Pages

 

venerdì 31 agosto 2012

Il governo allo sbando

0 commenti

Si lavora per vivere, e per lavorare si è disposti a tutto, anche a morire. A rinchiudersi in un pozzo minerario nero come il carbone e profondo quasi 400 metri con altrettanti chili di esplosivo, minacciando di farsi saltare in aria. E se non basta ci si può persino tagliare le vene ai polsi, come ha fatto ieri un minatore sardo. Siccome le lotte operaie non fanno più notizia si è costretti a spettacolarizzarle, a costo dell’autolesionismo. Persino l’occupazione di un’isola da parte dei cassintegrati aveva smesso di far notizia dopo un anno. E se gli operai dell’alluminio bloccano l’aeroporto di Cagliari per difendere lavoro e futuro di un’intera comunità, a dare i titoli ai giornali sono al massimo le tante botte che si prendono dai guardiani di un ordine ingiusto. Siamo in Sardegna, un’isola a cui stanno togliendo il tappo per farla affondare definitivamente e dove per difendersi si è costretti ad alzare il livello dello scontro. In realtà ad alzare il livello dello scontro è chi guida il paese fottendosene delle condizioni di vita e del futuro dei suoi cittadini, giovani e vecchi, donne e uomini a cui vengono presentati i conti delle spese fatte da pochi prepotenti.
Il governo dei tecnici ha una sola idea in testa: tagliare le spese, aumentare le tasse con mille balzi e balzelli, liquidare il patrimonio pubblico e quel poco di welfare che si era salvato dai precedenti colpi di mannaia, cancellare i diritti di chi lavora per aprire la strada ai novelli padroni delle ferriere dell’era liberista. Non c’è un’idea della società futura che non ripercorra le vecchie, consunte e incompatibili strade percorse fin qui, quelle che ci hanno portato alla debacle odierna. Non un progetto per l’energia che non si basi sul petrolio, gli investimenti per le rinnovabili costano troppo per Monti&company e dunque i minatori sardi si mettano l’anima in pace, e si tolgano di mezzo. Al massimo possono scegliere il modo in cui farlo. Non un progetto sui trasporti che non sia lastricato di cemento e grandi, inutili e costose opere. Così la Fiat se ne può scappare dove le conviene dopo aver depredato per 113 anni le risorse pubbliche italiane, può chiudere fabbriche di automobili, autobus e trattori senza che il governo ritenga opportuno convocare Marchionne a palazzo Chigi. E Riva può fare quel che gli pare intossicando operai e cittadini di Taranto e scatenando una guerra insulsa tra i poveri, tra lavoro e salute, tra gli stessi operai e tra una parte di operai disperati e ricattati e i cittadini avvelenati di Taranto. Il governo si permette persino di attizzare animi già esasperati contro una magistratura costretta a svolgere un lavoro di supplenza per riempire il vuoto lasciato dalla politica, dalle istituzioni, persino da una parte dei sindacati collusi con il padrone che li ha convinti che l’importante è il lavoro, il salario. La salute è un lusso che non ci si può permettere in periodi di crisi.
La ministra Fornero ci fa sapere che l’autunno sarà caldo, la ringraziamo di averci informato in anticipo. Monti e i suoi ministri parlano e agiscono con la strafottenza di chi pensa di poter tutto sventagliandoci in faccia lo spread e una maggioranza che comincia a puzzare di regime. Sarà meglio darsi una mossa, finché si è in tempo.

Read more...

giovedì 30 agosto 2012

La trasfusione che mio padre non doveva fare"

