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martedì 27 settembre 2011

No al carbone, Rifondazione Comunista/FDS aderisce alla manifestazione nazionale del 29 ottobre

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Rifondazione Comunista Fds ribadisce la propria contrarietà ad aumentare la produzione da carbone.

Il carbone rappresenta il condizionamento di un territorio, Civitavecchia e Porto Tolle ne sono l’esempio; le dimensioni delle emissioni di CO2 sono tali da sottoporre il Paese a costi altissimi sulla salute delle popolazioni e sulle economie dello Stato, mantenendo il sistema energetico ad un basso rendimento.

Siamo perché si proceda ad un vero e proprio decentramento attraverso impianti di ridotte dimensioni e adeguati alla domanda del territorio.

Il ricorso al carbone prevede grandi impianti, con un impatto sull’ambiente insopportabile ed un rendimento energetico scarsissimo.

L’Enel, vero e proprio  convitato di pietra, con le sue centrali a carbone  produce  5 milioni di tonnellate di CO2 per ogni 1.000 Mwe, un macigno per l’atmosfera, per la salute e per l’economia.

Il carbone pulito non esiste e bisognerebbe non trarre  in inganno le popolazioni: anche i nuovi impianti di “ultima generazione” sono concepiti come “grandi opere” di taglia smisurata, immettono in atmosfera oltre 12.000.000 di Mwh all’anno

E’ ora di abbandonare la strada del carbone, investendo sull’ambiente e sulla salute attraverso la  ricerca e la sperimentazione verso sistemi che si fondino sulle  fonti rinnovabili derivanti direttamente o indirettamente dal sole.

Per questa comune battaglia Rifondazione Comunista – Fds aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale contro il carbone che si terrà nel Polesine sabato 29 ottobre.

per la Segreteria
Rosa Rinaldi
Resp. Beni comuni

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Diritti, riunifichiamo tutte le lotte" La Fiom non cambia linea

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·         La Fiom non cambia linea. Chi ha letto nella conclusione unitaria dell'assemblea nazionale dei delegati e nella buona accoglienza riservata a Susanna Camusso un cambiamento di rotta dei metalmeccanici Cgil, un rientro «nei ranghi», ha preso un abbaglio. Parola di Maurizio Landini. Il segretario generale della Fiom ci rilascia questa intervista a conclusione dell'assemblea degli «indignati», in preparazione della giornata europea del 15 ottobre. Segno anche questo che la linea non cambia, e non cambiano le alleanze: con gli studenti, i precari, l'ambientalismo, i movimenti nati sul territorio contro le politiche liberiste e antipopolari. L'obiettivo è «la riunificazione delle lotte che hanno al centro diritti, dignità, un modello di sviluppo alternativo a quello che cancella ogni vincolo sociale e ambientale».

A pochi giorni dalla ratifica della firma di Susanna Camusso con Cisl, Uil e Confindustria, in calce all'accordo del 28 giugno che voi contestate, improvvisamente la Fiom ritrova l'unità e si riapre positivamente il confronto con la Cgil? Chi è andato a Canossa, tu o la Camusso?
Nessuno dei due. Io sono un sindacalista e sto al merito delle questioni: sulle politiche contrattuali, sia l'opposizione agli accordi separati che la rottura con la Fiat di Marchionne non hanno visto forti divisioni tra Fiom e Cgil. Comune è il giudizio negativo sull'articolo 8 della manovra. Noi abbiamo costruito una proposta convincente e condivisa sulla piattaforma contrattuale con un lavoro determinato nel territorio nell'ultimo anno e mezzo segnato da difficoltà e conflitti. Un'esperienza che ha unito l'organizzazione e rafforzato il rapporto con i lavoratori, ma anche posto le condizioni per una ripresa di un confronto più sereno con la nostra confederazione, che ha assunto la piattaforma votata quasi all'unanimità. Ciò non toglie che sull'accordo del 28 giugno e sulla decisione di ratificare la firma della Cgil senza consultare i lavoratori restano due giudizi diversi, esplicitati nella mia relazione, nell'intervento di Camusso e nel dibattito. La dialettica è molto forte, ma è possibile uscirne positivamente.

