazione e l'uso in Italia di automobili di fabbricazione estera». Autarchia patriottica tutta ed esclusivamente in nome dei profitti Fiat. Nel frattempo, beninteso, si scioglievano le Commissioni interne, si diminuivano per legge i salari e in Fiat entrava il "sistema Bedaux", cioè il "controllo cronometrico del lavoro": ottimo per l'intensificazione dei ritmi e ia congrua riduzione dei cottimi. Mussolini, per la Fiat, fu un vero uomo della Provvidenza. E' infatti sempre grazie alla aggressione fascista contro l'Etiopia, che la nuova guerra porta commesse e gran soldi nelle sue casse: il fatturato in un solo anno passa da 750 milioni a 1 miliardo e 400 milioni, mentre la manodopera sale a 50 mila. «Una parte dei profitti derivanti dalla guerra d'Etiopia - scrive Giacché - fu impiegata (anche per eludere il fisco) per comprare i terreni dove sarebbe stato costruito il nuovo stabilimento di Mirafiori». Quello che il Duce poi definirà «la fabbrica perfetta del regime fascista». Cospicuo aumento di fatturato e di utili anche in occasione della Seconda guerra mondiale. Nel proclamarsi del tutto a disposizione, sarà Vittorio Valletta, nella sua veste di amministratore delegato, a dare subito «le migliori assicurazioni. Ponendo una sola condizione: che le autorità garantissero la disciplina nelle fabbriche attraverso la militarizzazione dei dipendenti». Fiat brava gente. L'Italia esce distrutta dalla guerra, tra fame e macerie, ma la casa torinese è già al suo "posto". Nel '47 risulta essere praticamente l'unica destinataria dell'appena nato "Fondo per l'industria meccanica"; e l'anno dopo, il fatidico '48, si mette in tasca ben il 26,4% dei fondi elargiti al settore meccanico e siderurgico dal famoso Piano Marshall. E poi venne la guerra fredda, e per esempio quel grosso business delle commesse Usa per la fabbricazione dei caccia da impiegare nel conflitto con la Corea. E poi vennero tutte quelle autostrade costruite per i suoi begli occhi dalla fidata Iri. E poi venne il nuovo dazio protezionistico, un ineguagliabile 45% del valore sulle vetture straniere... E poi eccetera eccetera. Mani in alto, Marchionne! Questa è una rapina.

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Sito Unico Nazionale: Bubbico sapeva. Era d’accordo?

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La pubblicazione del verbale del Consiglio dei Ministri tenutosi il  13.11.2011 (L'indipendente Lucano del 12.11.2011) riporta al centro dell'attenzione civica la questione della moralità della politica: quando l'azione politica è morale? Quando un politico compie atti immorali? E non ci riferiamo certo al moralismo bacchettone con cui si vorrebbe eludere il problema. La moralità politica coincide col compiere atti ed assumere decisioni nell'interesse del bene comune. L'immoralità, ovviamente, è l'opposto. Non essendo professori e nemmeno cultori di filosofia, andiamo nel pratico, sul terreno degli esempi. È morale il politico che, avendo dati sull'inquinamento prodotto da Fenice, non li partecipa ai suoi concittadini? Che non assume decisioni conseguenti?
Ecco che la questione del deposito unico delle scorie nucleari italiane è attualissimo poiché l'immoralità politica in questa martoriata Lucania è attualissima e dilagante. Filippo Bubbico (all'epoca Governatore della Basilicata) giura di non essere stato affatto consenziente al piano (diventato decreto legge) che mirava a concentrare in Scanzano Jonico, piccola municipalità della piccola Basilicata, tutte le scorie nucleari presenti in Italia. Intanto occorre evitare di mischiare fischi per fiaschi. Distinguiamo due aspetti: 1) Bubbico sapeva dell'ipotesi "Scanzano"?2) Era disponibile ad una protesta solo di facciata, al cosiddetto accoglimento morbido?