0 commenti

Parla il figlio dell'uomo che denunciò la presenza di una strana buca nel suo terreno
Nel 2007 una Procura lucana ordinava di ispezionare un terreno. Scopo: trovare fusti di rifiuti tossici presumibilmente lì sepolti. Il figlio del proprietario di quel terreno ci ha raccontato fatti e antecedenti di quell’ispezione. E quella che oggi definisce una “sceneggiata”
A maggio del 2007 un sostituto procuratore della Repubblica firmava un “decreto di ispezione”. Era la probabile conseguenza d’un procedimento penale ancora aperto a carico di ignoti su un presunto seppellimento di fusti radioattivi in Basilicata. Nel decreto c’è scritto che “è necessario” procedere a un’ispezione di un terreno con l’ausilio di personale dell’Istituto nazionale di Geofisica di Roma. Ometteremo il paesino lucano dov’è il terreno e altri dettagli, per salvaguardare chi ha voluto farci questo racconto. L’ispezione doveva “verificare la probabile presenza nel sottosuolo” di fusti di rifiuti tossici. Per le indagini è delegata la Polizia giudiziaria della Squadra mobile.
La buca e gli strani movimenti di tir. Il racconto del nostro testimone è fatto di parole forti seguite ad anni di dubbi. Parole di un cittadino come tanti che oggi definisce una “messinscena” l’indagine vissuta direttamente nel 2007 sul presunto seppellimento di fusti tossici nel terreno del padre. E “non chiara” la morte del genitore. Ci mostra quel decreto d’ispezione. E con lui torniamo a tre anni prima che venisse emesso da una Procura lucana. Precisamente alla mattina del 15 novembre 2004. Il signor Gianni, chiameremo così il padre di chi ci ha raccontato questi fatti, esce di casa per andare alla sua vigna. E da tanto che non ci va. Sono anni ormai che non la frequenta più con la medesima assiduità. Poco prima che una brutta malattia, un linfoma, lo colpisse. Quando arriva nota un’enorme buca di 50 metri di diametro il cui materiale di risulta, preciserà nella denuncia, era stato “riposto ai margini della stessa”. Come se aspettasse d’essere ricoperta il prima possibile. Solo un mese dopo, il 14 dicembre, deciderà di sporgere formale denuncia ai Carabinieri del suo bel paesino nell’entroterra lucano. Lo fa perché prima di rivolgersi a loro cerca di capire in maniera bonaria, come era abituato per carattere, a risolvere la faccenda. Cerca di capire chi, e per quale strana ragione, avesse fatto quell’enorme buca nella sua terra. “Dopo averla trovata – racconta il figlio – mio padre s’allertò immediatamente”. E’ anche un po’ arrabbiato il signor Gianni. Pensa che a fare quel lavoro siano stati i proprietari di un’azienda adiacente al suo terreno. Senza chiedergli nulla hanno fatto come se fosse loro. Senza rispetto. Lì intorno, ricorda il figlio oggi, negli anni si sono comprati molti altri terreni. E fanno un po’ come se comandassero. Gente strana, in paese si sa che hanno relazioni con la malavita calabrese ed è meglio non averci a che fare. Il signor Gianni però, decide a quel punto di contattare i proprietari dell’azienda. “In un primo momento – prosegue il figlio – il padre dei proprietari disse che probabilmente erano stati i suoi ragazzi e avrebbe chiesto. Poco dopo quando lo rincontrò disse che  non ne sapevano nulla. Dopodiché mio padre sporse denuncia”. E precisa che “solo dopo la denuncia ai Carabinieri quello scavo fu trovato ricoperto”. “A quel punto – continua il nostro testimone–, mio padre s’attivò per capire cosa stesse succedendo e contattò anche un mandriano in zona, di cui non mi fece mai il nome, tenendo fede a una parola data, perché lo stesso per timore volle restare anonimo. L’uomo gli riferì che una notte aveva visto mezzi pesanti che effettuavano dei lavori per conto del gasdotto in costruzione lì vicino avviarsi verso il terreno di mio padre, e a un certo punto arrivarono due camion, uno giallo e uno bianco”.

Le indagini sulla "terra di nessuno". Anche se dal ’99 la procura di Potenza, e in particolare il sostituto Felicia Genovese, conduceva le indagini sul presunto traffico illecito di sostanze radioattive che sarebbe stato in essere negli anni ’80 nel Centro Enea di Rotondella, è solo nel 2003 che assieme al Sostituto procuratore Giuseppe Galante della Dda, interrogano in forma congiunta l’ex boss della ndrangheta Francesco Fonti. Da allora si può ipotizzare siano stati al corrente delle dichiarazioni in merito a presunti traffici e punti di seppellimento in Basilicata, nella regione che la ’ndrangheta, in un summit in Calabria, aveva definito “terra di nessuno”. Affermazioni che nel 2005 l’Espresso rese pubbliche attraverso il “memoriale Fonti”, dando inizio a quei sopralluoghi senza esito col pentito per trovare i fusti in Basilicata. Il signor Gianni aveva denunciato la buca nel suo terreno un anno dopo l’interrogatorio dei magistrati di Potenza al pentito, in quel dicembre del 2004, e pochi giorni dopo la denuncia aveva scoperto quegli strani movimenti notturni di camion lì intorno e che la ricopertura della buca. Ma è solo nel 2007, dopo 3 anni in cui la denuncia resta in un anonimo nulla, che viene emesso il decreto di ispezione da cui abbiamo iniziato questa storia.

