Ieri l'altro durante lo sciopero degli studenti nella città
di Roma si sono prodotte una decina di occupazioni per il diritto all'abitare.
Prende oramai piede in Italia dentro le mobilitazioni una nuova dinamica che
introduce pratiche di conflitto sociale ed azioni dirette nelle quali si
sviluppano complicità tra soggetti diversi, in questo modo lo sciopero diventa
sociale ed allarga il suo campo d'intervento. Ne abbiamo discusso con Paolo
Divetta dei Blocchi Precari Metropolitani.
Di Vetta: Il tema dello sciopero sociale era dentro la
mobilitazione di ieri l'altro, nella giornata abbiamo visto dispiegarsi le
mobilitazioni del corpo studentesco ed i movimenti contro l'austerity,
movimenti che hanno trovato dentro il terreno della riappropriazione del
diritto all'abitare la giusta conclusione. La necessità di rendere sociale la
mobilitazione ha di fatto caratterizzato le iniziative. La condivisione che c'è
stata a monte tra movimenti e studenti ha messo quindi al centro il terreno
della riappropriazione della casa e del reddito contro le politiche di
austerity
Rispetto alla mobilitazione studentesche degli anni
precedenti, ci troviamo di fronte ad un terreno in cui sembra che i movimenti
studenteschi si muovano più contro la gabbia dell'austerità che sulle
rivendicazioni legate al diritto allo studio com'era avvenuto ad esempio con
l'onda. Sembra che il tempo di questa lotta sia il presente.
Di vetta: Credo che il movimento abbia preso questo tipo di
svolta, se così possiamo definirla, questo l'abbiamo visto anche il 14
novembre, il meccanismo tra scuole e territorio porta le periferie al centro,
non ci sono più solo gli studenti, tutti i soggetti sociali si sentono senza un
presente degno. Di fatto sono i soggetti colpiti dalla crisi che tendono a
riprendersi i propri spazi con tutti i meccanismi possibili, da quelli che
intervengono sul terreno della visibilità attraverso il conflitto di piazza
com'è avvenuto il 14 novembre, o com'è successo ieri, nella relazione sociale
con i movimenti dell'abitare riappropriandosi del diritto alla casa e di
reddito.
Questi movimenti si muovono su un terreno inedito rispetto
alla rappresentanza, producono forme d'indipendenza nella mobilitazione che
alludono ad una forma differente del fare politica è cosi? Sbaglio?
Di Vetta: No, non sbagli, questi movimenti a volte si muovono
in relazione a date e scadenze definite da altri, come quella lanciata dalla
Fiom sulle quali occorre fare due considerazioni. La prima è ancora la non
consapevolezza delle propria forza, per cui il dubbio che non ci siano le
condizioni sul piano dell'indipendenza per lanciare scadenze di così alto
livello. La seconda considerazione invece riguarda il tentativo di questi
movimenti di attraversare e mettersi in relazione con ciò che si muove sul
piano sociale. Ieri c'era la Fiom ma c'erano anche le occupazioni messe in
campo dal movimento per l'abitare. Il movimento studentesco si mette in
relazione con tutto questo provando a districarsi a meta strada tra una
richiesta di indipendenza e la richiesta di relazione.
A me pare che il tema che riguarda le mobilitazioni in
essere, è quello della riterriterritorializzazione, penso ad esempio a come i
movimenti degli studenti a Torino si sono intrecciati con il movimento No TAV.
I movimenti metropolitani hanno una specificità rispetto agli altri territori
in cui si esplicita il conflitto sul piano del diritto all'abitare e del
reddito o c'è una continuità con quello che sta avvenendo nelle altri parti
d'Italia?
Divetta: Io credo che si stia modificando la situazione, se
questo era vero un po di tempo fa, rispetto alla centralità della metropoli -
la metropoli come fabbrica diffusa - oggi entra in gioco la questione della
messa a valore delle vite. Il meccanismo che mette a valore il territorio città
o un territorio come quello della Valsusa mette a valore le vite di ognuno, e
questo meccanismo mette in relazione la lotta di ognuno di noi per il reddito,
per la casa, e per la qualità della vita in opposizione alla rendita. Questa
cosa sta dando centralità alla città e al territorio. Oggi gli interessi
speculativi che producono profitto e plusvalore e avvantaggiano il capitalismo,
determinano al tempo stesso la condizione che produce la capacità di
organizzazione indipendente e la necessità di riterritorializzazione dei
conflitti. C'è una necessità, quella di riuscire a mettersi in relazione con
quello che sta accadendo, se il capitale mette a valore il territorio occorre
impedirlo. La pratica della riappropriazione, dell'occupazione di case, di
fatto da la possibilità a migliaia di persone, più giovani e meno giovani di
avere una forma di reddito diverso nelle proprie tasche e di avere un tetto da
utilizzare.