Ci sono almeno otto atti formali che incastrano Bubbico sulla prima  questione. Filippo Bubbico sapeva che Scanzano era nel "mirino" nucleare, storia iniziata quando al Governo c'era Massimo D'Alema. Ecco le prove:

1) 7.11.2000 - Carlo Chiurazzi (assessore regionale) scrive al Ministro dell'Ambiente On. Willer Bordon (1° governo D'Alema). Carlo è    consapevole e consenziente circa l'insediamento unico nazionale di scorie nucleari;
2) 10.9.2001 - la Giunta regionale (presieduta da Filippo Bubbico) costituisce un gruppo di lavoro composto da docenti emeriti dell'Università di Basilicata e dirigenti apicali della Regione Basilicata per esprimere una valutazione tecnico-scientifica sullo studio realizzato dal gruppo di lavoro Stato-Regioni circa gli elementi emersi dall'evoluzione degli studi della SOGIN (società posseduta interamente dal Ministero del Tesoro e deputata alla gestione e stoccaggio delle scorie nucleari) e dell'ENEA. Delibera n. 1932;
3) 9.7.2002 - L'assessore Carlo Chiurazzi ritira la delibera, mai più riproposta, di presa d'atto dello studio redatto dal "comitato scientifico" che  determinava l'inidoneità della Basilicata ad ospitare il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari;
4) 11.3.2003 - Il Comune di Montalbano Jonico (amm.ne di centro-sinistra), con delibera n. 9, approva un ordine del giorno inerente "indicazione area per lo stoccaggio nucleare";
5) 31.3.2003 - Il Comune di  Bernalda (amm. ne di centro-sinistra), con delibera n. 15, approva un ordine del giorno sull'ipotesi di stoccaggio di materiale nucleare nella zona metapontina;
6) 31.3.2003 - Il Comune di Rotondella (amm.ne di centro-sinistra), con delibera n. 7, approva un ordine del giorno sull'individuazione del sito nazionale di deposito dei rifiuti radioattivi;
7) 4.8.2003 - Il Comune di Pisticci (amm. ne di centro-sinistra), con delibera n. 39, approva un ordine del giorno sull'ipotesi di stoccaggio di materiali nucleari nella zona del metapontino;
8) 4.10.2003 - Il gruppo consiliare della "Margherita" alla provincia di Matera (amm.ne di centro-sinistra), promuove un convegno a Rotondella con i vertici della Sogin dal tema emblematico: "Sogin: opportunità e prospettive".
Sulla seconda questione, diversamente, non abbiamo prove ma solo indizi: 1) Poteva Nino Carelli (Presidente della Provincia) trattare con un "noto avvocato" e dichiararsi disponibile al sito unico senza avvisare la figura apicale dell'amministrazione regionale? 2) Potevano Gianni Letta (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) e Altero Matteoli (Ministro per le Politiche Ambientali) inventarsi la balla della "disponibilità di Bubbico a non fare barricate"? Oggi Bubbico chiama in causa non meglio specificati "poteri occulti" che vorrebbero vendicarsi di lui che impedì l'insediamento delle scorie a Terzo Cavone (Scanzano Jonico). Buttiamola in casciara, se vi pare. Ma è proprio certo che quell'operazione fu scongiurata solo e soltanto da un imprevisto e imprevedibile sussulto di civismo dei lucani che i padroni del vapore ed i piccoli ras locali (Bubbico compreso) mai avrebbero pensato capaci di tanta determinazioni. Sottoposti come erano (e sono) agli abusi ed ai soprusi di quattro miserabili politicanti che fanno dell'immoralità lo status quo. Dal Verbale del Consiglio dei Ministri del 27.11.2003 ...Presidente BERLUSCONI: "Altero (Matteoli, ndr), tu sai quanto ti voglio bene e quanto ti stimo.
Tuttavia, in franchezza e in coscienza, ho dato la mia adesione e ho condiviso la decisione dell'altro Consiglio perché, a mia espressa domanda, mi si è risposto che non c'era alcun problema a livello locale (siamo d'accordo con comune e provincia, la regione non farà chiasso); questo mi è stato detto. Invece, è caduta la ragione prima della nostra adesione e il sindaco cavalca la protesta; poi non c'è stata neppure comunicazione. La gente non sa che è un problema che abbiamo ereditato dagli altri, che è un problema che  coinvolge la pericolosità di molti siti; non abbiamo fatto una comunicazione adeguata. Ora, sarà anche colpa mia che, in questi giorni, sono molto impegnato sul progetto di Costituzione europea, ma in effetti non abbiamo governato a dovere un problema delicato e difficile e le reazioni che ci hanno scatenato contro non sono contro di te, sono contro il Presidente del Consiglio e contro Forza Italia; siamo noi che abbiamo avuto il calo di quattro punti. Siamo qui a fare politica, a prendere delle decisioni, ma se non abbiamo il consenso non c'è decisione che tenga. Ecco perché sono molto perplesso nell'insistere sulla proposta di Scanzano, perché la protesta non era prevista per le assicurazioni esplicite che avevo avuto".

