Chiusa la trattativa giovedi 22 marzo, il governo con
l'appoggio di Confindustria e i soliti sindacati compiacenti, Cisl e Uil, si
avvia a portare in parlamento una nuova controriforma. Dopo tanti tentativi i
padroni stanno per raggiungere la tanto agognata meta: cancellare il fatidico
articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Non c'era riuscito Berlusconi nonostante i tanti tentativi in questi ultimi
10 anni, ci riesce invece il governo sostenuto dal Pdl ma soprattutto dal
Partito democratico. Festeggia Marchionne, esulta Caprotti, padrone di
Esselunga che solo negli ultimi cinque mesi ha espulso 25 lavoratori
colpevoli di aver aderito a degli scioperi ed essersi iscritti a un sindacato
a lui non gradito, esulta il padronato perché sempre di più si sente sicuro
di poter instaurare il terrore nelle fabbriche.
La nuova controriforma del lavoro vede alla fine il No della Cgil.
Dopo settimane di inutili ed estenuanti trattative la segretaria della Cgil
Susanna Camusso ha dovuto dichiarare la propria contrarietà al pacchetto
preparato dal governo. Non era scontato. Meglio tardi che mai.
Il no della Cgil
Cosa non scontata per molte ragioni. La prima è la campagna
mediatica che da tempo governo e padroni stanno mettendo in campo descrivendo
chi accede alla cassa integrazione o allo Statuto dei lavoratori come dei
privilegiati difesi da una lobby (i sindacati) che impedisce a milioni di
giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. In secondo luogo perché non avendo
mai, in primis la Cgil, voluto farsi carico di una seria
battaglia per estendere articolo 18, ammortizzatori sociali anche alle
piccole aziende e in tutte le categorie, oggi il padronato punta in particolare
su questa disparità di diritti per dividere i lavoratori. Cosa che ha già
seriamente dimostrato di voler fare tenendo, per ora, fuori i lavoratori
dell'impiego pubblico da questa controriforma.
Sembra quindi che ci si prepari a dar battaglia. Nel direttivo della Cgil che
è seguito alla rottura con Monti sono state prese decisioni importanti. Uno
sciopero generale di 8 ore, altre 8 da decidere a livello territoriale, una
campagna massiccia di assemblee informative, una campagna raccolta firme per
demistificare la campagna del governo, manifestazioni sotto i palazzi del
governo.
Sicuramente iniziative di lotta non ancora sufficienti per respingere
l'attacco in corso, vista la portata dello scontro, ma comunque un inizio più
incoraggiante del penoso sciopero di tre ore dello scorso dicembre contro
quella che è stata definita dalla stessa Cgil come la peggiore controriforma
delle pensioni della storia. Sciopero che vide una scarsissima partecipazione
dei lavoratori perché palesemente inutile.
|
L'unità nazionale sotto il caminetto
|
Il problema quindi che si pone ora, preso atto che almeno
nelle intenzioni il gruppo dirigente della Cgil è disposto a lottare, è
capire come creare le condizioni a noi più favorevoli per la mobilitazione.
La prima questione quindi è chiarire per cosa lottiamo.
Lottiamo per convincere Monti a riaprire il tavolo?
Lottiamo perché le impetuose mobilitazioni che speriamo di
suscitare permettano al Partito democratico in parlamento di abbellire la
controriforma?
Oppure lottiamo perché questa controriforma è irricevibile
e va rispedita al mittente?
Tutta la controriforma è costruita su tre assi portanti:
peggiorare le condizioni di lavoro, aumentare la ricattabilità e pagare alle
banche gli interessi sul debito risparmiando sugli ammortizzatori.
Articolo 18: il licenziamento viene considerato discriminatorio e
quindi nullo se determinato da ragioni di credo politico, religioso o per la
partecipazione all'attività sindacale. Il problema pero' è che mai nessun
padrone, a meno che non sia particolarmente stupido, motiverà un
licenziamento con uno di questi argomenti. Per tutti gli altri licenziamenti,
disciplinare o per motivi economici (non solo perché l'azienda è in crisi)
nel caso non sussista la giusta causa comunque il lavoratore non sarà
reintegrato ma riceverà un indennità stimata tra le 15 e le 27 mensilità.