Veniamo alla piattaforma contrattuale. Quali sono gli aspetti caratterizzanti?
Al primo punto metterei la definizione di un accordo con tutte le controparti sulle regole democratiche, per evitare nuovi accordi separati. Come? Innanzitutto garantendo sempre il voto dei lavoratori. Questa condizione non è garantita dall'accordo del 28 giugno, e tantomento dall'articolo 8 della manovra. Chiediamo a tutti, sindacati e organizzazioni imprenditoriali, un atto di responsabilità per chiudere una stagione orribile, segnata da idee e contratti diversi: c'è chi come noi riconosce quello del 2008 oggi in scandenza e chi invece si rifà a quello separato del 2009. La Fiom vuole riconquistare il contratto unitario, sottoscritto da tutti, questo è l'asse portante della nostra piattaforma assunta dalla Cgil.

Fa discutere la disponibilità della Fiom a raffreddare il conflitto. Non sarà un modo sotterraneo per accettare la sospensione del diritto di sciopero?
Noi difendiamo il contratto nazionale, il suo primato all'interno del sistema contrattuale, la sua non derogabilità. In qualche caso, penso all'informatica o alle istallazioni telefoniche, è possibile che il contratto nazionale che resta uguale per tutti e ovunque, demandi al contratto aziendale la definizione di normative congrue con la specificità dei singoli settori, in materia di orari, trasferte e quant'altro. Vogliamo anche noi qualificare la contrattazione nelle aziende e il ruolo delle Rsu, e a questo scopo chiediamo alle controparti informazioni preventive sulle eventuali modifiche dell'organizzazione del lavoro, sulle ristrutturazioni, sui progetti, sui trasferimenti, per farla finita con l'unilateralità delle imprese. Se si accetta questo principio, se dentro la crisi si riconosce il ruolo del sindacato e si smette di attaccare i diritti dei lavoratori, allora anche noi siamo disponibili ad evitare azioni unilaterali. Oggi non abbiamo né informazioni né confronto sindacale ma solo aggressioni ai diritti sindacali e del lavoro. Senza un accordo chiaro, controfirmato e rispettato è impensabile qualsiasi raffreddamento del conflitto.

Che cosa ha prodotto in piattaforma il rapporto costruito con il mondo giovanile e il precariato?
Ci diciamo disponibili a un maggior utilizzo degli impianti previa contrattazione, ma se ci si chiede di andare oltre la situazione attuale, si pone il problema della riduzione degli orari e l'aumento dell'occupazione. E alle controparti chiediamo di sviluppare un'azione comune nei confronti del governo per favorire la stabilizzazione dei precari. Ribadiamo, a parità di prestazione parità di diritti e condizioni lavorative. Le forme di lavoro temporaneo devono costare di più, proprio per stabilizzare i lavoratori. Infine, accettiamo la trimestralizzazione del contratto e per questo chiediamo un aumento salariale di 208 euro tra il 3° e il 5° livello. Questo aumento dovrebbe essere detassato.

Come pensate di continuare la battaglia contro l'articolo 8 della manovra?
Andremo avanti fino al ripristino del diritto del lavoro, la nostra piattaforma è alternativa all'articolo 8. Qui c'è un punto di unità con la Cgil e con il paese, come testimonia lo straordinario successo dello sciopero del 6 settembre che ha convinto tante persone anche esterne alla Cgil, magari iscritte ad altre organizzazioni. Condividiamo la scelta della confederazione di ricorrere alla Corte costituzionale, ma se ciò non bastasse dovremmo continuare con le lotte, fino a organizzare un referendum popolare abrogativo dell'articolo 8. Non sarà soltanto questa battaglia a caratterizzare l'iniziativa della Fiom. Abbiamo deciso 8 ore di sciopero per proseguire nel territorio la mobilitazione avviata con lo sciopero generale. Poi terremo un'assemblea generale dei delegati Fiat per decidere insieme iniziative, così come avverrà in altri gruppi come la Finmeccanica. L'obiettivo resta la riunificazione delle lotte, a cui non è estraneo l'impegno sociale per la caduta del governo Berlusconi.

La battaglia contro Berlusconi legittima l'alleanza con la Confindustria che chiede più privatizzazioni e liberalizzazioni, mentre pratica l'attacco ai diritti?
Certo che no. Ho letto il manifesto di Confindustria, teso a peggiorare le politiche sociali ed economiche del governo. Noi ci battiamo contro la filosofia che ha prodotto la crisi e contro una risposta che si fonda sulla stessa filosofia e sulle stesse persone.