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giovedì 24 novembre 2011

Sata, anche il 2012 inizia male

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MELFI- Ieri pomeriggio, verso le ore 15, a conferma delle voci che si erano diffuse già nel corso della mattinata, la direzione della Fiat Sata di Melfi li ha prima convocati e poi a comunicato loro – ci riferiamo ai delegati di fabbrica – il ricorso ad ulteriori giorni di sospensione dell’attività lavorativa con richiesta di Cigo, nelle giornate del 16 e del 19 dicembre prossimi e nel periodo che va dal 23 dicembre 2011 al 9 gennaio 2012. In pratica, per l’intero periodo non coperto dalle canoniche giornate di festa per Natale, Capodanno ed Epifania. Il nuovo stop produttivo è stato, come al solito del resto, motivato dal Lingotto con la necessità di adeguare i flussi produttivi alle richieste di mercato, sia italiano che straniero. Un’ulteriore conferma che il Lingotto vende sempre meno auto, compreso il modello Punto che si assemblea in Basilicata. E questo preoccupa moltissimo sia le tute blu lucane che i sindacati di categoria. Non solo confederali, ma anche autonomi. “Dopo il cospicuo fermo produttivo del mese di novembre con solo 7 giornate di lavoro, questa nuova comunicazione aziendale evidenzia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la drammaticità della situazione per il nostro territorio industriale, costretto dal mercato in continuo calo a dolorosi fermi produttivi per i lavoratori – ha detto ieri Marco Roselli, segretario generale della Fismic Basilicata -. Si chiuderà così un anno difficile che ha pesato negativamente sulle retribuzioni dei lavoratori e conseguentemente sui bilanci familiari degli stessi, con perdite retributive di circa 3mila euro per ogni lavoratore: Alla fine del 2011 saranno 65 le giornate di mancata produzione che equivalgono ad una perdita produttiva di circa 10mila autovetture”. “Siamo coscienti che pure il 2012 inizierà nel peggiore dei modi. Con i lavoratori a casa ci saranno altri duri sacrifici per tutti – ha aggiunto Roselli -. Auspichiamo che nuove relazioni industriali, nuovi modelli di organizzazione del lavoro e contrattuali, e perché no?, nuove politiche governative di sostegno alla crescita ed al mondo del lavoro, possano garantire la necessaria competitività al sistema industriale e al sistema Paese. Solo così potremo arrivare a fine crisi senza perdere per strada altri lavoratori, che sono e restano l’anello debole della catena. Sono loro a pagare colpe non loro”. Dello stesso tono le preoccupazioni della Uilm Uil lucana espresse dal segretario Vincenzo Tortorelli. “il 2011 è stato per Fiat auto Melfi il peggiore anno della sua storia – ha detto -. Un anno nero anche per le ricadute negative sul piano salariale per tutti i lavoratori della Basilicata. La nuova Cigo annunciata ieri preoccupa. L’auspicio che passata questa fase difficilissima il polo dell’auto di Melfi possa presto recuperare la sua centralità partendo dal nuovo modello che dovrà sostituire la Grande Punto e pure dalla produzione di un secondo modello aggiuntivo. Proprio come più volte chiesto dalla Uilm”.

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mercoledì 23 novembre 2011

Nuovi contratti in Fiat Venti di guerra sulla Sata di Melfi

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La fabbrica integrata è chiusa. I cancelli sono sbarrati sino al prossimo 30 novembre. Gli addetti sono in cassa integrazione. Sulla piana di San Nicola di Melfi, però, soffiano venti di guerra. Venti che sono diventati ancor più impetuosi nei gironi scorsi dopo l’annuncio di Fiat di disdire gli accordi sindacali. Per l’intera giornata di ieri tra gli operai è stato un continuo chiedere e informarsi sul futuro. Un futuro non solo legato alla contrattazione ed alla retribuzione ma soprattutto agli investimenti e alle prospettive dell’intero stabilimento.