Precarietà: vengono confermate tutte le
tipologie vergognose partorite in questi anni. Semplicemente si millanta una
azione di controllo più puntuale, in particolare per i contratti a progetto e
le partite Iva. Ci concedono quanto già la legge dovrebbe garantire. Ci assicurano
che il lavoro precario costerà di più di quello a tempo indeterminato, ben
l'1,4%, una miseria. Intanto aumentano l'aliquota dei lavoratori a progetto,
che ovviamente i padroni scaricheranno sulle retribuzioni dei lavoratori, si
apre definitivamente la strada all'apprendistato. Ovvero contratti precari
che durano dai 3 ai 5 anni e che permetteranno ai padroni di pagare poco i
lavoratori ricattati e quasi nulla di contributi.
Ammortizzatori sociali: viene abrogata la Cassa integrazione
straordinaria per cessazione di attività e la mobilità. Se prima tra Cassa
integrazione e mobilità un lavoratore riusciva a mantenere un minimo di
copertura economica che variava dai tre ai cinque anni, oggi la copertura
sarà al massimo di dodici mesi fino a un massimo di diciotto per quelli con
più di 55 anni. Alla base del nuovo sistema di sostegno al reddito ci sarà
l'Aspi. Dicono che si passa al sistema universale, non è vero. Per accedervi
bisogna aver lavorato almeno 52 settimane negli ultimi due anni. I precari e
i disoccupati che lavorano meno di un anno su due non avranno nulla. Anche
l'assegno viene significativamente ridimensionato. Di fatto si risparmia
sugli ammortizzatori, visto che la platea rimarrà la stessa se non più ampia
ma i soldi saranno meno. Contro gli 8 miliardi di euro spesi in un anno
ora sul tavolo ce ne sono 1,7.
Per cosa dobbiamo lottare
Un vero proprio massacro. Ma proprio perché la posta in
gioco è alta adeguata deve essere la risposta e le rivendicazioni con cui
costruirla.
Come si fa a coinvolgere la maggioranza dei lavoratori
l’articolo 18 già non esiste nelle aziende sotto i 15 dipendenti?
Come si fa a difendere gli ammortizzatori e un assegno di
disoccupazione adeguato, cosa che quello attuale non è, se chi ha un
contratto a progetto o una finta partita Iva non vi può accede? E
soprattutto; contrastiamo questa “riforma” per difendere l'attuale sistema
legislativo sul precariato, su cui si basa il ricatto in cui vivono milioni
di lavoratori?
Questo problema la maggioranza della Cgil non se lo pone.
Anzi nel direttivo nazionale tenutosi il 21 marzo l'indicazione che è emersa
nel documento finale è stata che si lotta per modificare in parlamento un
testo di legge che comunque ha, sulla precarietà, ottenuto miglioramenti.
Documento che anche sull'articolo 18 mantiene una certa ambiguità. Non per
nulla il segretario della Fiom aveva proposto una formulazione semplice
quanto chiara: sull'articolo 18 non si tratta. Emendamento bocciato dalla
maggioranza. Per questo motivo Landini e La Cgil che vogliamo si sono
astenuti e Cremaschi ha votato contro.
Non si può pensare di chiamare i lavoratori alla battaglia
campale per chiedere di modificare comunque in peggio l'articolo 18.
Magari sposando la proposta del PD di assumere il modello tedesco dove
comunque è il giudice che ha l'ultima parola su reintegro o indennizzo.
La disponibilità alla mobilitazione c'è, la manifestazione
con sciopero generale della Fiom il 9 marzo lo dimostra. Si è toccato con
mano la determinazione degli operai.
La disponibilità si registra anche nei tanti scioperi
aziendali convocati in questi giorni. Ce lo mostra la grossa difficoltà che
hanno Cisl e Uil. Un caso su tutti la Magneti Marelli di Bologna, fabbrica
salita alle cronache per l'espulsione della Fiom dalla fabbrica da
Marchionne, dove i delegati di Fim e Uilm sono stati costretti a convocare lo
sciopero.
Quello che deve essere chiaro è che non ci si possiamo
permettere una mobilitazione che abbia come fine quello di dimostrare che per
fare le controriforme ci voglia anche la mediazione con la Cgil.
Questa lotta deve avere come obiettivo quello di fermare i
piani padronali, ovvero il ritiro della “riforma”. Che nella sostanza
significa la caduta del governo.
Per fare ciò serve una mobilitazione generale vera come da
tempo non vediamo. Serve il protagonismo in prima fila dei lavoratori, oggi
questo è possibile a patto che l'iniziativa non venga lasciata in mano ai
vertici sindacali.
|