La trasfusione che "non si doveva fare". Pochi mesi prima del decreto il signor Gianni era stato contattato dai medici del San Carlo. “Una cosa strana”, ricorda oggi il figlio, che si chiede perché quelle indagini vennero riprese solo dopo la morte del padre. “Di solito – afferma – eravamo sempre noi a chiamare per il controllo. Mio padre si recò per fare questa visita e decisero il ricovero perché secondo loro c’erano valori che non andavano. Dopo due giorni mi recai in ospedale di persona per chiedere come stesse. Mio padre mi disse che volevano somministrargli una sacca di sangue. Il primario precedente lo aveva sempre escluso perché per particolari fattori non poteva ricevere sangue. Cercai così di capire come mai in quella occasione volevano invece effettuare questa prassi prima sempre vietata, tanto che mio padre faceva delle cure molto particolari. Ma non mi fu data risposta. In ospedale rimase mia madre e la mia ex moglie. Il giorno seguente gli diedero questo sangue e la sera mio padre prima si gonfiò tutto, poi andò in coma e infine morì”. Ricorda anche che all’epoca la moglie aveva notato davanti la sala di rianimazione il nuovo primario “parlare sottovoce e in modo sospetto con un altro uomo”, e credendo che si riferissero al suocero s’avvicinò per chiedere spiegazioni sul perché fosse entrato in coma. Ma non gli furono date, e a quel punto, innervosita da questo comportamento, alzò la voce e venne minacciata dai due d’allontanamento. Solo tempo dopo riconobbe in tv quell’uomo che parlava col primario e l'aveva minacciata. "Era uno che contava al San Carlo di Potenza”. Il figlio del signor Gianni dice che di quella sacca di sangue nella cartella clinica non fu riportata né provenienza né autorizzazione a effettuare la trasfusione. Il tutto motivato dai medici con un’urgenza che i familiari, invece, proprio non vedevano.

Il sopralluogo "a metà". In quel 2007 comunque, solo dopo la morte del padre e a tre anni dalla denuncia della buca, il figlio di Gianni viene contattato dalla Polizia. Dissero che dovevano eseguire il sopralluogo sul terreno sospettato d’essere interessato al seppellimento di fusti di scorie provenienti da chissà dove. “Vennero per quel primo sopralluogo – racconta – nonostante insistetti che era inutile perché data la pioggia che s’era abbattuta non si poteva accedere. E diedero solo nell’occhio a tutti. Se quella era un’indagine da tenere segreta certo chi poteva essere direttamente interessato a mantenere anonima la cosa con quel comportamento era già allertato. Comunque sul posto non arrivammo mai. Dopo qualche giorno vidi il terreno di nuovo smosso. Allora chiamai subito il capo della Polizia che m’aveva contattato per il primo sopralluogo. Nonostante le mie insistenze su questo fatto strano, e che dovevano tornare subito per accertare cosa fosse accaduto, m’assicurò che era tutto sotto controllo della magistratura. Non mi sarei dovuto preoccupare. Passò poco tempo ancora e un giorno venni letteralmente prelevato, tanto che ero per strada e dovetti lasciare i miei figli a una persona lì vicino per andare sul sito con loro. Non capii perché visto che pochi giorni prima mi era stato comunicato che era tutto a posto. Ricordo che vennero con due macchine, non erano mezzi adatti e una si sfasciò per strada. Con loro c’era un geologo di Roma che perse parecchio tempo a fare rilievi sul terreno dove mio padre tre anni prima aveva trovato la buca, e lo strumento segnalò qualcosa che non mi fu mai specificato per segreto istruttorio. A un certo punto s’avvicinò il proprietario dell’azienda che stava vicino il terreno di mio padre e disse che là c’era solo un pagliaio e lamiere. A me sembrò uno che volesse mettersi sulle difensive. Quel pagliaio lo conoscevo sin da piccolo perché ci giocavo, da quando non era sepolto, ed escludo la presenza di materiali ferrosi. Il proprietario dell’azienda a quel punto si appartò con il capo della polizia nel suo capannone. E si trattennero parecchio. Quando uscì i ragazzi della polizia chiesero se dovevano continuare a cercare. Il terreno dove era stata fatta la buca appariva come rimosso da mezzi pesanti e sul posto era ancora presente la pala meccanica dei proprietari dell’azienda. Lo feci notare ma mi dissero che avrei potuto solo denunciare il signore che lì l’aveva lasciata. Io non lo ritenni opportuno, e dissi loro che non era quello il problema per cui stavamo là e mi sarei messo solo in guai peggiori”. Rispetto ai guai in cui si sarebbe cacciato sottolinea che lo zio del proprietario dell’azienda vicino i terreni del padre aveva ricoperto negli anni passati un importante incarico pubblico per il comune, ed era stato sposato con una donna proveniente dalla Calabria con precedenti penali e contatti con la malavita calabrese. “Il capo della Mobile – prosegue nel racconto del giorno dell’ispezione – a quel punto fece una telefonata alla pm che aveva emesso il decreto e poi ordinò ai suoi ragazzi di rientrare. Uno di essi si lamentò dicendo ʽma è questo il modo? Vogliamo dare una risposta al signore?’. Allora il capo mi chiese se ero contento di come avevano svolto le indagini e mi limitai a ribadirgli il mio dissenso. Da allora non ho più saputo nulla. Per questa storia coinvolgemmo l’allora assessore all’ambiente in Provincia. Ricordo che s’adoperò facendo fare sondaggi aerei e fotografie per rilevare se c’erano problemi. Ma anche in questo caso non ho più saputo nulla. So di certo però, che subito dopo si dimise”. Conclude con un interrogativo il figlio del signor Gianni, una domanda già sentita diverse volte in altri contesti lucani. “In questo paesino – conclude – c’è gente che s’ammala ogni giorno di cancro, nonostante viviamo in un posto dove l’aria è buona, non ci sono fabbriche e le macchine che circolano sono davvero scarse. Come è possibile?”.