Da anni, infatti, per la Sata si parla dell’introdu - zione di un nuovo modello ma sino ad oggi non si è passati dalle parole ai fatti. L’aumento delle giornate di cassa integrazione rispetto agli anni scorsi (passate dalle 45 del 2010 alle 66 del 2011) non contribuiscono certo a rasserenare gli animi. Così, ieri, è stata un’altra giornata campale, caratterizzata dalla richiesta da parte dei sindacati di avere un incontro per capire gli effetti del provvedimento. «Abbiamo tranquillizzato i lavoratori - precisa Vincenzo Tortorelli della Uilm - in presenza di nessuna intesa valgono le intese vigenti. Abbiamo sollecitato un incontro con Fiat ed è logico che dal primo gennaio bisognerà trovare come normare i lavoratori e garantirli sotto l’aspetto contributivo e retributivo. Per fare in modo che non si perdano i diritti acquisiti».

Ma se per i sindacati la disdetta dell’accordo è un problema, è altrettanto vero che ad essa si legano anche altre preoccupazioni, a cominciare da quella sugli investimenti legati alla fabbrica integrata. «La vera preoccupazione è produrre due modelli a Melfi - aggiunge Tortorelli - non possiamo, infatti, preoccuparci degli aspetti normativi e non curare, invece, quelli legati agli investimenti ed alla produttività». A sottolineare la necessità di avere un nuovo piano industriale per lo stabilimento di San Nicola è anche la Fiom Cgil. «La disdetta Fiat ci appare un voler nascondere la realtà delle cose - commenta Emanuele De Nicola - ci aspettavamo, invece, dal primo gennaio l’annuncio di Fiat di voler fare investimenti per Melfi e di fare nuovi modelli. Invece ha fatto l’ennesimo atto unilaterale di disdetta degli aspetti sindacali, di cancellazione dei diritti dei lavoratori, senza voler discutere il problema vero ossia se Melfi, nello scenario internazionale, avrà un ruolo definito da un piano industriale che ad oggi non conosciamo. Sappiamo solo che la cig è aumentata e, dai nostri dati, che lo stabilimento di Melfi è tra i più competitivi. Ci chiediamo quale è il nostro futuro. Non è togliere i diritti sindacali a rendere competitivo lo stabilimento, piuttosto ci sembra l’ennesimo atto provocatorio».

Ed a giudicare «sbagliata l’iniziativa della Fiat» è anche la segreteria provinciale della Cgil secondo cui «sarebbe invece necessario che la Fiat riconosca ai lavoratori il diritto di contrattare liberamente e alla pari sulle condizioni di lavoro e sullo sviluppo delle attività produttive».
Per Antonio Pepe del direttivo nazionale della Cgil, invece, la decisione di Fiat «rappresenta l’epilogo di una situazione già compromessa, che porta le relazioni sindacali ad un arretramento se non ad una vera e propria cancellazione della democrazia e della rappresentanza sindacale». Voce fuori dal coro, invece, quella di Antonio Zenga della Fim Cisl. «Stiamo sostenendo da tempo che il mono- prodotto su Melfi non reggeva - aggiunge Zenga - e questi investimenti che Fiat ancora non dice sono un problema. Entro marzo 2012 auspichiamo che su Melfi venga assegnata una nuova vettura, il che di fatto consentirebbe a Melfi di essere uno degli stabilimenti più competitivi del gruppo Fiat anche perchè ha una capacità produttiva di oltre 400mila macchine annue a pieno regime. Sugli aspetti normativi, invece, devo dire che la Fiat di Melfi ha tutto da guadagnare rispetto agli accordi che faremo perchè il 18esimo turno che si faceva a Melfi era a regime ordinario - conclude Zenga - se si dovesse lavorare sul 18esimo turno ora sarà considerato straordinario e quindi gli operai ci guadagneranno».


