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martedì 31 gennaio 2012

Articolo 18: rompere le trattative ora”

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Il governo non vuole semplicemente aggirare, come dicono ridicolmente oggi gli organi di stampa. Il governo vuole abbattere l’articolo 18 nella maniera più fraudolenta possibile. Eliminare l’articolo 18 per le assunzioni significa solo affermare il principio che per lavorare bisogna rinunciare alla tutela contro i licenziamenti.
Il passaggio successivo sarà inevitabilmente quello di estendere a tutti questa aggressione alle libertà e ai diritti fondamentali del lavoro. Se per cominciare a lavorare bisogna rinunciare all’articolo 18, sarà inevitabile dopo rinunciarvi anche per poter continuare a lavorare.
Si conferma così che il governo Monti segue le tesi più reazionarie in Europa sul mercato del lavoro  e sull’occupazione. Quelle per cui per aumentare l’occupazione bisogna prima di tutto licenziare. Oramai è chiaro che la trattativa con il governo è solo a perdere ed è totalmente compromessa. Per il sindacato continuarla significa diventare ostaggi di quella politica economica contro cui oggi si sciopera in Belgio.
A questo punto almeno la Cgil trovi il coraggio di rompere con il governo. In ogni caso ci si dovrà mobilitare comunque per fermare questa trattativa che preannuncia solo disastri.

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sabato 28 gennaio 2012

La FIOM fuori dai cancelli

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All'Iveco (Fiat) assemblea «clandestina» e sciopero della Fiom Landini: «Vogliamo il referendum per abrogare l'accordo che impedisce le libertà sindacali, la politica non taccia di fronte a chi vìola la Costituzione»
Non sembra un bello spettacolo. Però poi scoppia l'applauso e ci si abbraccia e alla fine ci scappa pure la foto ricordo. Gli operai dietro la sbarra che separa la fabbrica dal mondo libero, ma con il cuore che si scalda per una semplice assemblea che oggi ha il sapore delle cose proibite, come accadeva nell'autunno caldo, quando le fabbriche erano off-limits per il sindacato e la democrazia - era il 1969 e con il megafono in mano c'era Bruno Trentin, ma questa è un'altra storia. Eppure anche oggi i dirigenti e sindacalisti della Fiom restano fuori dalle fabbriche, con il microfono in mano per farsi ascoltare da tutti. Commossi e adrenalinici di fronte a centinaia di lavoratori radunati su un piazzale perché non riconoscono l'accordo separato imposto dalla «madre» di tutte le aziende.

Adesso si fanno così le assemblee nelle fabbriche del gruppo Fiat dove viene applicato il «contratto Marchionne», quello che oltre a stracciare il contratto nazionale di fatto impedisce ai lavoratori di eleggere i propri rappresentanti sindacali all'interno degli stabilimenti. E quindi di tenere assemblee. Per questo ieri mattina, con replica nel pomeriggio, il segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini dietro la sbarra dell'Iveco di Brescia ha vissuto una situazione che definisce kafkiana ma anche «molto molto emozionante». E per qualche minuto si è messo anche davanti alla sbarra, una scavalcata «illegale», un atto di insubordinazione non solo simbolica compiuto insieme ai delegati della Fiom bresciana.
La Om Iveco, la più importante azienda bresciana con 2.800 dipendenti, aveva risposto picche alla Fiom che aveva chiesto di poter tenere un'assemblea. Non solo l'assemblea si è fatta, in un clima di straordinaria determinazione sottolineato da applausi liberatori, ma gli operai hanno anche partecipato in massa allo sciopero di due ore indetto dalla stessa Fiom: oltre il 60% ha incrociato le braccia. «La Fiom esiste», dice Landini, con la voce che tradisce l'emozione per un'assemblea particolare, diversa da tutte le altre.
«Ci troviamo di fronte a un'azienda - spiega Landini - che vìola palesemente i diritti costituzionali, la democrazia non esiste più una volta varcati i cancelli della Fiat. Eppure i lavoratori ieri hanno dimostrato che non hanno nessuna intenzione di accettare quell'intesa contro cui hanno già raccolto 20 mila firme per indire subito un referendum abrogativo sul contratto. Hanno partecipato quattrocento persone e ha scioperato più della metà degli operai nonostante la pressione dei capi secondo cui questo sciopero non si poteva fare. Noi andremo avanti».
E con un programma che non guarda solo in casa Fiat, «che comunque abbiamo intenzione di portare in tribunale». La Fiom, in vista della manifestazione dell'11 febbraio a Roma, vuole lanciare più di un messaggio al governo Monti; e anche ai partiti che all'epoca dell'accordo capestro di Pomigliano non perdevano una battuta per invitare gli operai a pronunciarsi in favore di Marchionne. «Abbiamo raccolto 20 mila firme contro quell'accordo - rilancia Landini - e oggi nessuno apre bocca, non si sente una parola, per questo chiediamo al governo, al presidente della Repubblica e alle forze politiche di pronunciarsi, di dire qualcosa perché ai danni dei lavoratori è stata vìolata la Costituzione. Inoltre, non siamo affatto convinti che sia chiusa la partita delle pensioni e crediamo che la Cig non solo non vada cancellata ma vada addirittura estesa, insieme all'introduzione del reddito di cittadinanza». Detta in una parola, parafrasando il «titolo» della prossima manifestazione nazionale, la Fiom chiede «Democrazia al lavoro».

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venerdì 27 gennaio 2012

Vendola dice sì a Passera premier. Sel apre all'Udc e rinuncia alle primarie

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Nichi Vendola sarebbe pronto a sacrificare le primarie sull'altare della foto di Vasto. Secondo quanto è in grado di rivelare Affaritaliani.it, da fonti interne al Centrosinistra, il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, pur di riconfermare la storica alleanza di Centrosinistra sarebbe disposto a mollare uno dei capisaldi della sua azione politica. Anche perché,  un possibile allargamento della coalizione al Terzo Polo paventato dallo stesso Vendola  giovedì  in conferenza stampa congiunta con Antonio Di Pietro,  allontanerebbe ancora di più questa eventualità. Un'apertura a Casini, infatti, presupporrebbe la scelta di un candidato esterno,  il cosiddetto papa straniero. Non è un mistero che Corrado Passera, attuale ministro dello Sviluppo economico,  sarebbe la persona più indicata ed è anche quella più corteggiata per assumere le redini di una coalizione così eterogenea. Una figura che metterebbe tutti d'accordo, un po' meno l'ala sinistra della coalizione che però, costretta dalle circostanze, dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco.
Nel caso in cui invece si riproponesse l'alleanza di Vasto tout court, anche in questo caso il presidente pugliese potrebbe lasciare lo scettro della guida della coalizione a Pierluigi Bersani. Rivelatrici in questo senso sono le parole di Massimo Donadi, capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera, che in un'intervista ad Affaritaliani.it ha ribadito la disponibilità dell’Italia dei Valori a dare il via libera a una leadership democratica senza ricorrere alle consultazioni di coalizione: "Di Pietro - ha ricordato Donadi - lo ha già detto prima del governo Monti:  per noi le primarie sono la strada maestra ma se non dovesse esserci il tempo, o se il segretario del partito principale della coalizione chiedesse di assumersi la responsabilità di guidare la coalizione saremmo disponibili a fare un passo indietro". Proprio in questa direzione stanno lavorando i maggiorenti di Centrosinistra: dissuadere Vendola da una battaglia fratricida. Anche perché,  il presidente pugliese, avrebbe ottime possibilità di spuntarla, con tutte le conseguenze politiche che questo potrebbe avere. Non ultima  la fuoriuscita dal Pd dei popolari e dell'area veltroniana dei Democratici.