Read more...

BERTINOTTI A VENDOLA: INVECE CHE UN PARTITO POTEVI FARE UN UFFICIO DI COLLOCAMENTO

0 commenti

Dal profilo fb di Leonardo Masella riportiamo una parte di un articolo uscito sul corriere della sera che farà molto discutere...

"Bersani fa grande affidamento su Vendola per il dopo-primarie. Se infatti la legge elettorale verrà alla fine modificata, assegnando il premio di maggioranza non alla coalizione ma al partito, il numero uno del Pd pensa di andare alle elezioni con un unico listone che metta insieme i Democrat e Sel. È una prospettiva su cui si sta ragionando seriamente sia a largo del Nazareno che tra i vendoliani. E, nonostante le smentite di rito, si sono fatti notevoli passi avanti in questa direzione. Come dimostra l'alterco che c'è stato qualche tempo fa tra il presidente della Regione Puglia e Fausto Bertinotti, che è contrarissimo all'ipotesi di presentarsi alle elezioni con il Pd. Vendola per sostenere la bontà delle sue tesi ha spiegato che per lui è quasi «un dovere morale» portare i giovani di Sel in Parlamento, evitando il rischio che rimangano fuori anche nella prossima legislatura. A quel punto Bertinotti non ci ha visto più e ha troncato la discussione con una battuta velenosissima: «Allora tanto valeva fare un ufficio di collocamento e non un partito»". Maria Teresa Meli, Corriere della Sera, 28.8.12

Read more...

martedì 28 agosto 2012

NO TAV OCCUPATA LA SEDE DI EQUITALIA A SUSA

0 commenti

Oggi 28 agosto 2012 il movimento no tav ha occupato la sede di Equitalia di Susa. Di seguito alcune testimonianze video e il testo del volantino distribuito durante l’azione che ne spiega il significato e le motivazioni. Dopo il blocco il gruppo di no tav si è poi diretto al vicino mercato della cittadino dove è stato accolto dagli applausi dei presenti. Una pressione e una attività, quella di Equitalia ormai insostenibile.
PERCHE’ BISOGNA BLOCCARE EQUITALIA
Tu paghi le tasse e il governo, i politici, i finanzieri e le banche con i tuoi soldi o si
arricchiscono o li sprecano costruendo opere inutili come il tav Torino Lione. Sì questo è quello che succede ai tuoi sacrifici, ai tuoi risparmi, alle tasse che tu paghi. Dalla busta paga, nelle bollette della luce e del gas, per ogni litro di carburante, nelle tasse scolastiche, in tutte le imposte che ci vengono fatte pagare c’è questo spreco, investimenti inutili che non migliorano la nostra vita, che non portano lavori utili e sani e che distruggono i territori in cui viviamo. Quando poi per tutti i motivi che conosciamo bene, le difficoltà della vita, la mancanza di lavoro e di uno stipendio dignitoso non riesci a pagare una bolletta, una tassa sulla tua casa, l’affitto o la semplice rata dell’asilo dei tuoi figli e molto altro ancora ecco che spunta EQUITALIA. Questa società di riscossione si comporta oggi come una banda di usurai che ti impicca nei tuoi debiti, li raddoppia, ti ruba la casa, ti blocca la macchina e ti porta via ingiustamente i sacrifici di una vita o peggio per chi è già in una situazione difficile anche il minimo per poter vivere. Tutto questo non è giusto e va fermato. Prima di ogni sacrificio, prima di ogni bolletta, di ogni multa, di ogni tassa ci sei tu, le persone a cui vuoi bene, la tua vita. Non dobbiamo sentirci sconfitti, non dobbiamo rimanere soli, dobbiamo avere il coraggio e la dignità di dire basta a queste rapine, a questi sequestri, a queste tasse che sono troppe e ingiuste. Come nella difesa del territorio valsusino il movimento no tav oggi ha deciso di dire no anche a questo. Un no chiaro per fermare una cosa sbagliata e proporre tante cose semplici e giuste.
- Perché il referendum sull’acqua pubblica sia rispettato e le persone possano avere
l’acqua anche se non riescono a pagare la bolletta e non si vedano arrivare a casa una
raccomandata di riscossione o sequestro di beni.
- Perché le tasse sui rifiuti siano diminuite e gli eventuali debiti dei cittadini siano
valutati dai comuni e non da un ufficiale giudiziario il cui unico obiettivo è recuperare
denaro e non aiutarli.
- Perché se non riesci a pagare la bolletta della luce ti sia lasciata una fornitura minima per vivere e non ti venga staccato il contatore.
- Perché sia garantita ai nostri figli la scuola, la mensa scolastica, i libri anche se non siamo in grado di pagare le rate e perché queste difficoltà non diventino dei debiti.
- Perché la mancanza di lavoro e prospettive non è stata causata da noi ma da decenni di governi incapaci, da una casta di corrotti e da un sistema bancario di sanguisughe che
trasforma le nostre difficoltà in debiti.
- Perché il lavoro, la salute, l’acqua, la luce, il gas, la casa, l’istruzione sono dei
diritti e non possono diventare dei debiti.
EQUITALIA ingigantisce i debiti non giusti e non veri di ognuno di noi ogni giorno. A Teramo, in una terra semplice e laboriosa come la nostra ad inizio agosto due anziani pensionati si sono impiccati abbracciandosi perché al loro figlio equitalia aveva pignorato la casa in cui viveva. Molte altre persone come loro si sono arrese e si sono suicidate in questi anni, noi pensiamo invece che si possa lottare insieme per superare queste difficoltà.
E’ NECESSARIO BLOCCARE EQUITALIA, SUBITO ORA E SEMPRE NO TAV !