 
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Solo la Fiom si ribella al modello Pomigliano per tutta la Fiat

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Subito due ore di sciopero, da utilizzare nei prossimi giorni per tenere assemblee informative in tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat. Dopodichè sarà il comitato centrale della Fiom, già convocato per il 29 novembre, a valutare le azioni più «utili e efficaci» da intraprendere a difesa della «libertà» e dei «diritti dei lavoratori», compresa l’eventuale proclamazione di un nuovo sciopero generale di categoria. I metalmeccanici della Cgil fanno quadrato all’indomani della decisione della Fiat di disdettare tutti i contratti applicati nel gruppo e tutti gli altri contratti e accordi aziendali e territoriali vigenti. Una mossa per certi versi attesa, dopo l’uscita del Lingotto da Confindustria, ma non per questo meno grave, in primo luogo per gli effetti negativi che essa produrrà sulla vita concreta dei 70mila operai dell’azienda. Senza contare che la breccia nelle relazioni sindacali aperta da Sergio Marchionne rischia di diventare una voragine, con migliaia di altre imprese operanti in Italia che potrebbero facilmente seguire la strada indicata dal numero uno di Fiat-Chrysler.
L’obiettivo di Marchionne, non dichiarato, era tuttavia chiaro fin dall’inizio: sostituire il vecchio contratto nazionale dei metalmeccanici con l’accordo separato raggiunto per Pomigliano d’Arco. Un accordo che la Fiom «non ha firmato e non firmerà mai», ribadisce il segretario generale Maurizio Landini, perché peggiorativo delle condizioni dei lavoratori. Secondo Cisl e Uil, quell’intesa avrebbe dovuto essere un’eccezione, motivata con la necessità di rimuovere alcune problematiche particolari che limitavano la produttività dello stabilimento campano, per convincere la Fiat a dar seguito agli investimenti promessi. Quindi: taglio delle pause e aumento dei ritmi, fino alla limitazione del diritto di sciopero. Invece la Fiom lo aveva capito subito che Marchionne non si sarebbe fermato lì. Risultato: dal primo gennaio 2012 tutta la Fiat diventerà come Pomigliano, mentre il progetto Fabbrica Italia resta avvolto nella nebbia, malgrado i chiarimenti chiesti dalla Consob.
Purtroppo le tute blu della Cgil resteranno da sole a condurre questa battaglia. Per gli altri sindacati, a cominciare da Fim e Uilm, non è successo nulla di grave. «Ora l’azienda ci convochi subito per mettere a punto il nuovo contratto del comparto dell’auto», recita una lettera firmata anche dal Fismic. Il tavolo, fa sapere la Uilm, dovrebbe partire la prossima settimana. La Cisl, spiega Raffaele Bonanni, è «interessata a mantenere una regola nazionale per tutti gli stabilimenti Fiat e a stabilire regole contrattuali di secondo livello che si attaglino a ogni singola azienda Fiat», come accade per le Poste e per l’Enel. Dopo l’introduzione del «modello Pomigliano», ricorda ancora Bonanni, «molti dicevano che non si sarebbe investito» invece «hanno preso i lavoratori, si è stabilizzata la produzione delle Panda e, lavorando meglio, si guadagnerà in media 4000-4500 euro in più l’anno». Sarà: per ora l’unica certezza è che tra tre giorni Termini Imerese cesserà la produzione e che, nel frattempo, la cassa integrazione in tutto il gruppo è aumentata.
La decisione di Marchionne non riguarda solo i dipendenti della Fiat e nemmeno i metalmeccanici, ma tutti i lavoratori italiani. Landini lo ripete più volte, la Cgil se n’è già resa conto. Ieri Susanna Camusso ha esplicitamente accusato il Lingotto di voler «scaricare sui lavoratori le conseguenze delle sue non scelte». Dopodiché ha rivolto un appello a Cisl e Uil: «Un grande sindacato confederale - osserva Camusso - non può mai accettare un’azienda che decida di escludere altri sindacati». A Pomigliano infatti è stato stabilito che non solo i lavoratori non possono eleggere i propri rappresentanti ma chi non è firmatario del contratto non ha il diritto di essere rappresentato. Secondo Luigi Angeletti, è giusto così: «Per rilanciare l’industria dell’auto - spiega il numero uno della Uil - è necessario puntare sulla crescita salariale e sulla produttività». In questo quadro, «tutti i sindacati - afferma Angeletti - devono assumersi la responsabilità di offrire ai lavoratori della Fiat una prospettiva di sviluppo. Non è accettabile, dunque, che la Fiom operi in una condizione di privilegio in cui, da un lato, non si assume alcun impegno contrattuale e, dall’altro, pretende di avere mani libere, violando così la legge e, in particolare, lo Statuto dei diritti dei lavoratori». Per la verità, una sentenza di primo grado emessa dal giudice di Torino ha stabilito che semmai è il contratto di Pomigliano a violare la legge, proprio perché nega ai lavoratori il diritto di scegliersi il sindacato da cui farsi rappresentare.
«Se il nuovo governo ha qualcosa da dire di diverso dal vecchio, lo faccia. Il tempo delle ipocrisie è finito», insiste Landini. Richiesta, per il momento, inevasa. L’unica cosa che ha saputo fare ieri il neoministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, è stato trincerarsi dietro un imbarazzante “no comment”. Chi non ha certo paura di prendere posizione è
Paolo Ferrero: «La Fiat con un’azione eversiva si pone fuori dalla Costituzione italiana», accusa il segretario nazionale di Rifondazione comunista, che denuncia anche l’«assordante silenzio» del governo Monti.