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giovedì 26 gennaio 2012

Mercato del lavoro e art. 18. Licenziare in Italia è troppo facile

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La liberalizzazione più urgente? Democrazia nella rappresentanza
Si è aperto il tavolo sulla «riforma del mercato del lavoro». Non si è parlato di art. 18, ma solo perché - come dichiarato da Elsa Fornero - «servono soluzioni condivise ma sui licenziamenti sarò radicale». D'altronde «è l'Europa che ce lo chiede!».
Effettivamente l'UE ha il potere di dettare regole comuni in materia di licenziamento individuale (art. 153.1.d del Trattato), ma è competenza condizionata dalla regola dell'unanimità, fino ad oggi rimasta inattuata. E allora? A chiedercelo non è l'Europa, ma la lettera indirizzata al governo italiano dai Presidenti (uscente e subentrante) della Banca centrale europea il 5 agosto 2011, nonché lo scellerato Patto Euro Plus firmato il 25 marzo scorso da Berlusconi.
Ciò che si può intanto dire è che non solo l'Europa non ce lo chiede ma non potrebbe neppure farlo. E infatti l'Ocse ha formulato indici sulla c.d. «rigidità in uscita» da cui si evince che, se l'Italia dovesse adeguarsi agli standards europei, dovrebbe rendere più difficili i licenziamenti, e non più facili. Tali indici, infatti, collocano attualmente l'Italia (punteggio 1.77) ben al di sotto della media europea: appena sopra alla Danimarca (1.63), comunemente presentata come campione di flessibilità (ma con «ammortizzatori sociali» incomparabili con quelli italiani) e ben al di sotto non solo di tutti gli altri paesi del nord Europa (Germania in testa: 3.00), ma anche di molti paesi dell'est (come Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, rispettivamente a 1.92, 3.05 e 2.06).
La prima riforma da fare, l'unica «liberalizzazione» assolutamente indispensabile e a costo zero si chiama democrazia sindacale. Ma non è sull'agenda del governo e delle forze che lo sostengono. Tale esclusione cancella dal dibattito (e dall'informazione mainstream) i veri problemi di scottante - quanto taciuta - attualità. Dal primo gennaio 2012 per tutti i dipendenti Fiat non esiste più la possibilità di eleggere i propri rappresentanti, che vengono scelti sulla base di chi - senza consultare i lavoratori - ha deciso di firmare lo scorso 17 dicembre un nuovo contratto che non solo abroga definitivamente ogni anche larvata forma di democrazia, ma addirittura vieta lo sciopero, colpisce i malati con la progressiva sottrazione della paga e - grazie all'art. 8 della manovra di ferragosto - «deroga a quanto previsto dal Dlgs 66/2003» (che stabilisce l'orario massimo di lavoro e il periodo minimo di riposo).
Lo scorso 13 dicembre Federmeccanica ha invitato tutte le migliaia di aziende affiliate a non riconoscere più dal primo gennaio «i diritti sindacali disciplinati dal c.c.n.l.» (trattenute sindacali, permessi ecc.) al più grande sindacato di categoria e cioè la Fiom - stante la mancata sottoscrizione del contratto separato del 2009 - i cui iscritti vengono così a trovarsi nella stessa condizione in cui sono, in tutti i settori di produzione e da sempre, quelli delle organizzazioni del sindacalismo di base, cui viene negato ogni diritto alla rappresentanza. È questa la vera «anomalia» europea: in tutti i paesi della Ue (unica eccezione l'Inghilterra) prevedono il sistema dual channel della rappresentanza: un canale sempre elettivo e rappresentativo dei lavoratori e un separato «canale associativo» e negoziale. Perciò l rifiuto di sottoscrivere un contratto capestro mai può negare il diritto dei lavoratori ad eleggere i propri rappresentanti ed il conseguente diritto/dovere degli eletti a svolgere la propria funzione. Per questo sorprendono e dispiacciono le recenti dichiarazioni di Landini, che chiede di tornare alla vecchia formulazione dell'art. 19 dello Statuto. Che consentirebbe, sì, alla Fiom di riavere l'agibilità sindacale, ma non in quanto scelta dai lavoratori, bensì in quanto federata alla Cgil.
I licenziamenti più facili, dicevamo, ce li chiede il semiclandestino «
Patto Euro Plus» del 25 marzo scorso che - non a caso - obbliga l'Italia a ridurre il debito sino al 60% in rapporto al Pil con una riduzione annua del 5% (impegno che - se rispettato - avrà effetti economici e sociali del tutto paragonabili ai «debiti di guerra» che portarono la Germania, dopo il primo conflitto mondiale, prima alla rovina sociale ed economica e poi al nazismo).
C'è un filo indissolubile (ed è l'ossatura del programma del Governo Monti e del diktat della Bce) che lega politiche fiscali recessive e tagli alla spesa sociale, progressivo indebolimento delle tutele dei lavoratori (a partire da quella «stipite», contro il licenziamento ingiusto) e cancellazione di ogni democrazia sul lavoro come nella società. Limitarsi ad invocare il ritorno indietro delle lancette è oggettivamente perdente. Ciò che occorre fare è provare a rovesciare l'agenda, perché solo da un nuovo e consapevole protagonismo delle donne e degli uomini che lavorano e da un'integrale inversione di marcia rispetto alle manovre di tagli potrà ripartire l'Italia e l'Europa.
Se dovessimo dirla con il titolo di un convegno: «Riformare l'art. 18 dello Statuto? No! Contro la crisi: rappresentanza, democrazia e pluralismo sindacale».

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mercoledì 25 gennaio 2012

La lotta dei tassisti e le cosiddette “liberalizzazioni”

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ll trasporto  pubblico non di linea (taxi), è un servizio pubblico di ogni comune, tramite mezzo privato di cittadino autorizzato. Prima del 1997 erano delle concessioni comunali, dopo le “riforme” del governo Prodi sono diventate licenze, ma la natura del servizio non è cambiata.
Le caratteristiche peculiari sono la tariffa amministrata dal Comune erogante e l'obbligatorietà della prestazione richiesta dall'utenza.
Per questo i turni di lavoro, le autorizzazioni per condurre il mezzo (patente, cap, iscrizione al ruolo),le caratteristiche del mezzo (sia la tipologia che i segni distintivi del servizio), sono rigidamente regolamentate dall'ente locale erogante il servizio.
Con questi presupposti, considerando che anche le direttive europee ritengono il taxi un servizio pubblico, in cosa consistono i processi di liberalizzazione proposti dall'attuale Governo, sull'onda lunga di altri processi pregressi voluti dai Governi di centro sinistra del 2001 del 2006?
Solo il proposito intervenire in totale accoglimento delle richieste dei poteri economici, Confindustria in primis, che vogliono entrare nel comparto, molto appetibile, del trasporto pubblico locale e nazionale.
In secondo luogo, scaricare i costi di una economia in recessione, con oggettive responsabilità dell'alta borghesia padronale, sui lavoratori precari e non, sui pensionate e su quelle sacche di lavoratori che hanno minore potere contrattuale, perchè forniscono servizi per la collettività.
Ecco quindi la proposta: raddoppiare il numero delle licenze, dandone una a titolo gratuito ad ogni tassista che la può cedere a titolo oneroso, o affittare, o mettere il dipendente.
Queste proposte sono inaccettabili perchè portano solo un aumento indiscriminato di licenze che, secondo il governo, dovrebbe portare ad un'incremento di occupazione giovanile ed invece crea nuovo precariato e povertà. Infatti considerando che il tassista non è in grado di mantenere un altro dipendente, riuscendo a malapena mantenere se stesso e la sua famiglia a causa dei costi di gestione molto elevati (la spesa del mezzo e tutti gli oneri amministrativi e fiscali sono a carico del titolare),si inserirebbero società industriali e multiservizi che rileverebbero dal comune le licenze restituite. Vere e proprie imprese applicherebbero tutte le forme contrattuali vigenti creando solo precarietà, concorrenza nella tipologia del servizio ma non nel prezzo, allargamento della forbice sociale con nuove povertà.
Esempi riportati sovente sono la Spagna e l'Irlanda. A Madrid il comune scusandosi con i nuovi e vecchi tassisti sta elargendo ad ogni titolare che restituisce la licenza per mancato guadagno, 40.000 euro di indennizzo con cui tentare altre esperienze lavorative. In Irlanda tempio delle liberalizzazioni più sfrenate, ci sono stati due suicidi di tassisti. In Olanda dove ci sono delle pseudo liberalizzazioni di orario e tariffa il servizio è peggiorato ed i prezzi sono aumentati.
L'unica richiesta che dovrebbe  essere fatta è la MUNICIPALIZZAZIONE, accompagnata da una indennizzazione per le licenze, che garantirebbe il trasporto per tutte le fasce sociali di utenza, tariffe popolari (ora è il comune che decide quale fasce di reddito possono prendere il taxi) e contestualmente garanzie salariali e contrattuali per i lavoratori del comparto, equiparandoli al contratto del trasposto pubblico locale.
Personalmente infatti non avverto differenza come lavoratore tassista, tra me ed un autista della Trambus o del Cotral, se non nel mezzo guidato.
La municipalizzazione andrebbe a garanzia di tutto il trasporto pubblico, nazionale e locale, che è un servizio per tutti i cittadini.




