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venerdì 25 maggio 2012

Metalmeccanica, recessione senza luce

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«Di solo rigore di muore», scoprono le imprese. E sognano un allentamento nel "rigore" sulla spesa pubblica.
Francesco Piccioni
La crisi e la cura, viste da dentro un settore chiave dell'economia italiana. La metalmeccanica rappresenta infatti il 50% della manifattura ed anche delle esportazioni. È in recessione da molti mesi e «non vede la luce in fondo al tunnel».
I dati dell'analisi congiunturale di Federmeccanica - presentati ieri mattina - sono secchi. Tutte le tendenze negative vengono confermate e per il prossimo futuro, guardando afgli ordinativi, nel migliore dei casi non ci sarà un ulteriore peggioramento. La produzione nel primo trimestre è caduta di un ulteriore 1,4% rispetto agli ultimi tre mesi del 2011; ma del 3,3 rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Peggiorano un po' tutti i comparti (l'auto, ovviamente, con la Fiat in ritirata dal paese; ma anche i prodotti elettrici, a conferma che la frenata è dovuta soprattutto alla caduta dei consumi interni). E forse è molto più che un curiosità il fatto che il vero boom riguardi una merce atipica e il commercio con un paese particolare: sono praticamente raddoppiate le esportazioni di oro grezzo verso la Svizzera.
Che il cuore della recessione sia nella carenza di domanda nazionale è confermato dal drastico calo delle importazioni (-16,7%), mentre l'export - grazie soprattutto ai paesi europei fuori dalla Ue - hanno sostanzialmente tenuto, con un progresso del 5,3%. Abbiamo così il paradossale risultato che la bilancia dei pagamenti del paese, in questo settore, risulti in grande attivo: 12,7 miliardi, oltre il triplo di un anno fa. Ma c'è davvero poco da gioire...
In Europa siamo comunque in pericolosa compagnia. La meccanica tedesca va ancora alla grande, la francese e l'inglese sono stazionarie. A calare sono soprattutto Italia e Spagna, guarda caso i paesi che più hanno dovuto tagliare la spesa pubblica per migliorare il bilancio. È una sottile ironia dell'economia il fatto che la riduzione del «pubblico» diventi immediatamente una riduzione delle commesse del «privato». Dovrebbe far riflettere tanti editorialisti un tanto al chilo...
Sia il vicepresidente Roberto Maglione che il diretto generale, Roberto Santarelli, ammettono che «se non c'è un rilancio della domanda a livello europeo, è difficile che i singoli paesi possano riuscirci da soli». Ma se in tutta la Ue si impongono politiche «rigoriste» quel rilancio non ci sarà mai. Le speranza vengono dunque, anche per le imprese, dal G8 di Chicago, che ha di fatto «isolato» la Merkel. Anche se è presto per parlare di un'inversione di tendenza sulle politiche Ue. Ma il discorso principale si riassume in una battuta condivisa: «di solo rigore si muore». Diciamo che anche qui si ripete il mantra «coniugare il necessario rigore con misure per la crescita». Un ossimoro, in pratica. Ma nessuno ci fa caso, ormai.
In attesa delle decisioni europee, e preso atto che sia il governo che i partiti che lo sostengono sembrano «consapevoli» della necessità di cambaire passo, le imprese vorrebbero almeno tre cose: puntualità dello Stato nei pagamenti (si calcolano in 70-100 miliardi le somme dovute e non versate per merci e servizi), sbloccare il credito (di nuovo in crunch soprattutto per le piccole aziende) e far ripartire «il volano dell'economia»: infrastrutture (e quindi investimenti in gran parte pubblici), edilizia, ecc.
Il nodo, dal loro punto di vista, resta la «competitività»; non solo delle singole aziende, ma del «sistema paese». Partita difficile da giocare se la domanda è in calo (e quindi non favorisce investimenti per ottimizzzare il processo produttivo) e la «tassazione», tra imposte dirette e contributi sociali (il cosiddetto« cuneo fiscale»), è tale da «handicappare pesantemente» i margini. In questo quadro paga pesantemente dazio l'occupazione. A febbraio è stato registrato un calo dell'1,3% rispetto al 2011. Le ore di cassa integrazione, tradotte in unità lavorative, equivalgono a 185.000 metalmeccanici messi fuori dalla produzione. E per i prossimi sei mesi, visto l'andamento degli ordinativi, «sono attesi ulteriori ridimensionamenti degli organici». Che si tradurranno - è scontato - in una proporzionale «caduta della domanda interna». Ovvero avvitamento, recessione più profonda.


La strada stretta del nuovo contratto
Dietro i numeri spunta il problema politico: sarà rinnovato o no il contratto nazionale dei metalmeccanici? La situazione è stata complicata dai diktat di Marchionne prima e dall'uscita della Fiat da Confindustria, poi. Lasciando le imprese a metà del guado, oltre che Cisl e Uil senza più credibilità. Nel 2009 è stato fatto un nuovo contratto che stracciava quello sottoscritto soltanto un anno prima e firmato anche dalla Fiom. La quale ora ha presentato una propria piattaforma per il rinnovo - votata nelle fabbriche - non riconoscendo quello «separato».
Come se ne esce? Federmeccanica è combattuta tra due tentazioni. Da un lato riconosce la forza della Fiom nelle fabbriche e sa che una lunga stagione di conflitto potrebbe tagliare le gambe a un settore che resta comunque oltre il 20% sotto i livelli di produzione del 2008. Quindi coinvolgere le tute blu di Landini sarebbe utile e necessario. Dall'altra, però, c'è la possibilità di usare la crisi stessa per forzare definitivamente la mano, rinunicando a stipulare un nuovo contratto con chicchessia.
Dice Santarelli: «il contratto lo rinnoveremo se lo riterremo utile per la competitività delle imprese», a partire dalla «produttività». Altrimenti no. Cosa significa? Intanto un prolungamento degli orari di lavoro, ovvero delle ore «effettivamente lavorate». In fondo, l'art. 8 della «manovra d'agosto» (quella di Sacconi) permette di evitare qualsiasi obbligo di legge. Non è stato usato fin qui perché si era raggiunta questa intesa con l'accordo del 28 giugno. Ma se non otterranno ciò che vogliono...
Una via d'uscita per «ricucire» con la Fiom viene vista solo se «si riesce a discutere della rappresentanza». Ovvero di una legge che sciolga il nodo di chi rappresenta davvero chi lavora. Ma, avvertono le imprese, non è il contratto dei metalmeccanici il luogo dove si risolve». Strada ultra-stretta, dunque. Fr. Pi.