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martedì 22 novembre 2011

Finmeccanica, appello di Camusso al nuovo governo

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Il management di Finmeccanica rilanci un immagine di trasparenza del suo comportamento. Se non sono in grado di farlo, intervenga il Governo azzerando i vertici». Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, parlando a margine di un'iniziativa all'Università di Firenze. «Le cose che stanno succedendo in Finmeccanica - ha proseguito Camusso - sono molto gravi perchè l'immagine di un'azienda fortemente internazionalizzata e con moltissimi legami con altre imprese. È evidente che, come dimostra anche l'andamento in borsa, si è aperta una stagione di sfiducia nei confronti di questo gruppo. Sfiducia che il Paese non può permettersi, perchè Finmeccanica è il più grande gruppo industriale a partecipazione pubblica che abbiamo. Come sempre - ha aggiunto il segretario della Cgil - nelle situazioni di questo tipo, bisogna intervenire subito. Lo abbiamo detto ieri e lo ripetiamo con forza oggi. Facciano un passo indietro tutti coloro che sono in qualche modo coinvolti in questa vicenda non perchè li condanniamo a priori, ma perchè bisogna salvare l'azienda. Quella di Finmeccanica - ha concluso Camusso - è una vera emergenza: il governo deve intervenire rapidamente perchè questa azienda non venga distrutta da vicende interne che nulla hanno a che fare con il lavoro e le politiche industriali».Camusso è intervenuta anche sulla "posizione" del segretario del Pd, Pierluigi Bersani in merito all'18. «Se è un'apertura chiedetelo a lui. Il tema non è quanti lavoratori oggi sono coperti dall'articolo 18 ma la funzione deterrente che quell'articolo ha. Questa è la ragione per cui non si può cancellare». Il segretario generale della Cgil torna sull'attacco all'unità sindacale. «Lo dico in particolare a Cisl e Uil. Un grande sindacato confederale non può mai accettare un'azienda che decida di escludere altri sindacati». Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, parlando a margine di un iniziativa sindacale a Firenze. «Mentre Fiat prosegue il suo cammino solitario - ha proseguito Camusso - il tema fondamentale è di ripartire dalle grandi imprese pubbliche e provare a fare delle politiche industriali. Noi abbiamo detto, in tempi non sospetti, che un'azienda che continua a citare un piano industriale che non illustra, fa venire il sospetto che forse le sue intenzioni sono altre. Poi - ha concluso il segretario della Cgil - mi viene sempre da notare che c'è una sorta di meccanismo a orologeria: ogni volta che si prova a far ripartire questo Paese, Fiat decide di piombare dentro la rottura delle relazioni sindacali. Anche questo è un modo per non discutere mai dei suoi programmi».
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mercoledì 9 novembre 2011

Berlusconi al Colle: «Mi dimetto ma dopo Legge di stabilità»