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27 gennaio sciopero

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Contro il «governo delle banche» e il ricatto del «debito da pagare»
Non solo Tir r forconi. Venerdì sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, ma con una partecipazione molto più vasta. Ne parliamo con Paolo Leonardi, coordinatore Usb, proprio ieri riconfermato nel consiglio del Cnel.
Uno sciopero generale, oggi?
Siamo in una situazione in cui nelle iniziative di lotta prevalgono i momenti particolare: tassisti, tir, ecc. Un tentativo di difendere posizioni, dove però manca l'obiettivo centrale. Ossia un governo espressione diretta del potere finanziario e delle banche, che persegue la distruzione di tutto ciò che si frappone al mito del libero mercato. Senza eccezioni. Non si possono risolvere problemi come questi o il carovita entro «trattative specifiche» con qualche sottosegretario. Si deve aprire un confronto di carattere generale, col governo.

È iniziato il confronto tra governo e sindacati sul mercato del lavoro. Che te ne sembra?
Che il problema vero sia il tentativo di restaurare il pieno controllo del capitale sul lavoro. Quando in una trattativa - che addirittura dovrebbe proseguire via web o mail - si parte affermando che «il costo del lavoro è insostenibile per le imprese», è evidente che si punta a destrutturare il mercato del lavoro. Non ci troviamo davanti a un presunto «necessario passaggio per favorire l'occupazione dei giovani» - come si dice nel 95% della stampa nazionale - ma al tentativo di distruggere un modello di relazioni industriali e di welfare attraverso l'eliminazione dei diritti.
Parli del contratto di ingresso?
Con tre anni «di prova» c'è il potere assoluto dell'impresa sul lavoratore: non potrà sindacalizzarsi, accampare diritti, pretendere il rispetto dei ritmi, della sicurezza, del salario già basso. Questo è il modello che hanno in mente e stanno realizzando.
Nei posti di lavoro, prevale ora la paura o la rabbia?
Al momento prevale la paura. E soprattuto una convinzione - indotta da chi governa tutta la comunicazione, dai giornali ai talk show - che «non c'è alternativa» a manovre di questo genere. O si rinuncia a parti fondamentali della propria condizione di lavoratore, oppure c'è il crack, il baratro, ecc. Mentre invece cerchiamo di far capire che tutti i «sacrifici» che ci vengono imposti vanno soltanto a ripagare gli interessi su un debito che meno «sovrano» di così non potrebbe essere, e che non è stato creato certo dai lavoratori.
Dove vi aspettate la partecipazione maggiore?
Stiamo lavorando per uno sciopero generale vero. Ovviamente, il settore dei trasporti pubblici locali è quello che dà maggiore visibilità alla riuscita di una mobilitazione. Ma stiamo riscontrando giorno dopo giorno una disponibilità maggiore ovunque. È chiaro che in alcuni settori - nelle ferrovie, dove ora si può non applicare il contratto nazionale, o nel trasporto aereo - c'è un'urgenza più impellente. Là dove si va alla privatizzazione dei servizi pubblici è facile prevedere un «modello Tav», con i privati che si buttano sulle tratte redditizie e dismettono quelle periferiche. Come fa Fs, già ora. Nel pubblico impiego hanno bloccato gli adeguamenti salariali per un decennio; e ora scopriamo che, nell'art. 4 del decreto, il blocco viene revocato soltanto per i dirigenti, quelli da centinaia di migliaia di euro. E si licenziano Lsu che da decenni vanno avanti a 5-600 euro al mese. C'è una difficoltà obiettiva, comunque, perchè spontaneamente non ci riorganizzare se non quando tocca direttamente a te.
I sindacati confederali stanno fermi, Fiom a parte; dall'altra il malcontento popolare rischia di incanalarsi verso derive «forconiane». C'è spazio per un movimento diverso?
Pensiamo che questo spazio ci sia e sia doveroso occuparlo, per dare una risposta generale a una trasformazione generale della società. Cgil, Cisl e Uil stanno in un cul-de-sac. Dovranno dire sì a ogni richiesta, mentre la materia sociale sfugge da tutte le parti e ha perso ogni nozione di rappresentanza generale. Proprio questa rappresentanza va invece riconquistata e ricostruita. Non ci sono scorciatoie di categoria. O si rovescia la situazione tutti insieme, o si viene sconfitti uno alla volta. Anche quando sembrano sospendere certe «riforme», passata la buriana, tornano all'attacco. Basta guardare la vicenda delle pensioni.
Per questo serve uno sciopero?
Lo sciopero del 27 serve a molte cose. Quest'Europa dei banchieri, della Bce, è un problema che riguarda tutti: dobbiamo restarci? Il debito; anche noi facciamo parte del movimento «no debito» e pensiamo che non vada pagato. Ma, così come non si danno movimenti settoriali vincenti, così non ci possono essere movimenti solo «nazionali». Abbiamo rilanciato un processo di coordinamento europeo, perché i problemi sono comuni. C'è uno sbilanciamento assurdo nella distribuzione della ricchezza, e - da noi - il governo Monti-Napolitano sta peggiorando la stuazione, portandoci fuori dal modello sociale che era stato conquistato nel '900 soltanto per consegnare tutto il potere alle banche.
Si può e si deve dire basta...
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domenica 22 gennaio 2012

«Voglio la Fiom in Fiat». 11 febbraio in piazza perché non c'è lavoro senza diritti

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Si sa che in tempi di crisi la solidarietà è la pianta che fa più fatica a crescere; invece l'attacco ai diritti e alle libertà è invasivo: se lo si lascia attecchire, non si riesce più a fermare (...) L'attacco a diritti e democrazia senza risposte forti dilagherà facilmente. Per questo, la campagna della Fiom contro la distruttiva politica della Fiat, avviata a Pomigliano nel dicembre 2010 e consolidata con l'accordo separato che estende a tutto il gruppo l'attacco alle condizioni di lavoro e alle libertà sindacali, viene alimentata da scioperi, manifestazioni ed anche azioni legali.
Ma la Fiat/Chrysler è una azienda globale: le violazioni dei diritti e delle libertà in Italia riguardano anche tutti coloro che lavorano nei suoi stabilimenti nel mondo. Non attacca solo leggi e Costituzione in Italia, ma viola anche il diritto internazionale del lavoro, contenuto nelle Convenzioni dell'Oil: la n. 87 sulla libertà sindacale (1948) e la n. 98, sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva (1949), entrambe ratificate dal governo italiano nel 1958.