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domenica 20 maggio 2012

Brindisi, Veronica lotta ancora tra la vita e la morte. Si moltiplicano gli appelli alla mobilitazione immediata

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Chiediamo di mobilitarci sin da subito, nelle piazze, davanti ai Comuni. A Brindisi saremo in piazza alle 18. Vi chiediamo di fare lo stesso in tutta Italia. Lo chiediamo, come studenti a tutta la cittadinanza italiana. Non restiamo fermi, bisogna reagire a questa violenza”. Mentre Veronica Capodieci, l’altra ragazza rimasta gravemente ferita nell’attentato di questa mattina a Brindisi, lotta tra la vita e la morte (contrariamente a quanto circolato in mattinata), il tam tam della mobilitazione ha già fissato decine di appuntamenti nelle città. Tra gli altri, l’appello firmato dall'Unione degli Studenti, dalla CGIL, da Libera, da Legambiente, dalla Rete della Conoscenza, dall' Arci. Intanto, le indagini, dopo il ritrovamento di un timer, puntano sempre di più verso la pista dell’avvertimento mafioso.
“Non si può morire - scrivono - entrando a scuola. Contro la violenza e il terrorismo gli studenti invitano a reagire. La violenza cieca e criminale del terrorismo ha colpito ancora. Colpisce vittime innocenti, ragazzi, studenti nella loro scuola, presidio di legalità e spazio di giustizie e libertà, luogo in cui dovrebbe nascere la speranza di un futuro migliore, e che invece oggi è stato teatro di una orribile tragedia. Come studenti non possiamo restare fermi. La solidarietà attiva, umana, è una necessità senza la quale si rimane soli, senza la quale si perde il senso collettivo di una tragedia come questa”.
Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha disposto l'esposizione delle bandiere a mezz'asta per oggi e per i prossimi tre giorni e ha espresso telefonicamente al sindaco di Brindisi, Cosimo Consales, e al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, solidarietà e cordoglio con la preghiera di trasmettere tali sentimenti ai giovani e alle famiglie colpiti così duramente dal vile atto omicida.
La Cgil subito subito dopo i fatti di questa mattina aveva diffuso il seguente comunicato. "Il primo pensiero va alle vittime di questa insensata e brutale violenza, agli studenti e alle studentesse, ai docenti e al personale dell'Istituto Falcone e Morvillo, a tutta la comunità cittadina di Brindisi e alle Istituzione che la rappresentano. Il fatto che oggetto dell'attentato siano stati dei giovani esaspera il nostro dolore, dando ulteriore dimostrazione di disumanità di chi ha voluto macchiare col sangue una giornata che per Brindisi sarebbe stata di impegno sociale e civile; sarebbe infatti passata la Carovana Antimafia, promossa tra gli altri anche dalla Cgil. Il fatto che l'attentato si sia materializzato a pochi passi dalla nostra sede provinciale rappresenta per noi un ulteriore motivo di rabbia. Confermiamo dunque con forza il nostro impegno senza sosta contro ogni forma di violenza e di terrorismo di qualsiasi matrice, nella speranza che prima o poi i responsabili di questo attentato siano presto individuati. La Cgil promuoverà nelle prossime ore, insieme a tutte le forze democratiche e della società civile, diverse iniziative in Puglia e in tutta Italia per dire ancora una volta no a chi vuole diffondere terrore e violenza. Confermiamo, inoltre, che stamattina la Cgil conferma la propria presenza alla conferenza stampa già prevista per la carovana antimafia".
Il segretario del Prc Paolo Ferrero ha espresso a nome suo e di tutto il partito della Rifondazione Comunista "il cordoglio ai familiari della giovane ragazza assassinata a Brindisi e l'orrore per la barbarie che a Brindisi si è scatenata". "La ferocia di chi mette bombe appositamente per cercare la strage di giovani ragazzi e ragazze e seminare il terrore - si legge in una nota - non può essere lasciata impunita: lo Stato si attivi per assicurare i colpevoli alla giustizia".
I giovani del Prc saranno presenti nelle manifestazioni e sit-in in tutta Italia (a Roma, 18.30 al Pantheon, a Palermo alle 16 all'Albero Falcone, a Catania alle 17.00, Palazzo della Prefettura) per protestare contro l'attentato criminale. Altri appuntamenti sono previsti a Milano piazza San Fedele ore 17, ma anche ad Ancona, Perugia, Brescia, Genova Padova, Sassari, Palermo, Reggio Calabria.
"Non aspetteremo la sentenza della Cassazione per reagire", dichiarano in una nota i giovani comunisti. "Tre bombe - scrivono in un comunicato - hanno ucciso questa mattina davanti ad un Istituto professionale di Brindisi una ragazza di 16 anni e ne hanno ferite altre sette. Forse è presto per affermare con certezza i nomi dei responsabili. Ma certo non aspetteremo le sentenze della Cassazione per esprimere la nostra indignazione e per dire che la Storia di questo nostro Paese la conosciamo fin troppo bene". "Il giudice Caponnetto - ricordano - diceva che 'la mafia ha più paura della scuola che della giustizia'. Le tante stragi impunite ci raccontano poi la storia del dolore degli innocenti, gli intrecci mortiferi tra apparati dello Stato, poteri forti, criminalità organizzata. Chi ha messo quelle bombe voleva uccidere. Ha ucciso Melissa ma voleva uccidere tutti noi. La cultura, il conflitto, l'alternativa di un mondo più giusto". "Noi reagiremo, ci ribelleremo, resisteremo, moltiplicheremo la nostra lotta dentro ogni scuola, ogni istituto, dove sta la nostra gente. Con infinita rabbia, ma senza paura, con lucidità e determinazione. Stiamo organizzando in tutta Italia presidi, manifestazioni, sit-in", conclude la nota.
Recentemente in Puglia c'è stata una ripresa della criminalità. Fabio Marini, presidente dell'associazione antiracket di Mesagne, è stato vittima di un attentato dinamitardo pochi giorni fa: la sua auto è saltata in aria la notte del 4 maggio.
Il 9 maggio scorso gli investigatori avevano portato a segno un brutto colpo contro la criminalità organizzata arrestando, a Mesagne, 16 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento aggravato e incendio aggravato.
Lo scorso 8 maggio un gruppo di esponenti politici pugliesi, guidati da Alfredo Mantovano (Pdl), era stato ricevuto al Viminale dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, alla quale avevano segnalato l'allarme criminalità nel brindisino. La richiesta dell'incontro faceva seguito alla bomba fatta esplodere nell'auto del presidente dell'Associazione antiracket di Mesagne e ad una serie di altri episodi criminali.
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lunedì 14 maggio 2012