Hai faticato a spiegare agli indignati che la Fiom non cambia la sua linea in nome di esigenze superiori?
Nessuna fatica, e per altro nessun sospetto all'assemblea sul 15 ottobre. La Fiom è un sindacato, le sue posizioni e le sue battaglie sono note e se queste incontrano la condivisione della Cgil credo che ciò faccia bene alla Fiom, alla Cgil, ai lavoratori e ai movimenti.

I COMMENTI:
·         Per l’attuale Segretario al Tesoro degli United States of America, Timoty Geithner, «l’Europa deve fare di più». Altrimenti – ha tenuto a sottolineare – «si va incontro ad una possibile catastrofe» (sic!).
In modo un po’ più esplicito, diciamo che il suddetto autorevole e sfrontato Ministro del governo dei “padroni del mondo” – nel corso dell’ultimo meeting annuale del Fondo monetario internazionale di Washington (23-25 Settembre 2011) – ci ha fatto ufficialmente sapere che, per permettere agli all’incirca 308.745.538 abitanti di Yankees-Land di continuare a vivere e ad operare al di sopra dei loro mezzi, noi boveri colonizzati italiani ed europei dobbiamo assolutamente fare altri sforzi, stringere maggiormente la nostra cintura e compiere ulteriori e supplementari sacrifici. Se necessario, fino allo spasimo ed, eventualmente, fino all’agonia o al trapasso.
Questi delinquenti! Vi rendete conto, inoltre, da quale pulpito viene la sopraindicata predica?
Loro – i “buoni” del Mondo – creano “voragini” finanziarie paurose nell’ambito della loro economia e di quelle del resto delle Nazioni del Pianeta; sempre loro – con la furbesca e ingannevole ideologia del globalismo a senso unico – ci obbligano ad entrare in concorrenza industriale e commerciale con Paesi il cui salario minimo delle maestranze tende ad oscillare tra i 18 ed i 20 dollari al mese; ininterrottamente loro – con la scusa della lotta contro il terrorismo – continuano a scatenare e ad alimentare guerre a non finire nei Paesi Terzo mondo, con parcelle miliardarie da pagare; incessantemente loro e sempre loro continuano a stampare tonnellate e tonnellate di cartaccia da w.c. che ancora hanno la faccia di bronzo di definire “dollaro”, e noi Italiani/Europei, per poterli davvero fare contenti ed appagati (poverini… ci hanno “liberato”!), dovremmo – con l’indefesso ausilio e la quotidiana, servile ed interessata complicità dei maggiordomi/kapò delle classi dirigenti (destra, sinistra, centro = kif kif) e dei responsabili pro-tempore delle bankgangster di casa nostra – pagare le spese dei loro disastri epocali!
La catastrofe? Ben venga, Sig. Ministro dell’Impero USA. Vogliamo la catastrofe.
 
Anzi: evviva la catastrofe!
E non ci vengano a rimettere sul tappeto la storiella del debito sovrano (l’unica sovranità che resta ai nostri Stati!)…

Chi ha contratto i debiti – senza la preventiva, consenziente e documentabile autorizzazione del popolo sovrano – li paghi. E li paghi di tasca propria! Altro che pretendere di continuare a farli costantemente saldare a noi, attraverso i soliti ed inaccettabili aumenti delle tasse, dei ticket, dell’IVA, delle sigarette, della benzina o del gasolio; oppure, imponendo unilateralmente all’uomo della strada il banditesco, intollerabile ed inammissibile innalzamento dell’età della pensione (brutti ladri e farabutti, ridateci semplicemente i soldi che abbiamo versato fino ad oggi, anche senza interessi, che ce lo faremo da noi stessi il nostro vitalizio!); o ancora, l’arbitrario e furfantesco taglio dei contributi ai Comuni ed agli Enti locali, alla Sanità, ai servizi pubblici, alla ricerca ed all’Università; ovvero, mettendo mafiosamente in (s)vendita, al maggior offerente, i migliori e più quotati “gioielli di famiglia” imprenditoriali ed industriali del nostro Paese, gli immobili delle caserme, dei musei, delle biblioteche, dei ministeri, e perfino le spiagge, i parchi nazionali, il Colosseo, l’Arco di Tito o di Costantino o di Traiano, la torre di Pisa, i Templi greci di Agrigento o di Poseidonia/Paestum, senza contare gli altri innumerevoli monumenti della nostra storica e secolare Nazione.