Della violazione della n. 87, sono esempi il divieto per i lavoratori di eleggere rappresentanti della Fiom in fabbrica e il non versamento al sindacato delle quote di iscrizione alla Fiom da parte dell'azienda; riguardo alla Convenzione n. 97, è eclatante la non riassunzione di lavoratori iscritti alla Fiom nella fabbrica di Pomigliano. Inoltre, la Fiat ha annunciato l'esclusione della Fiom dalla delegazione che tratterà la costituzione del Comitato aziendale europeo di Fiat Industrial. Negli anni scorsi per ben due volte la Fiat ha rifiutato di negoziare con la Federazione Internazionale dei sindacati (Fism) un accordo quadro (già sottoscritto da diverse aziende dell'auto) per la globalizzazione dei diritti fondamentali (core labour standards) contenuti nelle Convenzioni Oil.
Dunque, la campagna nazionale «Voglio la Fiom in Fiat» è diventata anche una campagna internazionale, in collaborazione con il sito LabourStart, subito dopo l'accordo separato. A oggi hanno firmato 6500 sindacalisti e attivisti sindacali, per un terzo da Stati Uniti e Canada, poi dall'Europa, in testa la Gran Bretagna, la Francia, la Germania. Ma c'è stata una risposta da tutti i continenti: dall'India all'Australia al Nord Africa. E intendiamo presentare un ricorso all'Oil, unica agenzia dell'Onu tripartita, che dovrà fare pressione sul governo perché imponga il rispetto delle Convenzioni. L'incontro avuto a Ginevra con rappresentanti dell'Oil ci ha incoraggiato in tal senso.
In che democrazia viviamo se la politica tace di fronte alla estromissione dai posti di lavoro del sindacato più rappresentativo e il divieto per chi lavora di eleggere il sindacato che vuole, e fare attività sindacale, mentre deve subire un peggioramento della condizione di lavoro? Questa domanda verrà fatta ad alta voce da tutti/e coloro che la condividono, metalmeccanici e non, che non si rassegnano alla regressione e all'ingiustizia, nella manifestazione nazionale indetta dalla Fiom per l'11 febbraio "Democrazia al lavoro".
La lotta dei lavoratori Fiat non riguarda solo loro né solo i metalmeccanici, a cui è stato rubato il contratto nazionale, ma la società di cui facciamo parte. Nella profonda crisi sociale e democratica, in cui vive l'Europa, lottare per la democrazia e il lavoro non è solo un diritto, ma un dovere civile.
* responsabile Ufficio internazionale Fiom-Cgil

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Bonus benzina «Ci siamo»

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Mancano all’appello diverse card benzina non ancora recapitate ai patentati lucani. C’è chi ha ricevuto la carta bonus carburanti, ma non ha ricevuto il Pin o viceversa. Cosa bisogna fare allora? È la domanda più ricorrente al Ministero dello sviluppo economico e a Poste Italiane. E così gli Uffici Postali della Basilicata in questi giorni sono letteralmente presi d’assalto dai patentati lucani che non l’hanno ricevuta e da quanti ne sono già in possesso e ne chiedono l’attivazione.

A rassicurare i lucani è proprio la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Dipartimento Energia del Ministero dello sviluppo economico. «Poste Italiane ha assicurato che tutte le richieste verranno evase entro il 20 gennaio». Data fissata, in base agli accordi con Poste Italiane che si sono impegnate a spedire le card dal 21 novembre al 20 gennaio. Il tempo per il recapito ed entro fine mese carte e pin (che come ogni carta di credito viaggiano in maniera separata) dovrebbero essere tutte a destinazione. Fanno eccezione, qualche centinaio (300-400) di domande che verranno trattate manualmente sul cartaceo in quanto la richiesta non rispondeva per qualche motivo agli standard del data base di inserimento dati agli Uffici Postali. Per queste l’invio potrebbe avvenire la prossima settimana. Per queste ultime, il Ministero ha chiesto a Poste una verifica sul cartaceo, invece di procedere ad un rigetto automatico-informatico, della richiesta sempre in un ottica di ampliare il più possibile l’utenza interessata dall’inizia - tiva nel rispetto dei requisiti».

Se la card non dovesse arrivare, decorso un congruo termine dalla spedizione, ci si può rivolgere a Poste Italiane. Quanto all’attivazione della card non c’è un limite temporale, ma fin quando la card non viene attivata in qualsiasi ufficio postale italiano, non si potrà ovviamente spendere il bonus. Dal primo febbraio Poste Italiane procederà con gli accrediti (circa 20mila al giorno) e dal 18 febbraio i titolari di card già attivate potranno spendere i 100 euro e 70 centesimi caricati per la prima annualità. Il programma bonus idrocarburi ha interessato 3.323 uffici postali in tutta Italia (che hanno ricevuto almeno una richiesta).
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/images/0spaziovuoto.gif