6-7 maggio: il voto sgretola l’unità nazionale che sostiene Monti

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Il risultato delle amministrative del 6-7maggio è buon testimone dei rapidi cambiamenti in atto in tutta Europa (e quindi anche in Italia), se si guarda alla profondità dello scossone che ha determinato una consultazione elettorale che, in definitiva, interessava ventitre comuni capoluogo di provincia più alcune decine di altre città.
Tutti i partiti che hanno sostenuto negli ultimi mesi il governo Monti, perdono voti.
Il PDL esce demolito dalle urne.
Facendo un confronto con le regionali del 2010, quello che può essere più credibile, il PDL crolla dal 28,8% al 12,8% materializzatosi alla chiusura dello spoglio lunedì sera, venendo letteralmente polverizzato in due roccaforti tradizionali della destra come Como e Rieti.
Annichilita anche la Lega Nord, che perde oltre due terzi del suo consenso (dal 16,5% al 5,0), colpita nel suo centro direzionale dalle inchieste di più procure che hanno sbriciolato la spassosa immagine del partito che non si faceva contaminare dalla corruzione.
In Lombardia la Lega perde i suoi bastioni di Monza e Como e passa da 23 sindaci a 10. Si sposta chiaramente il ponte di comando verso il Veneto, dopo il successo di Tosi a Verona (57% al candidato sindaco, il 37 alla sua lista e solo il 10 a quella della Lega), in aperta contrapposizione con Bossi.
La Lega di Tosi in Veneto, con il record di fascisti imbarcati negli ultimi anni e l’asse con Maroni che, alla faccia del repulisti, come primo atto da nuovo leader conferma il suo appoggio a Formigoni, delinea una Lega diversa ma non nuova, sempre impegnata nel tentativo di far convivere l’anima reazionaria e xenofoba delle ronde con la presenza nelle istituzioni.
Al confronto del vecchio asse del Nord, appare più contenuto il calo del PD (che passa dal 27,8% al 19,2) mentre si conferma la caduta dell’Italia dei Valori, già visibile alle regionali del 2010, che ora si ferma poco sopra al 3%. Perse le tracce del Terzo Polo che doveva diventare il primo, fa registrare invece un vero exploit il movimento di Grillo (dal 4,8% al 10,1).
Il movimento Cinque Stelle ottiene alte percentuali particolarmente in Liguria, Veneto (a Serego in provincia di Vicenza il primo sindaco grillino) ed Emilia Romagna (dove va al ballottaggio a Parma), mentre più contenuto è il successo al Sud. Questo movimento, che prima raccoglieva soprattutto tra elettori di centrosinistra delusi, ora prende la maggior parte dei nuovi voti soprattutto dalla Lega.
A queste elezioni è risultato evidente il corteggiamento del voto leghista con le dichiarazioni di Grillo, all’uscita delle inchieste su Belsito, che assecondavano spudoratamente la tesi complottista. I flussi elettorali dell’Istituo Cattaneo pubblicati sul Corriere della Sera dimostrano chiaramente che la maggior parte dei voti al movimento Cinque Stelle, soprattutto in Emilia Romagna (dove prima questo movimento sottraeva in maggior parte al centrosinistra), vengono dalla Lega Nord.
A Palermo è clamoroso il successo di Orlando, che prende tre volte i voti delle liste che lo sostengono. Sinistra e Libertà, che qui come a Napoli ha appoggiato il candidato del PD (Ferrandelli), si ferma al 2,2%, mentre la Federazione della Sinistra, nonostante la collocazione di SEL, non guadagna voti (il 4,7% della lista FDS-Verdi rispecchia più o meno fedelmente il voto di queste due formazioni alle precedenti amministrative) e rimane fuori dal consiglio comunale.
A Genova il successo del candidato che alle primarie si era presentato in alternativa a quello del PD (Doria) trascina anche SEL, che passa dai 7493 voti del 2010 agli attuali 11606. Lo stesso non si può dire per la FDS, che cala dal 3,95% al 2,28 (da 10569 a 5274 voti). Rifondazione a Genova si è rifiutata di partecipare alle primarie e, un secondo dopo l’uscita dei risultati, ha dato il suo sostegno al vincitore; senza riuscire, in entrambi i casi, a motivare in maniera convincente perchè si è stati fuori dalle primarie e quali cambiamenti nel programma di Doria fossero intervenuti per motivare, in un momento successivo, il nostro sostegno.
Sinistra e Libertà, nei dieci comuni capoluogo dove si può paragonare il voto a quello delle regionali del 2010, passa da 14815 voti a 24339. Un aumento, determinato in molti casi da alleanze con liste civiche, che rimane inferiore alle aspettative e che, tenendo in questi comuni la percentuale di SEL ferma al 3,28%, non consente a Vendola di esercitare con qualche esito una pressione sul PD, il che spiega anche le titubanze sul governo Monti così come sull’ipotesi di allargare il centrosinistra all’UDC, dove Di Pietro invece si permette sparate più rumorose.
Nei nove comuni capoluogo dove si può tracciare un confronto tra il voto dell’ultimo fine settimana e quello alle regionali del 2010 (sono nove), la Federazione della Sinistra passa da 18902 voti a 12878, in percentuale dal 2,62% al 2,40. Una dinamica del voto ferma, come paralizzata sembra essere l’iniziativa politica.
Il risultato della FDS, oltre al dato di Parma (1,85%), si conferma particolarmente negativo al sud (segnatamente in Calabria e in Puglia): 0,52% a Frosinone, 0,70% a Catanzaro, 1,17 a BAT, 0,94 a Brindisi.
Nonostante un voto in forte mobilità, la Federazione della Sinistra non capitalizza affatto: non emerge alcun guadagno dall’essere il partito che più coerentemente si è collocato all’opposizione dei provvedimenti del governo tecnico di unità nazionale. Forse perchè questa opposizione non si è vista e la manifestazione nazionale del 12 maggio (una convocazione arrivata dagli organismi nazionali della FDS con un percorso che definire travagliato è un eufemismo) per dirgliene quattro a Monti e Fornero è troppo poco. E troppo tardi.
All’uscita dei risultati il commento di D’Alema è stato la foto di Vasto ormai è realtà, chiamarla ancora foto è riduttivo. È una dichiarazione che fa emergere chiaramente un ritrovato ottimismo rispetto al fatto che il centrosinistra possa vincere alle politiche del 2013.
Bersani dice che ora il governo dovrà ascoltarci di più e rilancia l’alleanza dei progressisti coi moderati di centro (una alleanza che il PD proverà ancora a realizzare ma ovviamente, vista la debacle di Casini e compagnia cantante, senza la perentorietà di prima). Esce quindi temporaneamente indebolita la suggestione di replicare nel 2013 l’unità nazionale che ora sostiene Monti, il Partito della Nazione che ne doveva costituire un perno viene frettolosamente accantonato e lo stesso Alfano dice che vertici a tre non se ne faranno più.
In Italia, per ora, non c’è il livello di mobilitazione di altri paesi europei e nemmeno il conseguente effetto elettorale. Con uno scenario politico che, sebbene più per il cedimento di PDL e Lega che per un’avanzata del PD che nei fatti non c’è, vira verso la possibilità di un governo di centrosinistra nel 2013, nel PRC ci si appella di nuovo alla linea del tutti insieme si vincee conseguentemente occorre fare di tutto per rimanere agganciati al centrosinistra (meglio se in una versione un po’ più di sinistra). Così, invece di dedicarsi alla costruzione di qualcosa di fecondo fuori dall’unità nazionale costruita attorno al PD, che è ciò di cui si sente realmente la necessità in questo momento, si continua a voler unire soggetti con traiettorie politiche diverse.
Rimane questa l’ossessione dentro la maggioranza di Rifondazione e, neanche a dirlo, in tutta la Federazione della Sinistra. Come spiegare altrimenti l’affanno quale finora il partito ha occupato l’autostrada vuota lasciata a sinistra dal sostegno del PD al governo Monti (e dalla timidezza di Sinistra e Libertà).
Il contesto europeo può aiutare a cambiare rotta.
L’esperienza della Grecia, del Portogallo e della Spagna è troppo eclatante per nascondere agli occhi di chi vuol vedere che il prossimo partito ad essere travolto dall’impopolarità è il PD che si candida a gestire l’austerità nel dopo-Monti, sia pure cercando di smussarne i tratti, coprendosi dietro i tentativi del neo-presidente socialista Hollande di portare a casa qualche modifica del Fiscal Compact (il provvedimento della UE che detta le linee delle politiche di lacrime e sangue che vengono portate avanti in tutta Europa).
Anche in Italia c’è sicuramente una indignazione crescente contro la politica esistente e il voto in Sardegna che abolisce le quattro neo-province, così come la crescita di 7 punti percentuali dell’astensione alle ultime amministrative, sono due aspetti. Se però si guarda oltre il termine giornalistico di anti-politica, anche il voto di queste amministrative, nel suo piccolo, dimostra una rabbia crescente contro la politica dei sacrifici imposta dalla crisi dell’euro in tutta Europa.
Per questo motivo, l’avanzata della sinistra in Portogallo, in Spagna, il successo di Melenchon in Francia al primo turno e, soprattutto, il successo in Grecia alle ultime elezioni traccia la via da seguire anche per Rifondazione Comunista: il rifiuto assoluto delle politiche di austerità dell’Europa dei banchieri e la rottura coi partiti che, dentro quelle compatibilità, confinano la loro azione e confezionano il loro tracollo.


