La Fiat proprio non ce la fa a spuntarla contro la Fiom. Non
sul piano legale, almeno. La Corte d'Appello del Tribunale di Roma ha respinto
il ricorso dell’azienda su Pomigliano d'Arco condannandola ad assumere i 145
lavoratori della Fiom. Uno smacco senza precedenti per Sergio Marchionne che
sull’esclusione del sindacato dei metalmeccanici della Cgil da Fabbrica Italia,
e da Pomigliano, ha puntato tutto.
"Si tratta di sanare una discriminazione e
un'ingiustizia", commenta il segretario nazionale della Fiom, Giorgio
Airaudo. "Gia' da mesi quella sentenza e' esecutiva – sottolinea Airaudo e
ora la Corte d'appello la conferma".
Lo scorso 21 giugno il Tribunale di Roma aveva condannato la
Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano disponendo che 145
lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini venissero assunti
nella fabbrica. Alla data della costituzione in giudizio alla fine di maggio su
2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno risultava iscritto alla
Fiom. Ad agosto la Corte d'appello aveva giudicato ''inammissibile'' la
richiesta della Fiat di sospendere l'ordinanza di assunzione per i 145 iscritti alla
Fiom riconoscendo una discriminazione ai danni del sindacato nelle riassunzioni
dei dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco.
La leader della Cgil Susanna Camusso, che rispetto a Fabbrica
Italia aveva invitato la Fiom ad apporre la “firma tecnica”, si è limitato a
commentare la sentenza con un laconico “è una buona notizia”.
''La notizia è molto positiva – dice il parlamentare europeo
Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil - e pone fine a
un'inaccettabile vicenda''. ''La discriminazione contro gli operai iscritti
alla Fiom – aggiunge -era palese, tanto che avevo presentato insieme con Andrea
Cozzolino una interrogazione sul tema alla Commissione europea, mettendo in
luce che neppure uno dei lavoratori riassunti dalla Newco Fabbrica Italia
Pomigliano risultava essere iscritto alla Fiom (che pure contava 850 lavoratori
iscritti prima del referendum)”. Cofferati parla senza mezzi termini di
“ricatto di Fabbrica Italia”, basato “sulla promessa d'investimenti che mai verranno
messi in campo, sulla compressione dei diritti e delle condizioni materiali dei
lavoratori e sulla vergognosa esclusione dalle fabbriche dei sindacati che non
firmano gli accordi”,
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