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sabato 21 gennaio 2012

Il movimento dei forconi: questa non è rivoluzione

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Con lo svolgersi della crisi peggiore degli ultimi cento anni è sicuramente possibile che movimenti di matrice reazionaria trovino fertile humus nel malcontento generale: quello che succede in Sicilia in questi giorni ne è un esempio.
Per comprendere la natura di ciò che sta accadendo occorre tener presente l’assetto politico generale dell’isola: il governo Lombardo quarto ha contato fino a pochi giorni fa sull’appoggio trasversale di Pd e Mpa, Fli, Api e Udc, condizione che garantiva comodi e lauti guadagni per le molteplici espressioni della borghesia locale. Oggi tale coalizione è in crisi, con il rischio per il terzo polo di diventare dunque una forza minoritaria: l’Udc ha già da qualche settimana mollato il governatore attendendo di scegliere la collocazione più proficua.
L’Mpa si ritrova quindi a fare i conti con una situazione di grande difficoltà ed in questo contesto trova la sua espressione il “movimento dei forconi” e “forza d’urto”.
La Sicilia è da sempre considerata terra del profitto per la borghesia locale mafiosa che manifesta stretti legami con la politica: non ne è certo esente il Pd come dimostrano le avventure di Crisafulli, Capodicasa e anche della stessa Finocchiaro, che  con le dovute differenze, hanno per anni messo mani sugli appalti dell’isola.
In tale contesto un riequilibrio dei poteri in Sicilia può esigere il ricorso alla mobilitazione del settore più arretrato dei lavoratori e della piccola borghesia che è stato prontamente spalleggiato dall’estrema destra, i cani da guardia della borghesia.  Imprenditori, agricoltori, autotrasportatori, armatori dei pescherecci: insomma padroni e padroncini, che con un manifesto politico blando potevano raccogliere facilmente il malcontento popolare.
È gioco forza che la piccola borghesia, soccomba, in condizioni stagnanti, all’attacco padronale teso al concentrare sempre più il profitto: essa oscilla di conseguenza, tra reazione e voglia di riscatto, tra programmi reazionari e posizioni avanzate. In quest’ultimo caso, la premessa ovvia è che vi sia un movimento di classe sul  territorio.
Nel caso siciliano la matrice del movimento è essenzialmente reazionaria: i forconi rivendicano la defiscalizzazione dei carburanti, l’uso dei fondi europei per lo sviluppo da destinare all’agricoltura, il congelamento delle procedure di Equitalia Serit per la riscossione dei tributi, richieste che possono ad un occhio inesperto apparire popolari e pertanto trasversali ma che in realtà celano un chiaro connotato politico. La piattaforma organizzativa non mette in alcun modo in discussione i poteri locali e i poteri forti, quelli della borghesia, concentrando la polemica solo sul mancato finanziamento da parte del governo Monti e su richieste che, se si valutano nel concreto, non beneficiano che i padroni. Lo si legge tra le parole di Fiore di FN: Inoltre, “è necessario che venga attuato subito l’art 40 dello Statuto siciliano che prevede che il Banco di Sicilia emetta denaro unilateralmente per fronteggiare il crollo sociale in atto. Questa misura statutaria, oltre che la riduzione della benzina a 70 centesimi, e’ la mina sociale che Forza Nuova, a fianco di agricoltori e autotrasportatori, intende fare esplodere”.
Trova così spazio un’ideologia del tutto conservatrice che fornisce spazi alle ideologie neofasciste: Forza Nuova infatti ha da subito preso parte a tale movimento, e lo stesso Bossi si è scomodato a dare sostegno, attraverso la Padania.
In aggiunta basta fare un’analisi del territorio, osservando dove il movimento è più forte:  Agrigento, Caltanissetta ed entroterra catanese. Località in cui Forza Nuova possiede i maggiori nuclei organizzati, i bacini elettorali prediletti per l’Mpa. I capi della protesta hanno connotazioni poi inequivocabili.
Martino Morsello, 57 anni  di Marsala, ex imprenditore, già deus ex machina di ‘Altragricoltura’. E’ stato consigliere comunale a Marsala dal 1980 al 1993 e più volte Assessore per conto del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi. Nel 2008 candidato all’Assemblea Regionale Siciliana per la lista degli autonomisti a sostegno dell’attuale governatore della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo. Tra i punti del suo programma figurano anche i condoni previdenziali per le attività agricole artigianali ed industriali. Ultimamente si è avvicinato a Forza Nuova partecipando, lo scorso 10 gennaio al congresso nazionale del movimento neofascista dove ha dichiarato: “Forza Nuova, unico partito con cui interloquiamo”. È titolare del dominio internet “movimentoforconi.it” e gestisce, assieme alla figlia Antonella, dipendente di Forza Nuova di Terni, la pagina Facebook del movimento.
Mariano Ferro, imprenditore agricolo di Avola, ex Forza Italia, ex Mpa con ambizioni in politica, candidato in passato alle amministrative, a sindaco di Avola e poi alla Camera, ma senza successo. Da sempre ha indicato chiaramente il proprio sostegno a Lombardo che ha sostenuto alle ultime regionali.
Pippo Gennuso a Rosolini, centro agricolo del siracusano. Gennuso, appartiene all’Mpa,  ed è in lotta con il governo nazionale da anni.
Giuseppe Richichi, 62 anni, da un ventennio alla guida degli autotrasportatori dell’Aias: ex trasportatore, è tra i responsabili di un consorzio che gestisce un autoparco a Catania realizzato con fondi pubblici. Fu proprio Richichi, dodici anni fa, a mettersi a capo della protesta che per una settimana mise in ginocchio la Sicilia. In quell’occasione Richichi, molto abile a tenere i rapporti con la politica tanto da ottenere consulenze che  all’assessorato regionale ai Trasporti col governo Cuffaro, finì in carcere con l’accusa di avere tagliato le gomme ad alcuni tir per impedire che aggirassero la protesta, all’epoca ribattezzata ‘tir selvaggio”. Assieme a lui furono arrestati altri due membri dell’associazione, tra cui Nunzio Di Bella, 49 anni, altro storico leader degli autotrasportatori.
A capo di poche centinaia di uomini sparsi nella Sicilia, i leader di Forza nuova-Mpa hanno guidato una vera e propria serrata. Con atti intimidatori e mafiosi hanno bloccato tir, camion e furgoni e spesso automobilisti nella principali arterie stradali e svincoli: la minaccia più frequente il taglio delle gomme e dove ciò non è stato sufficiente si è arrivato al pestaggio (un caso accertato quello di Lentini, nel siracusano).  In molti comuni dell’entroterra siculo (Palagonia, Scordia, Militello) numerose testimonianze parlano di una vera e propria serrata che ha impedito ai braccianti di lavorare e  alle attività commerciali di restare aperte; diversi negozianti hanno dichiarato di aver subito pressioni pena l’incendio dei locali.  La parola sciopero è stata abusivamente sostituita a quella di serrata, consegnandola ai media locali, in un’ottica del tutto revisionista. Le forze dell’ordine si sono rivelate del tutto conniventi con quanto accade, garantendo grande agibilità ai manifestanti nei presidi.
In questo clima, come sempre accade quando la risposta a sinistra stenta ad arrivare, i fascisti prendono piede e minacciano l’estensione della loro azione.
Il movimento dei forconi crea infatti un precedente che le borghesie mafiose sono pronte a rispendersi altrove: già sono stati individuati altri referenti regionali,  (casualmente) tutti e tre di Forza Nuova. Si tratta di Umberto Mellino per la Calabria e, per il Lazio, Antonio Mariani, responsabile Agricoltura di Forza Nuova Frosinone. E infine di Fabiano Fabio di Foggia per la Puglia .
La nostra critica non ha nulla a che spartire con quella di Confindustria Sicilia, che con il suo presidente Ivan Lo Bello, dichiara di dissociarsi da tali manifestazioni ritenute “proteste esasperate, con forme di lotta che stanno causando ulteriori danni all’economia e ai cittadini siciliani. Le ragioni delle imprese rischiano di essere strumentalizzate dalla peggiore politica,  di sfociare in un ribellismo inconcludente aperto anche alle infiltrazioni della criminalità  organizzata e non”. Il documento è anche firmato dai vertici regionali di Confartigianato, Confagricoltura, Confederazione italiana Agricoltori, Cna Sicilia, Casartigiani, Confapi Sicilia, Confcommercio, LegaCoop, Confesercenti Sicilia, Confcooperative, UniCoop.
Il problema qui infatti non è la ribellione in sè, ma gli interessi che ci stanno dietro e i fini che un movimento si propone.
Il senso reale della protesta è sottolineare quali sono le organizzazioni politiche che fungono da serbatoio dei voti. Se non si sbloccano i finanziamenti, di modo che tutti i padroni locali possano continuare ad attingerne, tali serbatoi verranno prosciugati. Le manifestazioni cui si sta assistendo assumono connotazioni fasciste, come classicamente accade nel Sud italia perché la mafia, mera espressione dei poteri politici ed economici locali, utilizza le difficoltà economiche della classe per ripristinare l’ordine dei privilegi padronali. Una volta ottenuto ciò la protesta verrà fatta rientrare.
Leggere in tale movimento un carattere di classe, come è capitato inizialmente a molti militanti di sinistra, è quindi impossibile. Se è di classe, di certo non è la nostra classe. L’assenza di un programma politico chiaro tuttavia può aver fatto breccia tra alcuni settori di lavoratori autonomi, studenti, precari e disoccupati che attirati da una blanda piattaforma di rivendicazioni, in alcuni casi, si sono, sebbene in minima parte, aggiunti alla protesta.
Compito dei  comunisti è fare chiarezza. Occorre oggi comprendere la natura di tale movimento per non consentire alle destre di riorganizzarsi: prendere parte a tale iniziativa diventa lesivo della nostra identità e non consente di fare chiarezza  nei confronti dei lavoratori e degli studenti.
Come marxisti siamo consapevoli che il problema  del mezzogiorno non deriva dalla destinazione dei flussi economici: che sia un padrone siciliano od uno piemontese a gestire tali flussi non cambia che a pagare le conseguenze del sistema capitalista siano sempre e solo i ceti subalterni, sotto la gestione e il controllo di coloro che ci lavorano. Occorre oggi lottare per la nazionalizzazione del settore dei trasporti e dei settori produttivi alimentari. Se la benzina aumenta la responsabilità è delle multinazioni del petrolio e dei loro servi al governo: nazionalizzare l’intero settore degli idrocarburi deve essere la nostra risposta. Solo in questo modo sarà possibile il riscatto per il sud, incidendo sulla disoccupazione che è il terreno su cui gli imprenditori mafiosi riescono a radicarsi.
Ecco come interloquire con quei settori della piccola borghesia rovinata dalla crisi del capitalismo: sulla base di un programma rivoluzionario che metta in discussione il capitalismo. Non va certo in questo senso la dichiarazione di ieri della segreteria regionale di Rifondazione comunista, che oltre che tardiva e fiacca nei contenuti, sembra  giungere da un’altra era politica quando fa appello “a quei settori del Pd che si battono contro Lombardo e contro i poteri mafiosi”.
Unire le vertenze locali, partendo dal basso, promuovendo iniziative assembleari tra sindacati, partiti e movimenti anticapitalisti e antifascisti, tra lavoratori dei vari settori e studenti diventa prioritario: studenti ed operai uniti nella lotta, per l’alternativa di sistema!
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mercoledì 18 gennaio 2012