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Grecia - Avanzata epocale della sinistra

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I risultati delle elezioni greche sono una chiara espressione della radicalizzazione crescente nella società ellenica, sulla base dell’impasse creato dalla crisi del capitalismo. Segnano una sconfitta storica per le forze politiche che hanno appoggiato le misure economiche imposte dalla trojka. La Grecia si muove a grandi passi verso una situazione rivoluzionaria.

Il Pasok (il partito socialista) e Nuova democrazia, il principale partito conservatore, crollano al 32%, quando nelle precedenti elezioni del 2009 avevano raccolto il 77% dei consensi. Sono le formazioni che costituivano l’architrave del governo di unità nazionale di Papadimos.  Oggi, nonostante il premio di maggioranza esistente in Grecia, che assegna 50 seggi in più al  partito di maggioranza relativa, vale a dire a Nd, i due partiti non riuscirebbero ad avere la maggioranza per formare un governo da soli.
Il vero vincitore di queste elezioni è Syriza, la coalizione elettorale formatasi attorno a Synaspismos, il partito della sinistra radicale. Con uno spettacolare 16,7% raccoglie oltre un milione di voti, più che triplicando i suoi consensi assoluti rispetto a tre anni fa. É a Syriza che si è rivolto il settore più cosciente dei giovani e dei lavoratori, i protagonisti delle lotte contro le politiche di lacrime e sangue di Bce, Ue e Fmi. Lo testimoniano i risultati del partito di Tsipras nelle principali città greche. Ad Atene, al Pireo e in generale in tutta la regione dell’Attica (la più popolosa, dove vive il 50% dei greci) nei quartieri popolari di Salonicco, a Patrasso, Syriza è il primo partito. Secondo le prime analisi, è anche il partito più votato fra gli under 40.
Ha pagato l’opposizione ai governi filopadronali di qualunque colore in questi ultimi anni, l’opposizione ai diktat della trojka e la proposta di un governo delle sinistre, che nel contesto attuale è del tutto realizzabile (le formazioni a sinistra del Pasok hanno superato il 30%) e ha dato una speranza di futuro per ampi settori di masse impoverite dalla crisi.
Il Kke non riesce a intercettare questo notevole spostamento a sinistra dell’elettorato, passando dal 7,5 all’8,5% e guadagnando solo 13mila voti in più. Nonostante l’abnegazione dei suoi militanti ed il fatto che organizzi senza dubbio alcune fra le avanguardie più combattive del proletariato greco,  il settarismo della direzione del Kke (che definisce Syriza “un’alleanza di forze opportuniste e di fuoriusciti dal Pasok")è ciò che ha condotto alla “stagnazione”elettorale.
Sui giornali italiani si sono spesi fiumi di inchiostro sull’avanzata dei neonazisti di Chrisi avgi (Alba d’oro) che con quasi il 7% entrano per la prima volta in parlamento.
É certamente un avvertimento per il movimento operaio e per la sinistra tutta e non vogliamo nemmeno per un attimo nascondere la pericolosità di questa formazione. Tuttavia il suo successo è il risultato della debacle di Laos, il partito di estrema destra che a lungo ha sostenuto il governo di unità nazionale, il quale dimezza la sua percentuale (dal  5,8 al 2,9%) e non entra in parlamento, nonchè della disintegrazione dei partiti borghesi tradizionali.
Nd perde infatti oltre un milione di voti che si orientano  solo parzialmente, oltre che ai neonazisti, anche ai Greci indipendenti, populisti anti memorandum dell’Ue fuoriusciti da Nd, che totalizzano il 10,6%.
Molti commentatori della borghesia, impauriti da questa frammentazione invocano una ricomposizione della destra che pare comunque molto difficile, visto che il periodo in cui stiamo entrando è quello di un deciso spostamento a sinistra.
Il risultato di ieri è emblematico della debolezza totale della classe dominante greca, che si riflette nel crollo di Nd e della fine di ogni spazio per il riformismo (senza riforme) illustrato dalla disfatta del Pasok, ridotto ad un misero 13% (dal 44) e con 2milioni e 200mila voti in meno.
Il compito di formare un governo spetterebbe ad Antonis Samaras, leader di Nd, i cui margini di manovra per trovare una maggioranza composta dalle forze che vogliono mantenere l’Euro e proseguire con le politiche dettate dal capitalismo internazionale sono però molto ridotti. Anche Fotis Kouvelis, a capo di Sinistra democratica (un nuovo raggruppamento formato da fuoriusciti dal Pasok e da Syriza) che sarebbe il meno distante dalle posizione di Pasok e Nd, ha escluso qualunque ipotesi di appoggio a una coalizione guidata da Samaras.
Siccome una coalizione governativa guidata da Alexis Tsipras, all’insegna dell’opposizione alle misure di austerità non ha i numeri, la prospettiva che si ritorni a votare a giugno non è affatto peregrina.
Un ritorno alle urne che potrebbe portare a un affermazione ancora più ampia per le forze di sinistra. Dopo tre decenni di egemonia del Pasok sulla classe operaia organizzata, vi è la possibilità che la direzione politica della classe operaia torni ad una formazione come Syriza, che trae le sue origini dal movimento comunista.
È un opportunità storica, che la direzione del Synaspismos – Syriza non si può lasciare sfuggire. La prima condizione è che continui a rifiutare ogni forma di collaborazione con i partiti borghesi. Inoltre,  che porti avanti senza indugi la parola d’ordine dell’alleanza con il Kke non limitata a un governo delle sinistre ma per una vera e propria presa del potere e per il cambiamento della società in senso socialista.
Per fare questo non è sufficiente propagandare alcune rivendicazioni contro il neoliberismo, come fa attualmente la direzione del Synaspismos, ma adottare un programma che proponga l’abbattimento di questo sistema capitalista attraverso la nazionalizzazione delle principali leve del  sistema industriale e finanziario greco, sotto il controllo e la gestione dei lavoratori.
Una tale prospettiva rivoluzionaria è anche il miglior antidoto all’estrema destra. Se oggi il pendolo va a sinistra, i segnali di crescita dell’estrema destra e del popolismo non sono da sottovalutare. Dopo un iniziale periodo di confusione, che è quello che sta attraversando, la borghesia greca, con il benestare di quella europea, potrebbe appoggiare una linea dura di attacco senza quartiere ai diritti democratici delle masse greche, insieme a una nuova offensiva a quello che resta delle conquiste sociali. Linea dura in cui l’estrema destra non farebbe certo mancare la propria collaborazione.
Le elezioni in Grecia ci indicano, insieme all’avanzata del Fronte de gauche in Francia e alla crescita di Izquierda unida in Spagna, che il vento sta soffiando di nuovo, e sempre più forte a sinistra.
Dalla Grecia, che oggi è la punta più avanzata del movimento operaio europeo ci arriva infine un messaggio: dire no alla dittatura del capitale è possibile. Costruire un’alternativa al sistema economico capitalista lo è altrettanto, anzi oggi è più che mai necessario.