Read more...

lunedì 27 agosto 2012

Protesta a 400 metri sotto terra

0 commenti

Sono asserragliati a 400 metri sotto terra, a quota -373 metri sotto il livello del mare. 40 minatori proseguono dalle 22.30 di ieri sera la protesta e hanno occupato la miniera di carbone di Nuraxi Figus, a Gonnesa, in provincia di Carbonia-Iglesias, dove hanno custodito anche un quintale di esplosivo. Il motivo: ottenere il finanziamento del ‘progetto integrato miniera-centrale-cattura stoccaggio dell’anidride carbonica’ nel sottosuolo. All’ingresso della miniera della Carbosulcis di Nuraxi Figus tre cumuli di carbone appena estratto impediscono l’accesso alle auto. Da ieri notte in miniera si entra solo a piedi.
L’occupazione della miniera, che riporta il Sulcis indietro negli anni, quando l’occupazione delle gallerie era il simbolo della lotta del territorio, arriva a pochi giorni dal vertice che si terrà al ministero dello sviluppo economico per la ‘vertenza Sulcis’ per le aziende in crisi: venerdì prossimo, 31 agosto, la Regione insieme ai sindacati incontrerà il governo per Alcoa, Eurallumina, Portovesme srl e Carbosulcis.
I minatori di Nuraxi Figus chiedono una decisione definitiva al governo sul finanziamento del progetto integrato, che varrebbe 200 milioni di euro e l’impegno dell’Enel, unico cliente della Carbosulcis per la centrale di Portovesme, ad impegnarsi definitivamente nella produzione di energia per le aziende del Sulcis. “Ho sperato sino alla fine che questo gesto estremo venisse evitato ma l’arroganza del governo e dell’Enel, che in tutti i modi si stanno contrapponendo al ‘progetto integrato miniera – centrale – cattura stoccaggio C02′, ha superato ogni limite. La lotta durissima che attende i lavoratori della Carbosulcis non deve restare isolata ma deve trovare senza infingimenti il sostegno di tutte forze politiche e istituzionali”, ha commentato il deputato sardo Mauro Pili, che nei giorni scorsi aveva annunciato forme clamorose di protesta dei minatori del Sulcis. I 40 minatori che da ieri notte hanno occupato il sottosuolo sono determinati: “Si va ad oltranza, ormai il Sulcis è in guerra. Il carbone è strategico, l’alluminio pure. Non si può pensare di chiudere le fabbriche senza colpo ferire”. E chiedono che la vertenza del Sulcis abbia la stessa dignità di quella dell’Ilva di Taranto.