NO DEBITO – NO MONTI

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NO DEBITO – NO MONTI

Venerdì 20 gennaio – ore 17.30

PRESIDIO in piazza De Ferrari
Anche a Genova, come in tante città italiane, il 20 e il 21 gennaio è indetto il “No Debito Day”, che segnerà la partenza dell’iniziativa per richiedere la petizione / referendum contro i diktat della Banca Centrale Europea (BCE) e il pareggio di bilancio in Costituzione, votato in Italia da tutte le forze politiche oggi presenti in Parlamento.

NOI CI RIFIUTIAMO DI PAGARE IL LORO DEBITO, PERCHE’ ABBIAMO SOLO CREDITI
Il debito pubblico che ci stanno facendo pagare è stato creato dall’enorme evasione fiscale, dalle incredibili spese per cacciabombardieri e missioni di guerra, dal finanziamento di grandi opere inutili e distruttive per l’ambiente, dai privilegi fiscali concessi ai grandi patrimoni, ai profitti e alle rendite. Tutto questo noi lo paghiamo da 20 anni. I salari italiani sono precipitati al 26° posto fra i 30 paesi dell’OCSE, il diritto alla pensione è stato vanificato per i giovani nonostante i conti dell’INPS siano in attivo crescente dal 1998, i diritti del lavoro sono stati riportati indietro di 60 anni. I servizi sociali, la sanità, la scuola sono stati sottoposti a continui tagli.

ORA BASTA, PAGHI CHI HA PRODOTTO IL DEBITO!
Impediamo al governo Monti di continuare a fare danni. Esso, applicando le direttive della BCE, sta percorrendo la strada che ha portato all’annientamento sociale del popolo greco. E Monti dà assoluta garanzia di essere, come sempre, dalla parte delle banche. Peccato che la BCE, da lui così venerata, sia la principale responsabile della crisi europea!
Il governo Monti è il peggiore possibile per lavoratrici, lavoratori, giovani e pensionati, perché  può portare a termine il percorso di attacchi a salari, pensioni, servizi sociali e ai diritti del lavoro, alla qualità della vita della stragrande maggioranza delle persone. Esso non dovrà affrontare nessun giudizio elettorale, è politicamente irresponsabile e, quindi, pericolosissimo! Tanto più che il connubio PDL – PD (malamente nascosto dalle baruffe da ballatoio) gli garantisce non solo una stabile maggioranza in parlamento, ma anche una battente propaganda favorevole da parte di tutti i mezzi di (dis)informazione di massa.
La “fase uno” è stata caratterizzata da pesanti tagli a lavoro, pensioni e servizi per pagare il debito causato dalle politiche liberiste. La “fase due” ricicla gli eterni miti delle liberalizzazioni e privatizzazioni, nonostante finora abbiano prodotto solo rincari di tariffe e prezzi e peggioramento dei servizi. Vogliono privatizzare l’acqua contro il voto di 27 milioni di cittadini, vogliono privatizzare tutti i servizi pubblici locali nonostante fallimenti come quello dell’AMT a Genova. E, sostenendo di “favorire” l’occupazione giovanile, propongono un nuovo tipo di contratto che prevede 3 anni di prova, durante i quali i lavoratori saranno totalmente in balia del padrone.

Il Comitato No Debito si propone l’obiettivo di costruire un movimento di resistenza contro il pagamento del debito, contro le misure antipopolari e di distruzione di quanto resta dello stato sociale e contro ogni attentato alla democrazia e ai diritti. E’ indispensabile costruire una forte opposizione sociale e politica a questo governo: il Comitato No Debito sostiene pertanto le diverse scadenze di lotta già programmate, lo sciopero generale promosso da USB e altri sindacati di base il 27 gennaio, la manifestazione nazionale a Roma l’11 febbraio promossa dalla FIOM per il lavoro, la democrazia e la riconquista del contratto nazionale, la proposta di una manifestazione nazionale “Occupiamo Piazza Affari” a Milano il 10 marzo.
Il Comitato No Debito è un movimento nazionale che raccoglie militanti singoli e soggetti collettivi e organizzati, politici e sociali. Aderisci anche tu a questa lotta.

COMITATO NO DEBITO – GENOVA
www.nodebito.it
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sabato 14 gennaio 2012

Il consigliere provinciale Di Sanza passa all'opposizione. Rottura col presidente Stella

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MATERA – Il consigliere della Provincia di Matera, Serafino Di Sanza, ex rappresentante “Lista Stella” e da tempo appartenente al Gruppo misto è ufficialmente passato a sedere tra i banchi dell’opposizione.
La decisione, e il fatto di occupare il posto tra i consiglieri di minoranza, è maturata nel corso dell’assise di questa mattina. “Non essendo stato invitato alla riunione di maggioranza che ha preceduto il consiglio dell’ente provinciale, e considerato il fatto che il presidente Franco Stella ritiene che  il sottoscritto già da tempo appartenente all’opposizione viste le critiche, a mio giudizio costruttive, mosse rispetto ad alcune attività amministrative, ho deciso di sedermi tra i banchi dell’opposizione e di conseguenza, anziché limitarmi ad un’azione propositiva, da oggi farò opposizione vera e propria all’amministrazione Stella”.
Tra i punti all’ordine del giorno dell’assemblea è stato votato all’unanimità, con la sola eccezione dell’astensione tecnica di un consigliere, il piano di dimensionamento scolastico proposto dall’assessore al ramo, Antonio Montemurro. Piano già ritirato nel consiglio del 29 dicembre scorso per permettere al Comune di Matera una maggiore condivisione del piano stesso e che oggi è stato licenziato senza alcun tipo di modifica. “Pur capendo l’esigenza di alcuni di voler rivedere la proposta dell’assessore Montemurro, sarebbe stato opportuno interessarsi del problema prima che il piano venisse presentato e non invece utilizzare una menzogna per rimettere in discussione il lavoro fatto. Dico questo perché il Comune di Matera già il 27 dicembre, quindi precedentemente al passaggio del progetto in discussione nell’assise del 29 dicembre, con un documento inviato all’assessore alla pubblica amministrazione, si è detto propenso all’ipotesi di dimensionamento già condivisa dal 90% dei dirigenti scolastici della città di Matera.  “Si è pertanto persa l’opportunità – ha concluso Di Sanza –di approvare il piano con qualche settimana di anticipo a causa dell’arroganza politica di qualcuno che ha voluto strumentalmente rinviare l’argomento”.
Nella stessa seduta è stato approvato dalla maggioranza anche il nuovo regolamento per la concessione dei contributi ad enti ed associazioni. Il consigliere Di Sanza aveva già a questo riguardo manifestato perplessità sulle modalità di attribuzione di tali contributi. “Avevo chiesto nel 2010 di conoscere i criteri di concessione e chiesto che il regolamento provinciale venisse rispettato. Con l’approvazione odierna mi auguro che finalmente possa realizzarsi quella trasparenza amministrativa di cui tanto il presidente Stella parla. Tra qualche giorno, infatti – ha proseguito il consigliere – presenterò una nuova interrogazione per chiedere come la struttura ha concesso nel 2011 i contributi alle associazioni che ne hanno fatto richiesta”.