I suddetti “signori dell’oro” (virtuale ed elettronico, naturalmente!) debbono sapere che i liberi e sovrani cittadini d’Italia e d’Europa ne hanno le scatole piene di farsi ininterrottamente borseggiare e depredare da bande organizzate di rapinatori internazionali che sono puntualmente coadiuvate, sostenute e protette da schiere di mercenari nostrani (di destra, di sinistra e di centro) in camicia e cravatta che – oltre ad essere sfacciatamente al servizio di potenze straniere e di interessi unicamente cosmopoliti ed anti-nazionali – pretendono arrogantemente “governarci” per conto terzi, per meglio potere offrire allo Shylock di turno, la consueto e rituale “libbra di carne” di shakespeariana memoria.

Tanto per mettere i puntini sulle “i”: ma chi se ne frega se i nostri Stati e le nostre banche dovessero andare prossimamente in default (cioè, in stato d’insolvenza sui loro propri debiti)? Chi se ne frega se un Berluska o qualunque altro Paperon de Paperoni nostrano o forestiero rischierà di perdere il 70 o il 100% del suo patrimonio e, magari, non potrà più pagarsi, come prima, i suoi frequenti ed abituali bunga-bunga? Se l’Euro e l’Europa delle banche se ne andranno (finalmente) a carte quarantotto? Se un Trichet o un Draghi o un Monti sarà scontento? Se una Merkel o un Sarkozy o un Cameron o un Napolitano avranno qualcosa da ridire o da protestare? Se gli USA, la BCE, il FMI o la Banca Mondiale storceranno il naso? Se un Marchionne ed un John Jacob Philip Elkann qualsiasi decideranno di trasferirsi definitivamente nell’Amerika dei loro sogni (ovviamente, non prima di avere restituito, fino all’ultimo centesimo, i miliardi di miliardi di lire e di euro che l’impresa FIAT & C. – cioè, Lancia, Alfa Romeo, Maserati, Ferrari, Abarth, etc. – ha costantemente ricevuto dallo Stato italiano – quindi, dal contribuente: cioè, da noi! – dal 1923 ad oggi)? E chi se ne frega, infine, per dirla proprio tutta, se certe isteriche, crocidanti, sbilenche e complessate industrialotte di origine lumbard – che tendono costantemente ed indebitamente ad atteggiarsi a lungimiranti o provvidenziali statiste da manuale e, di conseguenza, ad impartire ordini perentori, assoluti ed indiscutibili a tutto il Paese – si dovessero trovare in carenza di ordinari proventi, per tentare, ad esempio, di poter continuare a farsi medicare le infinite e permanenti papule dei loro cronici ed esiziali acne iuvenilis?

Vadano tutti a zappare (con tutta la terra incolta o lasciata in abbandono che c’è, in Italia, in Europa e nel Mondo!), se vogliono continuare a campare!

L’ora è ormai venuta, mi sembra – per noi popolo lavoratore, produttore e consumatore dell’Italia e dell’Europa – di ribellarci e di smettere di pagare.

Basta, insomma, di farci turlupinare e bidonare! Tiriamo fuori dal nostro ventre l’abbondante rabbia che abbiamo pazientemente accumulato negli ultimi 66 anni di costante asservimento al Capitale. Incominciamo a manifestare la nostra collera e la nostra indignazione. E tentiamo tutti assieme, prima che sia troppo tardi, di riconquistare – costi quel che costi, e nel più breve tempo possibile – la nostra indispensabile e non negoziabile libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità politica, economica, culturale e militare. E soprattutto, il nostro inalienabile e sacrosanto diritto di poter vivere ed operare, come meglio lo intendiamo o lo preferiamo, in pace e dignità, all’interno di un mondo a misura umana, senza più parassiti istituzionali o privati; senza sfruttatori e papponi di casta; senza “furbetti del quartierino”; senza “P2”, “P3”, “P4”, “P5”, etc.; senza mascalzoni in doppiopetto che il giorno fanno finta di litigare in Parlamento e la notte vanno a rubare assieme (come i ladri di Pisa) per continuare sistematicamente ed impunemente a rimpinguare i loro già lauti stipendi e le loro già sostanziose prebende; senza più anonimi, intoccabili e non tassabili speculatori nazionali ed internazionali che dopo avere dilapidato qualcuno dei loro infiniti impulsi elettronici al gioco borsistico dei Monopoli cercano furbescamente di socializzare a loro vantaggio – in soldi veri (i nostri!) ed a nostro completo danno e pregiudizio – le loro perdite nominali; un mondo, per finire, senza più lazzaroni e cialtroni di Stato o di Governo che invece di difendere l’interesse generale della società, continuano semplicemente a depredare e ad immiserire le fasce più povere e bisognose del nostro Popolo-Nazione, per meglio potere riuscire a rimpolpare i già ricchi ed i più traboccanti.