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PIAZZA ROSSA

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«Edizione straordinaria, edizione straordinaria: i comunisti ci sono! Edizione straordinaria». Scherza il compagno di Roma impegnato nella diffusione militante del numero speciale di "Liberazione" preparato per l'occasione. Scherza, ma non troppo. Perché veramente ieri a Roma i comunisti c'erano.
Erano tanti, giunti nella capitale da tutta Italia per dire no al governo Monti, alla riforma dell'articolo 18, alla crisi fatta pagare ai soliti noti. «Siamo diecimila»; «Siamo trentamila»; «Siamo quarantamila» si scandisce a tappe dal pullman rosso che apre il corteo: boato e applausi.
È un mare di bandiere rosse già in piazza della Repubblica, intorno alle due del pomeriggio. Il sole è a picco, il primo caldo estivo picchia, ma l'entusiasmo è proprio quello delle grandi occasioni. D'altra parte si tratta della prima manifestazione nazionale della Federazione della Sinistra, per Rifondazione la prima dopo il sofferto congresso di Chianciano del 2008. Si parte. In testa, dietro lo striscione "Gridiamoglielo in piazza - l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro", sfilano i leader della Fds: Diliberto, Ferrero, Salvi, Patta. Ci sono anche alcuni esponenti di Sel (Musacchio, Sentinelli, Gianni) e della Fiom (Cremaschi.) Ma la cifra del corteo la fanno loro, i tanti, tantissimi giovani che con allegria e fantasia riempiono prima via Cavour e poi i Fori Imperiali. Cantano, ballano, si divertono a sfottere i "tecnici", quelli che senza tanti scrupoli li stanno privando del futuro. Cantano Bella Ciao e Bandiera rossa. Indossano magliette rosse: il Che, come sempre, va per la maggiore, ma non mancano falce e martello e stelle gialle, stile "vecchio Pci".
Ottanta pullman hanno portato a Roma compagni e compagne di tutte le età; enorme lo sforzo delle federazioni e non ne manca nessuna: dal Piemonte, dalla Toscana, dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Sicilia (a loro va un applauso particolare per ricordare a Grillo che invece la mafia uccide eccome). Ecco lo striscione della Federazione di Pisa; ecco quello di Salerno, Reggio Calabria, Milano, Firenze, Ferrara, Brescia, Perugia, Tivoli, Latina, Piacenza: in una parola tutte.
Sfilano l'Unione Inquilini, i palestinesi, famiglie con bambini al seguito, signore avvolte nella bandiera rossa, i lavoratori della Irisbus, i gruppi di acquisto, No Tav e anche il Comitato Peppino Impastato di Monza. Alle quattro il corteo è ancora in marcia, sempre allegro e scanzonato. Alle 16,30 anche la coda entra nella piazza dove si svolge il comizio finale. Volti stanchi e sudati, ma pieni di entusiasmo. Applausi, cori, slogan sottolineano gli interventi dal palco. «Siamo tanti, siamo comunisti». Tutto sembrano fuorché sconfitti. Da ieri qualcosa è cambiato.

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"Uniti, per costruire la sinistra alternativa"

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C'è chi parla di «riscatto», di «fine di un incubo durato quattro anni». Quarantamila persone hanno sfilato ieri a Roma per la manifestazione nazionale della Fds contro l'abolizione dell'articolo 18. Sono il segnale di un'insofferenza per il governo Monti che cova nella società italiana, ma senza trovare  un'adeguata rappresentazione nel dibattito pubblico e nei media. Un evento politico che con buone ragioni si può interpretare come il ritorno dei comunisti sulla scena pubblica.
Ma soprattutto si è di nuovo vista una sinistra connessa alle lotte, portatrice di un punto di vista alternativo sulla crisi mondiale, capace di proiettarsi sullo scenario europeo. Ad aprire la maratona degli interventi sono stati i lavoratori della Irisbus Iveco, seguiti dai precari della scuola e da rappresentanti del movimento No-tav e del comitato Acqua pubblica. Ma è stato anche un palco fortemente segnato dagli ospiti europei. I più applauditi, Pierre Laurent, segretario del partito comunista francese, e il greco Vassili Primikiris esponente di Syriza, entrambi reduci da successi elettorali nei rispettivi paesi. Con l'undici per cento di consensi il Front de gauche – di cui fanno parte i comunisti – è stato decisivo per la sconfitta di Sarkozy in Francia. «Vedremo se Hollande (il neoeletto presidente) manterrà la promessa di rinegoziare il patto finanziario dell'Ue», dice Laurent. «Dobbiamo batterci sia contro le politiche di austerità sia contro l'estrema destra», ma per essere più efficaci bisogna costruire «un fronte di tutte le sinistre in Europa». Un augurio alla Fds: «siete voi la vera sinistra d'alternativa, non il clown Grillo, spero che riusciate a mandare a casa Monti». Se si allarga lo sguardo oltre i confini nazionali si scorge una sinistra radicale in crescita in gran parte dell'Europa, che ovunque ha gli stessi avversari – l'Ue, la tecnocrazia, la Bce, il capitale finanziario – e gli stessi programmi. Ne dà una prova Vassili Primikiris di Syriza, secondo partito in Grecia con il 17 per cento: «noi siamo per un governo che abolisca il memorandum (le misure di austerità, ndr), per il ripristino dei diritti dei lavoratori e del contratto collettivo nazionale, per una riforma elettorale proporzionale e il controllo pubblico delle banche». Il caso greco, come quello francese, insegnano soprattutto che l'aggregazione a sinistra è un valore aggiunto, perché dà efficacia al proprio blocco sociale. “Unità”, non a caso, è la parola che ricorre di più negli interventi. «Il successo di Syriza – dice ancora Primikiris – segna la fine del bipartitismo. Ma se fossimo stati tutti uniti (i comunisti del Kke e Sinistra democratica sono andati da soli, ndr) la sinistra nel suo complesso avrebbe preso molto di più». L'appello all'unità della sinistra lo ripetono tutti i dirigenti della Fds. Cesare Salvi lo estende all'Idv e persino al Movimento 5 stelle: «abbiamo tante battaglie in comune». Oliviero Diliberto si rivolge a Sel: «ma che aspettate a venire qui per costruire assieme una sinistra capace di contendere l'egemonia»? Lo ripete anche Paolo Ferrero che chiama in causa Sel e l'Idv, ma anche «i movimenti, le associazioni, il sindacalismo di base e i senza partito. Bisogna smetterla di inseguire il Pd col cappello in mano e impegnarci a costruire le lotte, giorno per giorno. Ce la possiamo fare, dobbiamo crederci e non rimanere fermi in attesa delle elezioni». Si è rivisto anche l'orgoglio di appartenere a una storia, quella dei «comunisti, della parte migliore dell'Italia – ribadisce Diliberto – di quelli che hanno fatto la Resistenza. Nessuno, a noi eredi di Berlinguer, può venire a farci lezione di moralità, tantomeno il comico Grillo. Qui ci sono tanti giovani che di tasca propria sono venuti in piazza senza guadagnarci un soldo». E, a proposito di eredità, Ferrero rivendica quella di Di Vittorio, del suo insegnamento a «non togliersi mai il cappello dinanzi al padrone».