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Prima la legge stabilità e poi mi dimetto». Silvio Berlusconi si arrende a Giorgio Napolitano durante l'incontro al Quirinale. Un faccia a faccia, durato quasi un'ora, subito dopo che il premier ha perso la maggioranza alla Camera durante il voto del rendiconto generale dello Stato. Al Colle è salito con Gianni Letta. Subito dopo aver lasciato il Quirinale, Berlusconi ha convocato un vertice con gli esponenti di Lega e Pdl a Palazzo Grazioli. «Prendo atto di non avere più la maggioranza», ha detto il presidente del Consiglio che poi ha aggiunto: «Io vedo soltanto la possibilità di nuove elezioni, ma deciderà il Capo dello Stato». In ogni caso «non sarebbe pensabile dare responsabilità di governo a chi ha perso le elezioni, in democrazia si fa così». L'importante è «preoccuparci di ciò che accade sui mercati finanziari che non credono che l'Italia sia capace di approvare le misure che l'Ue ci ha chiesto». Il Senato dovrebbe licenziare in prima lettura il ddl stabilità entro venerdì 18 novembre.  A confermare le intenzioni del premier anche una nota del Colle. «Il Presidente del Consiglio ha manifestato al Capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto odierno alla Camera; egli ha nello stesso tempo espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea». Il comunicato poi aggiunge: «Una volta compiuto tale adempimento il Presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione»
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martedì 1 novembre 2011

Grecia pronta al referendum contro l'Europa

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Il premier George Papandreou ha annunciato a sorpresa di voler sottoporre a referendum Ue il piano di aiuti dell'Unione europea. L'accordo Ue sul debito greco sottoposto a referendum popolare, aumenta lo stato di incertezza e affonda l'indice Athex dei principali titoli greci che cede l'8,3 per cento. «Per la Grecia accettare l'accordo Ue è la cosa migliore, e siamo fiduciosi che Atene rispetterà gli impegni presi a livello di Eurozona e con i partner internazionali»: così i presidenti Barroso e Van Rompuy commentano l'intenzione della Grecia di tenere un referendum sulle decisioni Ue. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, nel frattempo, telefonerà questo pomeriggio alla cancelliera tedesca Angela Merkel per parlare della decisione della Grecia di fare un referendum sul piano di aiuti al Paese. Sarkozy si è dichiarato «costernato» dall'annuncio del primo ministro greco George Papandreou di indire un referendum sul piano di aiuti Ue. Lo scrive il quotidiano Le Monde, che riferisce le parole di un funzionario dell'Eliseo vicino al presidente: «Il gesto dei greci è irrazionale e pericoloso». Oggi Sarkozy, scrive ancora Le Monde, ha in programma una telefonata con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Se i greci voteranno no al referendum sul piano di salvataggio europeo «non escludo che la Grecia possa andare in bancarotta». Lo sostiene in un'intervista radiofonica il presidente dell'Eurogruppo, secondo il quale la proposta di un referendum aggiunge «un grande nervosismo e incertezza» a una situazione già poco sicura. Juncker fa sapere che al G20 di Cannes i leader mondiali discuteranno anche della questione del referendum greco. Inoltre il numero uno dell'Eurogruppo rivela che il premier greco, George Papandreou ha deciso di indire il referendum senza ascoltare i i suoi colleghi europei. Tensioni in Germania: un membro della coalizione del cancelliere Angela Merkel si è detto decisamente «irritato». «Mi sembra come se qualcuno stia cercando di sgusciare fuori da un accordo concordato, una strana cosa da fare», ha detto Rainer Bruederle, che è stato ministro dell'Economia per gran parte degli ultimi due anni, prima di assumere la guida parlamentare dei liberaldemocratici dell'Fdp. «Il premier aveva accettato un pacchetto di salvataggio di cui ha beneficiato il suo Paese. Altri Paesi stanno facendo notevoli sacrifici per decenni di cattiva gestione e scarsa leadership in Grecia: sono state fatte scelte sbagliate e il Paese si è portato da sè dentro la crisi», ha concluso il deputato. Sul fronte interno Papanadreou, deve fronteggiare la reazione del leader del partito di opposizione n Grecia, Antonis Samaras, che ha chiesto elezioni anticipate. Samaras, guida di Nuova Democrazia, ha bocciato la richiesta del governo di Atene di un referendum sul nuovo piano di salvataggio deciso per il Paese e chiesto invece di andare alle elezioni subito. «Le elezioni sono una necessità nazionale», ha detto il conservatore Samaras, al termine di un incontro con il presidente della Repubblica, Karolos Papoulias.

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