Ora, se per cercare di ottenere tutto questo, sarà necessario passare per la catastrofe finanziaria generalizzata che ci viene annunciata perfino dall’ultimo G-20, ben venga la catastrofe. Ben venga l’azzeramento di tutto. Ben venga la Rivoluzione!

Noi ordinari cittadini dell’Italia e dell’Euopa, se ancora abbiamo un minimo di rispetto per noi stessi ed un po’ di umana dignità, ci dobbiamo concordemente ribellare, impegnandoci individualmente e collettivamente a non pagare più nulla. E meno di ogni altra cosa, gli aggiuntivi ed inutili 3 mila miliardi di dollari/euro (di chiacchiere…, tanto siamo noi che, nei loro piani preventivi, saremo costretti a pagarli!) dell’ultimo e cosiddetto maxi-piano d’emergenza che sarebbe stato messo a punto nei giorni scorsi a Washington dai “grandi” della Terra e rivelato in anteprima dal Sunday Times, per tentare di salvare l’euro, ricapitalizzando le banche, e dando più risorse all’ennesimo, inefficace e fraudolento fondo salva-Stati.

Finiamola, una volta per tutte, di continuare a tollerare certe rapine!

Ecco – se fosse ancora necessario doverlo suggerire – cosa dovremo rispondere ai nostri ostinati ed incorreggibili affamatori: inutile provare a chiederci il nostro ennesimo contributo di sacrifici, di lacrime e di sangue, per cercare di togliervi d’impaccio ed agevolare le vostre strategie. Noi liberi e sovrani cittadini italiani ed europei non siamo più disposti a pagare nulla ai provetti manovratori dell’usurocrazia mondiale. Neanche un centesimo!

Diciamo, per concludere, che per tentare di potere concretamente riuscire a carpirci ancora qualche ennesimo ed illegittimo sgheo, gli striscianti ed asserviti valvassini della finanza internazionale dei nostri pseudo-Stati e pseudo-Governi dovranno obbligatoriamente essere costretti ad inviarci i Carabinieri, casa per casa, per sottrarci manu militari il previsto ed indebito montante delle loro eventuali gabelle. E noi sapremo, allora – se la Forza pubblica accetterà, contro ogni logica ed ogni buonsenso, di permettere la criminale perpetuazione di una tale rapina collettiva – come difenderci e come contrattaccare!

Va da sé, pertanto, che chiunque accetterà comunque di continuare spontaneamente a pagare, anche al di là delle sue fruibili o disponibili risorse, oltre a confermare – a se stesso ed agli altri – la sua vergognosa e ripugnante condizione di schiavo volontario e contento, non potra essere considerato nient’altro, ai nostri occhi, che un volgare e consapevole complice dei nostri insaziabili e vampireschi sfruttatori di sempre. E come tale, davanti al tribunale della Storia, non potrà che meritare, come minimo, la forca!
DI ALBERTO B. MARIANTONI
mirorenzaglia.org
 27-09-2011 09:54 - evviva la catastrofe!
·         Beh io starei molto attento a parlare di referendum per abolire l'art. 8 della manovra, perchè i ricordi della sconfitta al referendum sulla scala mobile sono ancora vivi.