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venerdì 13 gennaio 2012

Su Governo e Fiat la Fiom si allinea alla Cgil

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Scritto da Paolo Brini (Cc Fiom)   

Il comitato centrale del 10 gennaio ha formalizzato un dato politico inequivocabile di cui è necessario prendere atto. Allo stato attuale, su due questioni centrali come Fiat e Governo, la Fiom si è allineata alle posizioni della Cgil. Per questo la riunione si è conclusa con il voto di due documenti contrapposti: 91 voti al documento Landini, 18 a quello presentato da noi(Primo firmatario Bellavita), 35 gli astenuti.

Riconoscere il referendum significa rinunciare alla linea di Pomigliano

Sulla vicenda Fiat, la Fiom sceglie di farsi promotrice di un Referendum per abrogare il contratto separato firmato dagli altri sindacati, in base alle regole sulla rappresentanza previsti dagli accordi del 1993. Una tale posizione significa rinunciare alla linea adottata da Pomigliano in avanti. Allora, e in seguito a Mirafiori e Grugliasco, affermammo categoricamente che non avremmo mai firmato quell'accordo a prescindere dall'esito della consultazione. Tale decisione fu adottata non solo perchè si trattava di un voto sotto ricatto occupazionale, ma innanzitutto e soprattutto perchè si mettevano in discussione diritti costituzionali ed indisponibili.

Oggi la Cgil propone che in Fiat si svolga un referendum abrogativo sul contratto, il cui esito debba essere vincolante per tutti. Tradotto, se la Fiom lo perde deve firmare l'accordo. La Fiom accoglie la sostanza di questa proposta e si fa promotrice del Referendum. Così facendo apre un precedente politico di una gravità inaudita: accetta di mettere in votazione diritti indisponibili dei lavoratori. In questo modo, in un sol colpo, rinuncia alla linea adottata in questi mesi e, per di più, viola lo statuto dell'organizzazione che all'art.7 punto f) recita esplicitamente "E’ fatto espressamente divieto di sottoporre al voto tutto ciò che riguarda i diritti indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori". A questo ci si risponde che si sta chiedendo un referendum abrogativo e non approvativo. Davvero si pensa che una sottigliezza lessicale del genere modifichi la sostanza e la portata delle conseguenze politiche di questa scelta?

In tal senso non è davvero serio giustificarsi, come emerso in alcuni interventi, dicendo che "tanto il referendum la Fiat non ce lo darà". Innanzitutto siamo proprio sicuri? Marchionne ha già dichiarato che "Gestiremo le conseguenze se passa il referendum abrogativo". A dimostrazione che questa rischia di essere una trappola ben congeniata ai danni della Fiom. Inoltre che credibilità si può avere agli occhi dei lavoratori se si avanza una rivendicazione già sapendo che è priva di consistenza?

Lo ribadiamo con forza onde evitare fraintendimenti: I lavoratori del gruppo Fiat hanno tutto il diritto di raccogliere le firme per chiedere quel referendum, ma la Fiom ha il dovere di dire esplicitamente che qualsiasi ne sia il risultato non firmerà quell'accordo.

Certo, nella risoluzione finale approvata a maggioranza dal CC non c'è scritto che, in caso di sconfitta, la Fiom firmerà ma, se è per questo, non c'è nemmeno scritto il contrario. Tuttavia, ad esplicita richiesta di chiarimento avanzata dal compagno Durante (esponente camussiano in Fiom), Landini ha replicato che "non rispondo ora, ma se fossimo sconfitti il gruppo dirigente ed io per primo ce ne dovremmo assumere la responsabilità". Più esplicito ancora è stato Giorgio Airaudo, responsabile Fiat per la Segreteria nazionale, affermando che in caso di sconfitta il gruppo dirigente Fiom se ne deve andare (offrendo in pratica la testa di Landini alla Cgil). Quindi, seppur non scrivendolo chiaramente, la Fiom accetta i diktat della Cgil. Non a caso nel Direttivo Nazionale confederale, che si sta tenendo mentre scriviamo, l'obbiettivo della Cgil è quello di arrivare a presentare una risoluzione comune con la Fiom su Fiat.

Non si sciopera contro il governo

L'altra questione decisiva è che la Fiom, nonostante l'abolizione delle pensioni di anzianità, una manovra lacrime e sangue, la volontà di colpire l'art.18, ha ribadito di non avere nessuna intenzione di mobilitarsi contro il Governo Monti. Ha anzi chiarito che la manifestazione nazionale dell'11 febbraio sarà contro l'accordo in Fiat, per il contratto nazionale ma non contro il governo. All'esecutivo la Fiom si limita ad avanzare una richiesta a dir poco suicida oltre che di retroguardia. Infatti chiede a Monti di intervenire per modificare l'art.19 dello statuto dei diritti dei lavoratori e poter così garantire la propria rappresentanza in Fiat. In primo luogo questa richiesta è un enorme passo indietro rispetto alla battaglia per la democrazia in fabbrica che abbiamo portato avanti negli scorsi mesi con la proposta di legge di iniziativa popolare depositata in parlamento. Quella dovrebbe essere la nostra rivendicazione alla politica sul tema della democrazia in Fiat e in tutte le fabbriche.
In secondo luogo, davvero si pensa seriamente che questo governo possa compiere un qualsiasi atto a favore della Fiom e contro la Fiat? Nella migliore delle ipotesi la richiesta di trattare sull'art.19 dello statuto sarà usata come scusa ulteriore o merce di scambio per modificare l'art.18. Che questo governo sia anche contro la Fiom lo dimostra pure l'atteggiamento da esso tenuto sulla vicenda Fincantieri. In piena coerenza con l'esecutivo precedente, anche questo non si è fatto scrupoli a firmare un accordo separato a danno dei lavoratori e della Fiom.

In questi ultimi anni la Fiom è stata, e continua ad essere, un punto di riferimento importante per i settori più combattivi della classe operaia. La linea politica uscita da questo Cc rischia di diffondere sconforto e confusione fra tutti quei lavoratori che ripongono grande fiducia nella maggioranza della Fiom.