Read more...

domenica 26 agosto 2012

Gli operai Alcoa all’arrembaggio per indicare la rotta a Monti

0 commenti

Un tuffo nel mare per non buttarsi giù. Giù dalla banchina però sì. Un gesto dimostrativo ma drammatico. Nel porto di Cagliari, occupato per tre ore nonostante la presenza della polizia che ormai non sa più come contenere la rabbia degli operai dell’Alcoa. Ogni tanto parte qualche manganellata. Niente da fare. Si scatenano. Parte anche un arrembaggio sul traghetto Tirrenia che attracca proprio in quel momento. Un blitz concordato con la questura ma preteso con motivazioni molto convincenti. Non stanno scherzando i 500 lavoratori di Portovesme, non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi all’idea di dover spegnere gli impianti dello stabilimento. I turisti e il comandante della nave solidarizzano. Non solo lasciano fare – e dalla nave sventola uno striscione – ma applaudono anche, condividono senza nemmeno sapere il perché le ragioni di chi si sta battendo per difendere il diritto a lavorare. Verso sera, sono tutti convocati dal questore e dal prefetto di Cagliari, le «autorità» sostengono di non poter più reggere questa situazione di illegalità. «Gli abbiamo risposto che noi siamo più in difficoltà di loro e che lo riferiscano al governo», questa la risposta di Franco Bardi, segretario Fiom del Sulcis.
E’ da gennaio che la multinazionale statunitense dell’alluminio ha annunciato la riduzione della produzione del 5% a livello mondiale. Una decisione che spazzerebbe via lo stabilimento sardo che, compreso l’indotto, dà da mangiare a circa mille famiglie in una regione che registra tassi di disoccupazione drammatici. «La Sardegna è in stato di allerta sociale e istituzionale, è necessario che il governo affronti con determinazione questa delicatissima fase della vertenza» – dice il governatore Ugo Cappellacci. Invece sono otto mesi che nessuno fa nulla, o quasi, e adesso il tempo sta per scadere: il 3 settembre, in mancanza di un nuovo acquirente della fabbrica, gli impianti dovranno chiudere. Che fare? Ecco una domanda che si dovrebbe girare ai ministri allo Sviluppo e al Lavoro (Passera & Fornero) che proprio in queste ore parlano di sviluppo agitando cifre e ipotesi di crescita che nulla hanno a che fare con il mondo reale. Come una fabbrica che chiude. Gli operai ce la stanno mettendo tutta per bucare l’algida impenetrabilità dei «massimi livelli» che stanno governando senza tanti fastidi parlamentari – solo qualche politico sardo alza la voce, gli altri preferiscono tacere. Mercoledì scorso, per esempio, i lavoratori hanno bloccato l’aeroporto di Cagliari. Il 30 agosto invece saranno a Roma, in marcia da Civitavecchia, mentre il 5 settembre la «pratica» Alcoa sarà discussa al ministero dello Sviluppo.
Gianni Venturi, coordinatore del comparto siderurgia Fiom nazionale, non nasconde la complessità della missione. Che però non è impossibile. A patto che in questi giorni si riescano a sistemare alcuni tasselli dopo il definitivo tramonto della prima ipotesi di acquisto dell’Alcoa, un compratore tedesco – il fondo Aurelius – risultato poco credibile perché non aveva presentato un piano industriale definito. Innanzitutto, spiega Venturi, Alcoa deve rispettare la promessa fatta il primo agosto, e cioè l’impegno a determinare le condizioni per continuare la produzione fino al prossimo 31 dicembre, a regime rallentato, in modo che si possano valutare eventuali altre ipotesi di acquisto interessanti. «Al governo – spiega Venturi – bisogna chiedere uno sforzo maggiore per ricercare nuovi investitori industriali o favorire eventuali partnership con altri soggetti che lavorano metalli nel Sulcis, bisogna rilanciare il polo dell’alluminio in Sardegna».
Nel frattempo, dichiarazioni di solidarietà arrivano dalle forze politiche che non hanno voluto legarsi mani e piedi al governo Monti. «E’ molto grave – dice Paolo Ferrero, segretario del Prc – che a pochi giorni dalla presunta chiusura dello stabilimento non ci sia un intervento del governo per risolvere una vertenza che aggraverebbe in maniera drammatica la crisi di un territorio che già ha una disoccupazione del 33%. Bisogna impegnarsi nella risoluzione della crisi e non trasformarla in un problema di ordine pubblico». Attacca il governo anche Maurizio Zipponi, responsabile lavoro dell’Idv. «I professori la smettano di parlare a sproposito della fine della crisi e dell’uscita dal tunnel, perché l’Italia reale sta sprofondando in un baratro. Finora Monti, Passera e la prof Fornero hanno preso in giro i lavoratori dell’Alcoa».