Semmai concordo con Landini di costringere l'attuale opposizione che si appresta
( forse) a governare a prendere un impegno ( questa volta in anticipo) per l'abolizione di tale articolo, come altrettanto sulla legge 30.
Altrimenti se lo possono scordare il nostro voto 27-09-2011 00:48 - Gennaro
·         La verità si è capita un pò tutti.L'ALTERNATIVA politica,di un nuovo progetto di paese e di mondo,sta avanzando giono dopo giorno.Non c'è più tempo per i giochini di palazzo.Questo confindustria insieme al sindacato dei sindacalisti(questo vuol dire la firma della stessa cgil)hanno capito molto bene.Dico a Landini soltanto in un contesto disperato come il nostro,di prendersi le proprie responsabilità,quelle responsabilità che in questo paese non si prendono mai.Il cambiamento è nelle nostre mani,dobbiamo riprendercelo per il bene nostro e deei nostri figliL'analisi di stare fuori o dentro la cgil è alquanto complessa,ma và fatta.Penso che la cgil in questo momento non siano più i nostri riferimenti,il nostro immaginario di futuro 27-09-2011 00:10 - claudio claudio-mosca@hotmail.it
·         e VOILA' LA FIOM HA CALATO LE BRAGHE.
SI RIENTRA NEI RANGHI!!!!! E DI CORSA.
VORRAI MICA PERDERE LA POLTRONA?
E GIA' FANNO COMODO LE SOVVENZIONI DEI 730 DEI PATRONATI, sai quanti burocrati a spasso se mollate la cgil.
CHE DELUSIONE LA FIOM. 26-09-2011 23:54 - SALVATORE USB PINEROLO
·         landini il mio massimo rispetto! Ma la fiom e a un bivio, o con la cgil e da sola,non e più compatibile la fiom nella cgil! 26-09-2011 19:20 - tony.
·         compagno landini,la fiom non è mai stata sprovveduta su quello che ha sostenuto e continua a sostenere.Prima della crisi dei mutui americani proprio la fiom lanciava segnali preoccupenti anche perchè forti di una struttura internazionalista,figuriamici se poteva venire marchionne a raccontarci la storiella delle caramelle avvelenate.Ma come ogni persona non onesta intellettualmente l,'AD della fiat ha rimediato quello che si merita.Per i lavoratori la fiom deve restare un punto di riferimento per le nuove sfide che ci attendono.Vediamo La d.ssa marcegaglia cosa pone sul piatto della bilancia.Una cosa è certa il sud consuma i prodotti delle aziende del nord della serie siamo un paguro bernardo........... 26-09-2011 19:07 - sergej
·         Mi sembra un'ottima proposta quella di un referendum per far abrogare l'articolo 8, anche se non è un'iniziativa che risolve tutto, ovviamente, ma è comunque molto importante perchè ristabilirebbe una barriera invalicabile dei diritti del lavoro. 26-09-2011 17:51 - patrizia
·         Caro Maurizio,dai retta al tuo omonimo,porta i lavoratori in piazza.Portali subito,non aspettare perche il ferro si batte quando è caldo.Siamo in guerra!
La classe operaia è stata oggetto di depretamento salariale.
Per salvare le banche e il mondo dei soldi,la classe operaia è stata scelta dai borghesi di destra,ma anche di sinistra come agnello sacrificale.
I nostri soldi,i nostri anni di lavoro e il nostro futuro è stato preso in ostaggio dai banchieri di tutto il mondo.
Parlano della Cina e dei mercati,ma tu Maurizio,lo sai che c'è un solo mercato e che i cinesi se lavorano,lavorano nel mercato globale.
Quando i componenti delle nostre industrie li costrivano in Cina,andava tutto bene;ora che i cinesi portano i loro prodotti finiti e assemblati,va tutto male.
La signora della confindustria vuole riforme subito e tu sai di che cosa si parla.
Tu sei il segretario della FIOM,io non sono un metalmeccanico,ma abbiamo fatto tante lotte insieme che oggi posso dire di essere uno di voi.
Ho lavorato nell'indotto e conosco le fabbriche anche se non ho mai avuto una tuta blu.
Conosco il frastuono dei rulli e delle macchine.
conosco la puzza degli acidi e delle vernici.
conosco le lamiere e i pezzi taglienti.
Per una di quelle mi manca un pezzo di dito.
Maurizio,non tentennare.
Tu sei un compagno che potrebbe diventare il più importante della sinistra,solo se hai il coraggio di scendere in politica.
Oggi non basta difendere il salario.Quando si è attaccati in questo modo,restare all'angolo è un suicidio.Bisogna attaccare e subito!
Sciopero politico!
Questa volta si parla di politica!