Contratto nazionale ovvero grande la confusione sotto il cielo

In merito al rinnovo del CCNL, a fine dicembre il Segretario Landini ha scritto una lettera a Federmeccanica, Fim e Uilm in cui chiede, nonostante le differenze, di poter aprire la trattativa per la stipula di un contratto nazionale unitario (Sic!) e di giungere ad un accordo sul tema della rappresentanza. Federmeccanica ha risposto ricordando che la Fiom, non essendo firmataria del CCNL 2009, dal 1 gennaio 2012 non vedrà più riconosciuti i diritti sindacali. Fim e Uilm hanno risposto invece di essere ben disposte a cercare un'intesa a patto che il tutto avvenga nel rispetto dell'accordo confederale del 28 giugno. A tale disponibilità Federmeccanica ha risposto nuovamente dicendosene lieta e attendendo sviluppi dalle tre organizzazioni sindacali.
Ancora una volta la questione di fondo è l'accordo del 28 giugno. Le ambiguità del gruppo dirigente su questo punto, manifestate fin da Cervia, ci stanno portando ad un vicolo cieco.
Nel documento approvato all'ultimo Comitato Centrale da un lato si da indicazione di tentare azienda per azienda di arrivare ad accordi che vedano applicati i contenuti della nostra piattaforma. Sorge spontaneo chiedersi cosa questo significhi in concreto. Che stiamo aprendo una nuova stagione di pre-contratti come nel 2003/2004? Oppure che stiamo aprendo una battaglia per veder riconosciuta l'ultrattività del ccnl 2008? Oppure si rivendica siano riconosciute le agibilità e i diritti sindacali alla nostra organizzazione? Attendiamo chiarimenti.
Inoltre si dà mandato alla Segreteria per verificare le condizioni per una intesa sulle regole democratiche e la rappresentanza con Fim, Uilm e Federmeccanica. Dato che queste ultime si sono dette disponibili ad un accordo sulla base del rispetto dell'intesa del 28 giugno, stiamo forse dicendo che accettiamo quelle regole del gioco? E dato che allo scorso Comitato Centrale (28 Novembre 2011) nelle sue conclusioni il compagno Landini ha affermato, contraddicendo quanto da lui stesso sostenuto in precedenza, che la piattaforma della Fiom è in linea col medesimo accordo del 28 giugno, stiamo forse pensando di arrivare a firmare il contratto nazionale unitariamente applicando quell'intesa?
Ci auguriamo vivamente di no. Perchè se così fosse, sarebbe una vera e propria capitolazione.
Queste sono le ragioni che ci hanno spinto a presentare un documento alternativo a quello del Segretario Generale. La Fiom deve dichiarare immediatamente lo sciopero generale contro Fiat, Federmeccanica ma anche contro il Governo! Abbiamo bisogno di assumere una strategia chiara e conflittuale su ogni fronte e non rinunciare al ruolo di cuore dell'opposizione sociale e di classe. Questo significa scontrarsi duramente anche con la Cgil? Pazienza, le ragioni e le istanze della classe lavoratrice sono più importanti della diplomazia sindacale.
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domenica 8 gennaio 2012

Nessun grazie a Monti-Thatcher articolo di Giorgio Cremaschi pubblicato su Liberazione online di oggi

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Si annuncia anche in Italia un film che, almeno secondo le anticipazioni del Il Sole-24 Ore, esalta la figura e l’opera della signora Thatcher in Gran Bretagna. Intanto in Italia il governo si porta avanti col lavoro e si fa esaltare dalla stampa come primo governo thatcheriano nella storia del nostro paese.
Monti respinge l’idea stessa del negoziato con il sindacato sul mercato del lavoro. Il governo, dice il Presidente del Consiglio, non negozia con nessuno ma ascolta e poi decide. Con questa brutale chiarezza Monti spiega perché è stato messo al posto di Berlusconi. L’impresentabile ex Presidente del Consiglio non avrebbe mai potuto affermare  un concetto del genere, e tanto più praticarlo, senza suscitare la rivolta. Monti invece suscita un consenso mediatico senza precedenti, è il politico più presentabile possibile per realizzare le politiche peggio presentabili.
Per far del bene ai giovani il governo ha deciso che si dovrà lavorare fino a 70 anni. Saranno proprio i giovani a vedere allungata in maniera così stupida e barbara la loro vita lavorativa prima della pensione, perché proprio per essi varrà di più il meccanismo di penalizzazioni e compensazioni che costringerà chi ha lavoro, se ha la fortuna di conservarlo e di restare in salute, di restarvi fino a tarda età.
Ora, sul mercato del lavoro, si vuol compiere un’altra opera di bene, sempre a favore dei giovani. Si propone, ci par di capire, un contratto a tempo indeterminato che abbia però un lunghissimo periodo di prova, da tre anni in su, durante il quale sia libera la possibilità di licenziare. A parte la stupidità di un provvedimento che vuole favorire l’occupazione con più facilità di licenziamento. A parte il fatto che l’essenza della precarietà è proprio il ricatto permanente sul posto di lavoro, che qui viene formalizzato nel periodo di prova infinito. A parte il fatto, insomma, che questo contratto è semplicemente il cavallo di Troia attraverso il quale passa la demolizione dell’articolo 18 per tutti i lavoratori; così come si è esteso a tutti i lavoratori il contributivo sulle pensioni, dopo che inizialmente lo si era affibbiato solo ai più giovani. A parte tutto questo, la malafede dell’operazione sta nel fatto che questo contratto “nuovo” si aggiungerà semplicemente agli altri precari già esistenti, senza cancellarne neanche uno. Avremmo quindi il 47esimo contratto precario, dopo i 46 già definiti dal pacchetto Treu e dalla legge Biagi. Anche qui, dunque, per favorire i giovani, li si colpisce e si estende la precarietà.
Il governo Monti, d’altra parte, ha un mandato preciso, che non è quello del parlamento italiano e neanche quello del Presidente della Repubblica, al quale prima o poi si dovrebbe ricordare che l’Italia non è una repubblica presidenziale.
Il mandato di Monti nasce da due privati cittadini, che in virtù del potere della Banca centrale europea, si sono permessi di indicare nell’agosto 2011 ai governi italiani, tutti, cosa dovrebbero fare. Tra i tanti punti della lettera Draghi-Trichet è bene ricordare quello che recita: “dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti…”.
Nessuno faccia il furbo, quindi. Davvero non ne possiamo più di piccoli imbrogli e ipocrisie. Il governo Monti deve portare in Europa lo scalpo dell’articolo 18, o almeno un pezzetto di esso. Se alla cancellazione progressiva della tutela contro i licenziamenti ingiusti aggiungiamo poi la distruzione del contratto nazionale, anch’essa chiesta dalla Bce e oggi praticata da Marchionne, per i lavoratori non resta più nulla di sicuro. Tutti i diritti costituzionali saranno cancellati nel nome dello spread.
A questo punto le chiacchiere stanno a zero. E’ penoso vedere il sindacato confederale chiedere con il cappello in mano tavoli e riunioni. Non si è ancora capito che il governo deve anche mostrare pubblicamente che prende a calci nel sedere il sindacato?
Sulle pensioni il sindacato confederale italiano ha già subito una sconfitta drammatica. E’ la prima volta, nella storia del nostro paese, che si fa una controriforma previdenziale di tale portata e contro tutto il sindacalismo confederale. Si vuole attendere ancora un’altra catastrofe sul mercato del lavoro per poter dire che il governo e i padroni sono cattivi, ma il sindacato è responsabile?
Oggi la responsabilità che si chiede al sindacato è in realtà autentica irresponsabilità sociale e democratica. L’unica scelta seria che può fare un sindacato confederale che voglia davvero misurarsi con la sua migliore storia e la sua migliore tradizione e non diventare un ente inutile, è quella di lottare fino in fondo contro il governo Monti e la sua politica, senza farsi ricattare da nessuno. Visto che ci trattano come i greci, bisogna fare come in Grecia: scioperare e lottare esplicitamente contro questo governo, senza aver paura di farlo cadere. Tanto lo spread va comunque per conto suo e se si vuole davvero affrontare la crisi economica dal lato della giustizia e dell’eguaglianza, bisogna mettere in discussione il governo delle banche in Italia e in Europa e i thatcheriani fuori tempo che lo compongono e lo sostengono.


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