Read more...

sabato 25 agosto 2012

Incendiato il presidio Fiom davanti alla Maserati

0 commenti


MODENA. A pochi giorni dal raid neofascista che ha imbrattato con croci celtiche le pareti, nella notte tra ieri e oggi è stato dato fuoco al container della Fiom davanti allo stabilimento della Maserati. Ignoti hanno appiccato il rogo con il chiaro intento di distruggere un simbolo di presidio degli operai legati al sindacato in tensione con la dirigenza del Gruppo Fiat (al quale appartiene anche la Maserati). Sconosciuti gli autori del gesto. Su di loro indagano la Procura e la Digos di Modena.
“Un atto gravissimo che fa seguito ad altri tentativi di denigrazione e intimidazione nei confronti di questa organizzazione sindacale”, è quanto afferma il sindaco di Modena Giorgio Pighi in relazione all’attentato.

“Il container -prosegue Pighi- rappresenta la volontà dei lavoratori della Fiom di stare in fabbrica, con le loro idee e le loro posizioni, ovviamente discutibili, ma sempre rispettabili, comunque patrimonio del lavoro modenese”.

Il sindaco, nel condannare l’accaduto, esprime solidarietà e vicinanza alla Fiom e invita le forze e le istituzioni democratiche a tenere alta la soglia dell’attenzione. “Quando si brucia un simbolo -afferma- non si colpisce solo quel simbolo e quel che rappresenta, si colpisce quel che di meglio esprime la democrazia e cioè la libertà di pensiero”

Read more...

venerdì 24 agosto 2012

Disastro Fiat, Melfi potrebbe fermarsi per due anni

0 commenti

Melfi trema per il rischio di un rinvio al 2015 dell'arrivo in catena di montaggio per la Nuova Punto. L’allarme dei sindacati arriva mentre in Borsa i titoli del Lingotto soffrono, con Fiat che perde il 3,74% e Fiat Industrial l'1,50%. L’azienda però non conferma la notizia. Inizialmente la nuova Punto doveva vedere la luce nel 2013, ma già nei mesi scorsi erano circolate indiscrezioni secondo cui sarebbe slittata al 2014. A giugno 2012 Marchionne aveva detto che il progetto della nuova Punto “è uno di quelli che stiamo riconsiderando”. A fine ottobre il Lingotto dovrebbe presentare il nuovo piano industriale sul futuro di stabilimenti e prodotti in Italia.
Mentre si attende un quadro chiaro sull'assetto di tutti gli stabilimenti in Italia, con Cassino che oggi puo' apparire un anello debole, piu' a rischio di altri, il ministro dello Sviluppo Corrado Passera aveva nei giorni scorsi invitato la Fiat ad aprire un confronto. Qualche elemento di chiarezza potrebbe arrivare dal confronto tra Fiat e il Governo, con l'incontro tra Marchionne ed il ministro del Lavoro Elsa Fornero che era atteso entro agosto, ma che non sarebbe ancora in agenda (''ho proposto una serie di date, non abbiamo stabilito quando, ma credo che avverra'', ha detto il ministro).
Intanto dalla Serbia arriva la notizia che il governo serbo non sara' in grado di rispettare tutti gli obblighi contrattuali previsti per quest'anno nei confronti dell'impianto Fiat di Kragujevac, e dovra' rinviare una parte di essi al 2013. A dirlo è stato il ministro dell'Economia e finanze, Mladjan Dinkic,spiegando che il nodo sara' al centro di un incontro mercoledi'
prossimo a Belgrado con il vicepresidente del Gruppo Fiat Alfredo Altavilla.

Read more...