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martedì 8 maggio 2012

Acqua: dalla Cassazione una sentenza importante

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Meno di un anno fa, una grande mobilitazione ha portato alla vittoria referendaria contro la privatizzazione dell’acqua e per la sua gestione pubblica e partecipativa. Con quel voto 27 milioni di italiani hanno inteso affermare il principio dell’acqua come un bene pubblico ed inalienabile.

Il mese scorso anche la cassazione si è pronunciata sull’argomento, ribadendo, come espresso dall’art.144 del codice ambiente (152/2006) la natura pubblica dell’acqua. La vicenda riguarda la costruzione di una palazzina (destinata ad uso pubblico: uffici ed attività sportive)  presso il Comune di Firenze al di sopra ed in prossimità del corso d’acqua  tombinato del “Fosso Gamberaia”.  In data 11/02/2011 il tribunale di Firenze con una ordinanza ha accolto il riesame della sentenza originaria, proposto dal Comune di Firenze e da Francalanci Luigi (dirigente del servizio impianti sportivi del Comune di Firenze e dirigente dei lavori), che aveva portato al sequestro dell’immobile, annullandola.  Il sequestro era stato imposto in quanto all’art. 96 del R.D. 25/7/1904, n. 523 (“Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”), si punisce la violazione del divieto di inedificabilità assoluta all’interno della fascia di rispetto di 10 metri dal piede dell’argine dei corsi d’acqua pubblici.

L’annullamento, invece, era giunto alla luce del fatto che il corso d’acqua in questione risulta completamente intubato ed interrato per più di 2 kilometri e, quindi, avrebbe perso le caratteristiche di corso d’acqua pubblico.  Proprio quest’ultimo concetto viene completamente ribaltato dalla sentenza della cassazione penale, infatti la Suprema Corte ha accolto il ricorso del P.M. sulla scorta delle seguenti argomentazioni:

- L’art. 1 del R.D. 11/12/1933 n. 1775 definiva pubbliche tutte le acque che, considerate sia isolatamente o per la portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse (Cassazione civile, I, 15/3/1975, n. 1014; Cassazione penale, III, 15/2/1974, n. 1508);

- con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 238/1999 e del D.Lgs. n. 152/2006, è cambiata la definizione di acqua pubblica: non si fa più riferimento alle caratteristiche del corso d’acqua;

- tuttavia, dalla lettera dell’art. 1 della L. 346/1994 da quella dell’art. 144 del D.Lgs. 152/2006 non può ricavarsi un generalizzato assoggettamento al regime pubblicistico demaniale di ogni superficie su cui cadono o defluiscono acque meteoriche (Cassazione S.U. 27/7/1999, n. 507); infatti, le nuove norme sulle acque pubbliche hanno comunque mantenuto fermo il requisito dell’interesse pubblico, come è fatto palese dal concetto di “utilizzazione secondo criteri si solidarietà” di cui all’art. 144, comma 2 del D.Lgs. 152/2006, che presuppone comunque l’idoneità delle acque a soddisfare usi di pubblico generale interesse.

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CONTRORIFORMA FORNERO: NON VOTATELA! IL 9 MAGGIO PRESIDIO AL SENATO DELL'USB

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L’Unione Sindacale di Base assieme ad altre forze del sindacalismo alternativo ha indetto per mercoledì 9 maggio una giornata nazionale di mobilitazione per denunciare la gravità della “Controriforma del lavoro”.
A Roma l’iniziativa principale sarà sotto il Senato (ore 15.00) per chiedere tutti i Senatori di non votare la legge Monti/Fornero con cui si legittimano i licenziamenti discriminatori, si peggiora la precarietà, si devasta il tessuto degli ammortizzatori sociali.
Secondo Pierpaolo Leonardi dell’Esecutivo nazionale USB “non si tratta di una riforma ma di una vera e propria controriforma che fornisce alle imprese uno strumento formidabile per liberarsi di coloro che non accettano condizioni di lavoro pesantissime e peggiora sensibilmente il mercato del lavoro, anche per il combinato/disposto con la ulteriore riforma delle pensioni che impedisce ai giovani di accedere al mondo del lavoro e di organizzarsi un futuro”.
“Noi chiediamo ai senatori di non votare questa legge, di far mancare la maggioranza al governo dei tecnici, dei banchieri e dei super tecnici espressione di quell’Europa dei capitali uscita pesantemente battuta dalle urne Francesi e Greche” conclude il sindacalista USB.


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lunedì 7 maggio 2012

Acqua: dalla Cassazione una sentenza importante

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Meno di un anno fa, una grande mobilitazione ha portato alla vittoria referendaria contro la privatizzazione dell’acqua e per la sua gestione pubblica e partecipativa. Con quel voto 27 milioni di italiani hanno inteso affermare il principio dell’acqua come un bene pubblico ed inalienabile.

Il mese scorso anche la cassazione si è pronunciata sull’argomento, ribadendo, come espresso dall’art.144 del codice ambiente (152/2006) la natura pubblica dell’acqua. La vicenda riguarda la costruzione di una palazzina (destinata ad uso pubblico: uffici ed attività sportive)  presso il Comune di Firenze al di sopra ed in prossimità del corso d’acqua  tombinato del “Fosso Gamberaia”.  In data 11/02/2011 il tribunale di Firenze con una ordinanza ha accolto il riesame della sentenza originaria, proposto dal Comune di Firenze e da Francalanci Luigi (dirigente del servizio impianti sportivi del Comune di Firenze e dirigente dei lavori), che aveva portato al sequestro dell’immobile, annullandola.  Il sequestro era stato imposto in quanto all’art. 96 del R.D. 25/7/1904, n. 523 (“Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”), si punisce la violazione del divieto di inedificabilità assoluta all’interno della fascia di rispetto di 10 metri dal piede dell’argine dei corsi d’acqua pubblici.