Tu utilizzi spesso il termine delle pratiche sociali. Dalle
occupazioni al blocco degli sfratti, prendendo in considerazione anche le varie
forme di autorganizzazione sociale che si stanno sviluppando contro la crisi,
esiste una possibilità di cooperazione per costruire un processo tra forze
differenti (centri sociali, associazioni, movimenti, partiti) che si muovono
nella stessa direzione?
Si io penso che non solo deve avvenire, ma è assolutamente
auspicabile e possibile. L'importante che il piano dell'indipendenza e del
conflitto siano i livelli che vanno fatti prevalere. La capacità per esempio
dei movimenti in questo momento studenteschi, di avere una esercizio
indipendente della rappresentazione del conflitto e che questo non debba essere
poi terreno di egemonia di questo o quella soggettività politica è
fondamentale. Alimentare questo “battito”, e costruire queste complicità ci può
aiutare intanto a mettere in campo meccanismi di contaminazione. Noi ci
dobbiamo mischiare, dobbiamo mettere in relazione i soggetti sociali che si
affacciano nei territori e nelle città, e solo con questo meccanismo possiamo
produrre la differenza.
Ieri mattina ad esempio hanno provato a sgomberare le occupazione recenti, dove i movimenti hanno scontato una debolezza queste hanno dovuto fare un passo indietro. Quando invece le forze dell'ordine hanno trovato di fronte un meccanismo di resistenza e di determinazione forte del fatto che c'era una complicità cittadina hanno dovuto desistere. Coloro che si sono arrampicati sul tetto in Via Prenestina e che hanno respinto lo sgombero, non erano forti del fatto che erano sul tetto, ma forti per il fatto che c'era un meccanismo in moto che tutti insieme produceva resistenza.
I movimenti romani, hanno fatto questo sforzo, hanno richiesto la complicità necessaria tra soggetti differenti tra loro, e si sono messi insieme caratterizzando la giornata di ieri. Questo può diventare paradigmatico, può produrre una valorizzazione delle differenze, e così si può rompere lo schema azione repressione e costruire esperienze di contropotere reale. Dove noi facciamo una cosa ce la difendiamo insieme e non ce la tolgono. Quando c'infiliamo dentro uno spazio della sede ex Inps ora diventata di proprietà del fondo immobiliare “Investire Immobiliare”, che nei giorni scorsi abbiamo occupato noi impediamo un'azione speculativa, ma non lo impediamo a parole lo impediamo andandoci dentro quel posto. Non siamo forti soltanto della nostra presenza ma dell'esperienza unitaria e complice che stiamo producendo nella città di Roma. Se questo non si molla i problemi li avrà chi gestisce la città, e non li avrà solo Alemmano ma anche chi pensa al modello Roma di Veltroni. Questo meccanismo può quindi aprire una discussione sul modello di sviluppo in cui le complicità dei vari soggetti diventano fondamentali. Oggi non solo occorre riconoscersi, ma saper mischiarsi e produrre la differenza.
Ieri mattina ad esempio hanno provato a sgomberare le occupazione recenti, dove i movimenti hanno scontato una debolezza queste hanno dovuto fare un passo indietro. Quando invece le forze dell'ordine hanno trovato di fronte un meccanismo di resistenza e di determinazione forte del fatto che c'era una complicità cittadina hanno dovuto desistere. Coloro che si sono arrampicati sul tetto in Via Prenestina e che hanno respinto lo sgombero, non erano forti del fatto che erano sul tetto, ma forti per il fatto che c'era un meccanismo in moto che tutti insieme produceva resistenza.
I movimenti romani, hanno fatto questo sforzo, hanno richiesto la complicità necessaria tra soggetti differenti tra loro, e si sono messi insieme caratterizzando la giornata di ieri. Questo può diventare paradigmatico, può produrre una valorizzazione delle differenze, e così si può rompere lo schema azione repressione e costruire esperienze di contropotere reale. Dove noi facciamo una cosa ce la difendiamo insieme e non ce la tolgono. Quando c'infiliamo dentro uno spazio della sede ex Inps ora diventata di proprietà del fondo immobiliare “Investire Immobiliare”, che nei giorni scorsi abbiamo occupato noi impediamo un'azione speculativa, ma non lo impediamo a parole lo impediamo andandoci dentro quel posto. Non siamo forti soltanto della nostra presenza ma dell'esperienza unitaria e complice che stiamo producendo nella città di Roma. Se questo non si molla i problemi li avrà chi gestisce la città, e non li avrà solo Alemmano ma anche chi pensa al modello Roma di Veltroni. Questo meccanismo può quindi aprire una discussione sul modello di sviluppo in cui le complicità dei vari soggetti diventano fondamentali. Oggi non solo occorre riconoscersi, ma saper mischiarsi e produrre la differenza.