domenica 19 agosto 2012

No Tav, Val Clarea, 17 agosto, ore 4.00: il filo spinato viene giù

0 commenti

Nella notte tra il 16 e il 17 agosto un centinaio di No Tav ha colto di sorpresa, per la seconda volta, le truppe d’occupazione che presidiano il cantiere-fortino in Val Clarea. Verso le 4.00 di notte, sbucando dai boschi di Giaglione, giunti da sentieri resi più scuri dall’assenza di luce lunare, hanno lanciato all’improvviso il coro “Giù le mani dalla Val Susa” e iniziato una battitura sui New Jersey, accompagnata da un copioso taglio del filo spinato soprastante, utilizzando tronchesi e cesoie. Il filo spinato, che Ltf acquista direttamente dallo stato simbolo dell’occupazione militare nel mondo, Israele, è espressione pratica e visiva della violenza e della brutalità di governo e polizia nella valle, oltre che della debolezza di un sistema politico-istituzionale sempre più delegittimato e in crisi, costretto a ricorrere alla fortificazione delle proprie “opere” per tentare di convincere la gente della sua capacità di realizzarle nonostante il dissenso. Già durante la notte dei fuochi del 14 agosto il muro che difende parte del cantiere era stato danneggiato con l’apertura di un varco; la scorsa notte un’azione più rapida ha portato ancora un po’ più avanti il lavoro.
Quando i compagni sono arrivati nei pressi della baita hanno trovato pochi celerini stupiti e quattro o cinque militari accovacciati ai loro Lince, che, evidentemente colti alla sprovvista, hanno iniziato (soprattutto i primi) ad agitarsi senza costrutto nell’area retrostante la baita, e a proteggersi con gli scudi da pietre che non sono mai state loro lanciate. Il movimento decide quando e come usare i suoi strumenti e le sue energie, collettivamente, e porta a termine i suoi attacchi al cantiere nonostante la militarizzazione asfissiante dell’alta valle e i tentativi del nemico di capire e prevedere le sue mosse. Questa capacità di organizzazione e questa virtù dell’imprevedibilità spaventano il fronte Sì Tav almeno quanto il grado di consenso che le azioni dirette riscuotono sul territorio.
Dopo i danni al cantiere e alle truppe occupanti inflitti a luglio, ad agosto la questura di Torino ha giocato la carta del terrorismo psicologico e dell’abuso giuridico costante, attuando una sorta di cordone repressivo attorno al campeggio del presidio Gravella, a Chiomonte. Le azioni delle ultime settimane, compresa quella della scorsa notte, sembrano suggerire che tale strategia non ha sortito alcun effetto. Forse è anche per questo che i media prostrati alle lobbies del Tav, di fronte alle azioni contro il cantiere e contro la militarizzazione (diverse azioni notturne, ma anche la vivace protesta sotto la caserma dei carabinieri di Susa, alcuni giorni fa) hanno preferito, alla nostra denigrazione, il semplice silenzio. Troppo triste ammettere che neanche la carta delle identificazioni di massa e dei posti di blocco stradali a ripetizione ha pagato? Forse per questo, La Stampa e La Repubblica dedicano in queste ore i loro articoli ai 30 fogli di via che sono in corso di notifica ad altrettanti No Tav, magari sperando che questa sia la soluzione, che l’espulsione degli oppositori al supertreno dalla valle, per mezzo di tali provvedimenti amministrativi, possa disincentivarli dal tornare sul luogo del dissenso.
Ma non è stato, non è e non sarà così. Tanti sono i fogli di via notificati nell’ultimo anno, già stracciati platealmente in faccia alle forze dell’ordine in più occasioni. La stessa fine faranno queste nuove scartoffie, la cui “giustificazione” poliziesca parla già abbastanza chiaro: la protesta contro il treno che portava scorie nucleari attraverso la valle il 23 luglio, nei pressi di Borgone. Forse, mentre è sempre più difficile, per gli uomini della questura, passare notti tranquille a Chiomonte, è ora per tutti i destinatari dei fogli di via riunirsi pubblicamente in un’iniziativa in valle, appoggiata dall’intero movimento, per ribadire assieme e a viso aperto: i fogli di via non ci fermeranno mai!

Read more...

sabato 18 agosto 2012

Le bugie della Fornero: gli esodati non sono 65 mila ma 390 mila!

0 commenti

Come è possibile credere ad un Ministro che da mesi va dicendo di non volere cancellare l’art 18 e lo stesso Statuto dei Lavoratori ma poi, quando emana un decreto legge, lascia fuori 325 mila lavoratori/trici?
A fine Maggio, l’Inps ha inviato al Governo un documento con cui attestava a 390.200 unità il numero degli esodati, la stessa Fornero, in un convegno deIl sole 24 oredel marzo scorso, ammetteva che il numero dei lavoratori usciti dalle aziende e rimasti senza stipendio e senza pensione (perché a Dicembre sono cambiate innalzando l’età previdenziale portando la pensione alla soglia dei 70 anni di età, la più alta in assoluto d’Europa) era assai superiore alle cifre Governative.
Sempre l’Inps, nella audizione alla Camera di aprile, parlava di oltre 130 mila esodati, ma nonostante queste cifre documentate il Governo ha licenziato un decreto legge che prevede la copertura solo per un sesto degli aventi diritto.
Il governo dei tecnici si rivela per quello che è, un governo di ciarlatani che vende una immagine falsamente efficientista per occultare politiche di annullamento delle tutele collettive e individuali (vedi cancellazione dell’articolo 18)
Il Governo Monti vuole far cassa sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici soccorrendo le grandi imprese alle quali concederà a breve la libertà di licenziamento passando poi alla realizzazione di un altro progetto padronale: cancellare il diritto di sciopero
Un Ministro bugiardo che di fronte ai dati Inps parla di“dati parziali e manovre per danneggiare il Governo”, un Ministro che volutamente ha ignorato il documento ufficiale dell’Inps (in arrivo l’ennesimo giro di vite??) e scarica sui salari sempre più tasse salvaguardando i grandi profitti speculativi


Read more...