L’annullamento, invece, era giunto alla luce del fatto che il corso d’acqua in questione risulta completamente intubato ed interrato per più di 2 kilometri e, quindi, avrebbe perso le caratteristiche di corso d’acqua pubblico.  Proprio quest’ultimo concetto viene completamente ribaltato dalla sentenza della cassazione penale, infatti la Suprema Corte ha accolto il ricorso del P.M. sulla scorta delle seguenti argomentazioni:

- L’art. 1 del R.D. 11/12/1933 n. 1775 definiva pubbliche tutte le acque che, considerate sia isolatamente o per la portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse (Cassazione civile, I, 15/3/1975, n. 1014; Cassazione penale, III, 15/2/1974, n. 1508);

- con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 238/1999 e del D.Lgs. n. 152/2006, è cambiata la definizione di acqua pubblica: non si fa più riferimento alle caratteristiche del corso d’acqua;

- tuttavia, dalla lettera dell’art. 1 della L. 346/1994 da quella dell’art. 144 del D.Lgs. 152/2006 non può ricavarsi un generalizzato assoggettamento al regime pubblicistico demaniale di ogni superficie su cui cadono o defluiscono acque meteoriche (Cassazione S.U. 27/7/1999, n. 507); infatti, le nuove norme sulle acque pubbliche hanno comunque mantenuto fermo il requisito dell’interesse pubblico, come è fatto palese dal concetto di “utilizzazione secondo criteri si solidarietà” di cui all’art. 144, comma 2 del D.Lgs. 152/2006, che presuppone comunque l’idoneità delle acque a soddisfare usi di pubblico generale interesse.


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Borse e titoli sovrani in fibrillazione. La Grecia verso lo sganciamento

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Mercati azionari e dei titoli sovrani in fibrillazione all’indomani delle elezioni in Grecia e in Francia. La borsa di Atene è a picco e le banche stanno letteralmente affondando sotto i colpi della speculazione. I vertici tedeschi parlano senza veli di sganciamento della Grecia dall’euro. “Ora è possibile isolare l'Eurozona dagli sviluppi in Grecia”, dice Lars Feld, un membro del consiglio dei consulenti economici del cancelliere Angela Merkel. Nel vecchio continente dopo un avvio al cardiopalma con gli spread lanciati oltre i 400 punti e l'euro malandato l'allarme sembra essere rientrato, ma solo temporaneamente.
A preoccupare i mercati è la forte instabilità del quadro ellenico. Non a caso è arrivato già da questa mattina l’incarico del presidente a formare il nuovo governo direttamente a Nea Dimokratia, che insieme al Pasok non sono riusciti a raggiungere la maggioranza numerica. Secondo il conto del ministero dell'Interno, insieme avrebbero collezionato 149 seggi sui 300 del Parlamento, un numero insufficiente per poter formare una coalizione di governo. Ora, nell'attesa di vedere la reazione dei mercati, i bookmaker puntano sull'addio alla moneta unica.
A fronte di tale scenario Unione europea e Fondo monetario internazionale potrebbero essere costretti a sospendere gli aiuti ad Atene, sottolinea Stephane Deo della UBS. "Presto il governo non sarà in grado di pagare i dipendenti pubblici e le pensioni e questo alimenterà forti tensioni sui mercati finanziari", ha sottolineato. Gli economisti di Berenberg Bank, invece, ritengono ci sia "un 40% di rischio che la Grecia esca dall'euro quest'anno".
Ma per quanto si voglia addossare alla Grecia tutti i mali di questa fase, non si può non mettere nel conto che è tutto il quadro europeo che sta andando in crisi dopo la vittoria di Francois Hollande che sancisce il tramonto definitivo della politica di “Merkozy”, imperniata soprattutto sul rigore e sulle misure di austerity. La vera sconfitta in questo scenario è proprio il cancelliere tedesco Angela Merkel che, orfana del suo caro alleato Sarkozy, sarà costretta a rivedere le proprie decisioni. A rischio è lo stesso Fiscal Compact: nel periodo delle elezioni elettorali, Hollande aveva infatti affermato che, se l’Europa non imboccherà la strada della crescita, non firmerà la ratifica del patto fiscale, ovvero l'accordo tra gli stati membri dell'Unione Europea per garantire il rispetto della disciplina fiscale.
Che margini ha la Merkel considerato che il mini test delle elezioni tenutesi nello Stato settentrionale dello Schleswig-Holstein, ha segnalato che partito della cancelliera potrà continuare a governare ma con una maggioranza ridotta al lumicino?
Angela Merkel opterà per un messaggio forte nel caso la Grecia non rispettasse gli impegni presi per ottenere il prestito UE, oppure prudenzialmente si vedrà costretta ad abbassare i toni per non dover poi giustificare ai suoi elettori centinaia di miliardi di euro andati in fumo?


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venerdì 4 maggio 2012

Articolo 18 - Nessun passo indietro!

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L'editoriale del nuovo di Falcemartello
I salari più bassi d’Europa: le retribuzioni rispetto all’aumento dell’inflazione non vanno così male dal 1983 (anno di inizio della ricostruzione delle serie storiche), ci illustra l’Istat.
Le pensioni più basse d’Europa: sempre l’Istituto di statistica ci racconta che due milioni e mezzo di anziani vivono con meno di 500 euro al mese. Altri quattro milioni non arrivano ai mille euro.

E fra poco, se la “riforma” del mercato del lavoro sarà approvata in parlamento, saremo tra i lavoratori con meno diritti d’Europa.
E non è finita… Infatti, se la primavera metereologica ha tardato così tanto ad arrivare, per l’economia l’inverno si prospetta ancora lunghissimo, soprattutto per quella europea.
La cura da cavallo che i governi dell’Ue stanno portando avanti sta riportando indietro di decenni il tenore e le condizioni di vita di milioni di lavoratori, anche negli altri paesi europei. In Grecia, secondo l’Ocse, le retribuzioni sono crollate del 25,5% in un anno. La disoccupazione si impenna: secondo le statistiche ufficiali, siamo al 15% in Portogallo e al 25% in Spagna.
Sono cifre da terremoto sociale. Certo, anche lassù dove si prendono le decisioni sulle nostre vite, alcuni temono che la disperazione e la rabbia crescano e che si tramutino in conflitti sociali, come già successo in Grecia, in Spagna e in Portogallo. Da qui nasce il grande dibattito: crescita o austerità? Il candidato socialista Hollande, la cui affermazione al primo turno riflette la voglia di cambiamento di tanti lavoratori francesi, cerca anche di interpretare le preoccupazioni di chi crede che se si continuerà a spremere la classe lavoratrice come un limone, un’esplosione sociale a livello europeo sarà inevitabile.
Ma sono voci minoritarie ed isolate: oltre alle roboanti dichiarazioni sul cambiamento di rotta, cosa c’è di concreto? Secondo alcune “indiscrezioni” riportate dal Sole24Ore (28 aprile) la Commissione europea avrebbe in mente un “piano Marshall” per il vecchio continente di ben 200 miliardi di euro. Sembra una cifra considerevole, ma a parte il fatto che non si sa bene dove trovare questi soldi, è ben poca cosa rispetto ai 7.700 miliardi di dollari elargiti da Obama nel corso della sua presidenza al sistema finanziario americano, o ai 2.600 miliardi regalati alle banche europee dalla Bce, sempre nello stesso periodo (La Stampa, 26 aprile).

La direzione di marcia non cambia: qualsiasi politica di investimenti pubblici nel prossimo periodo non avrà che un carattere cosmetico. Nessuna scelta di fondo da parte della borghesia francese o tedesca cambierà per quanto riguarda i lavoratori, che vinca Hollande o Sarkozy.
La crescita, lo ha chiarito bene Draghi, ci sarà continuando con la linea dell’austerità, e quindi tagliando la spesa pubblica. Che è un po’ come dire che ci si sazia rimanendo digiuni.
Su questo terreno il governo Monti vuole essere sempre il primo della classe. Sensibile ai cori di chi invoca, a destra dell’emiciclo parlamentare e non solo, la riduzione delle tasse, è deciso ad individuare altri quattro miliardi di tagli entro l’estate (prima tranche di un totale di 16 miliardi in tre anni), attraverso il meccanismo dello “spending review”. Ormai molti lavoratori sanno che quando governo e padroni cominciano a parlare inglese c’è da preoccuparsi. La “revisione della spesa” comporterebbe, secondo i “professori”, riduzioni alle uscite correnti e alle spese per i consumi. Il tutto, ci dicono, per evitare l’aumento dell’Iva al 23% ad ottobre. Sappiamo bene come è andata la politica dei due tempi dagli anni settanta ad oggi: i lavoratori hanno sempre fatto i sacrifici per primi, aspettando una redistribuzione delle risorse che non è mai arrivata. Siamo pronti a scommettere che sarà così anche questa volta.

Sulla strada di Monti, spianata da una larghissima maggioranza parlamentare e da un altrettanto ampio consenso da parte dei mass media, il 20 marzo, giorno della rottura tra Cgil e governo sull’articolo 18, si è prodotto un fatto nuovo: l’indicazione che il principale sindacato italiano avrebbe indetto un pacchetto di 16 ore di sciopero.
Questo annuncio ha aperto uno spazio attraverso il quale i lavoratori di questo paese hanno potuto esprimere tutta la loro rabbia e indignazione. Lo si è visto negli scioperi territoriali: in quello di Milano, organizzato come peggio non si poteva, dove la partecipazione massiccia dei lavoratori ha tuttavia costretto gli organizzatori a trasformare i quattro presidi previsti in partenza in un unico corteo o in quello di Modena, dove i lavoratori hanno occupato spontaneamente l’A1. Una rabbia che abbiamo riscontrato anche nella manifestazione degli esodati del 12 aprile e nello sciopero di otto ore dei lavoratori dell’agricoltura del 27 aprile, settore dove la liberalizzazione del voucher proposta da Fornero renderebbe legale ogni tipo di sopruso. Lo stesso giorno uno sciopero spontaneo ha fermato le Meccaniche di Mirafiori, con le maestranze esasperate dai ritmi troppo alti.
La direzione della Cgil subito ha cercato di chiudere il rubinetto delle mobilitazioni, accontentandosi di un accordo totalmente al ribasso con l’assicurazione che “presiederà” alla tutela dei diritti dei lavoratori, giocoforza tramite il Pd di Bersani. Stiamo freschi! In parlamento, se non ci saranno mobilitazioni decise da parte del movimento operaio, la controriforma Fornero non potrà che peggiorare.
L’unica posizione che si può difendere sulla riforma Fornero è quella di non cedere nemmeno un millimetro rispetto alla formulazione originaria dell’articolo 18, di non fare nemmeno un passo indietro.
È ora che lo sciopero generale sia convocato senza ulteriori indugi, è ora che chi ha detto di non accettare lo smantellamento dell’articolo 18, come Landini e la Fiom, traducano le parole in fatti, trascinando le altre categorie nello sviluppo di mobilitazioni generalizzate che facciano davvero male a lorsignori. Ora che la posta in gioco è decisiva, ora che i lavoratori italiani hanno chiarito la loro disponibilità alla lotta, non si può più tergiversare.
È sullo sviluppo del conflitto che la sinistra, a partire da Rifondazione comunista deve investire tutte le sue forze.

Infatti è proprio sulla mancanza di una sponda politica che possa rappresentare efficacemente, fino in fondo, gli interessi dei lavoratori che si basa la generalizzata mancanza di fiducia nei confronti dei partiti, compresi quelli di sinistra. C’è da dire che in questo ventennio la classe operaia li ha messi alla prova tutti, uno dopo l’altro: destra, centro e sinistra hanno portato avanti le stesse politiche. Non c’è da stupirsi che cresca l’antipolitica, che nella prossima tornata di elezioni amministrative aumenterà l’astensionismo e ci sarà un’affermazione di quelle forze, come il Movimento 5 stelle, che cavalcano questa disaffezione e che vengono viste come in opposizione al sistema attuale.
È patetico che a sinistra c’è chi voglia inseguire queste posizioni, proponendo “soggetti politici nuovi” che nascono già perdenti. In primo luogo perchè già esiste l’originale, in secondo luogo perché finiscono a parare sempre nello stesso punto: in un appoggio, certo in forme “nuove” e “originali” al vecchio centrosinistra e al Partito democratico.
È poi curioso che tutte queste iniziative che criticano i partiti novecenteschi propongano di formare soggetti politici, che elaborino un programma e definiscano liste di candidati per le elezioni. In poche parole… un partito (ma che non si pronunci questa locuzione terribile, per carità!).
Sia chiaro, non ci associamo nemmeno lontanamente a chi pensa nel Prc di combattere il grillismo legittimando questi partiti e questa politica. Siamo dell’opinione che i partiti oggi rappresentati in parlamento se ne debbano andare a casa, semplicemente per noi chi deve adempiere a questo compito è la forza organizzata del movimento operaio e non un comico in pensione o la magistratura.
Non ne possiamo più di contenitori che rimandano ad altre aggregazioni, che interloquiscono con federazioni, nella maggior parte dei casi non rappresentativi di nulla, e che servono solo a soffocare le espressioni più incisive del conflitto in un diluvio di parole proferite dall’ultimo intellettuale di grido.
La sinistra si può rigenerare solo sulla base della lotta di classe. Il vento di cambiamento che spira impetuoso in Europa ci parla proprio di questo, del fatto che le forze comuniste (o comunque collocate a sinistra della socialdemocrazia) che si sono poste all’opposizione dei governi dei rispettivi paesi oggi riescano ad intercettare parte della radicalizzazione crescente.
È questa la strada, è questa l’opportunità da afferrare per chi crede, come noi, che questo sistema capitalista si debba e si possa abbattere.
30 aprile 2012


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