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domenica 25 settembre 2011

La politica, l'economia ed il fallimento del mercato

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Passo dopo passo Italia ed Europa si stanno avvicinando sempre più pericolosamente all'orlo del precipizio. Negli ultimi giorni abbiamo avuto una nuova brusca accellerata, prima a livello di stati, con il downgrading del debito pubblico italiano e le interminabili ed inutili discussioni tra il governo greco ed il Fondo Monetario Internazionale sull'ennesimo pacchetto di salvataggio per Atene. Poi il panico si è propagato al settore privato: la settimana scorsa Moody's ha tagliato il rating di Credit Agricole e Societe Generale, due delle più grandi banche francesi. Ed ora Standard&Poor's ha abbassato il rating di ben sette banche italiane. Una situazione esplosiva, con la Siemens che ha ritirato 500 milioni di euro da una delle due banche francesi e li ha depositati presso la Banca Centrale Europea, dimostrando poca fiducia nella tenuta del sistema bancario privato. In un continuo e perverso rimpallarsi di responsabilità, il rischio continua a passare di mano tra settore pubblico e privato. Nel 2007 il fallimento del sistema finanziario globale è stato evitato dall'intervento statale, provocando però la crisi dei debiti sovrani iniziata l'anno scorso in Grecia ed Irlanda ed estesasi poi ad Italia e Spagna. Ora però il rischio sembra tornare verso le banche che hanno il portafoglio pieno di titoli pubblici, greci, spagnoli ed italiani che, in caso di default, si trasformerebbero in carta straccia. Non a caso la Germania sta già organizzando una ricapitilizzazione delle sue banche che rischiano di essere travolte da fallimenti a catena. 
Esiste certamente un problema di fondamentali economici che stanno scatenando questa tempesta perfetta non solo sui mercati finanziari, ma sull'economia occidentale tutta. Il deficit di Atene è insostenibile e la dinamica del debito fuori controllo - la Grecia è già di fatto fallita anche se nessuno lo vuole ammettere. Il debito italiano è altrettanto insostenibile, soprattutto in presenza di crescita zero. Ed i bilanci di molte banche europee sono pericolosamente in rosso, anche se artifici contabili cercano di dimostrare il contrario. Questi problemi sono sotto gli occhi di tutti e devono essere risolti se vogliamo uscire dall'imbuto in cui ci siamo infilati. 
La soluzione, però, può venire solo dalla politica, drammaticamente assente in tutta Europa, mentre in Italia al danno aggiungiamo la beffa con un governo clownesco, preoccupato solo dei mandati di arresto e della satiriasi di Berlusconi: uno scenario da basso impero, a metà tra Gli ultimi giorni di Pompei e Salò o le 120 giornate di Sodoma. Una situazione talmente tragica che addirittura Confindustria si è messa in netta opposizione al governo del capitale, un fatto inusitato. La pantomima berlusconiana ha ovviamente un riflesso sulla perdita di fiducia dell'Italia, come testimoniato dal rapporto di Standard&Poor's che, per giustificare il downgrading del nostro debito pubblico, ha parlato di un governo incapace di affrontare la crisi e di una maggioranza divisa e senza un serio programma economico. 
Purtroppo però il problema non è solo Berlusconi. L'assurda finanziaria italiana, al netto del patetico balletto su cifre e provenienza di maggiori entrate e minori uscite, è costruita sulla stessa filosofia che si tenta in questi giorni di applicare alla Grecia e che si è, più in generale, adottata tanto in Europa quanto negli Stati Uniti negli ultimi anni. La priorità è rimettere in ordine i conti di breve periodo, a qualsiasi costo. La dipendenza dai mercati finanziari, in larga parte speculativi e dunque interessati solo al profitto immediato, ha trasformato la politica in contabilità ed i governi in consigli di amministrazione che non riescono ad avere nessuna visione complessa e di lungo periodo della società e dell'economia. Così il problema di governance delle aziende dirette da manager senza capacità industriali, alla Marchionne per intenderci, si sta trasferendo ai governi, con risultati drammatici. Quello che chiedono i mercati è il pareggio di bilancio oggi, che poi questo comporti il fallimento domani sembra importare poco. 
L'adattarsi alle esigenze del mercato è il vizio originario del neo-liberismo che da trent'anni impone riforme lacrime e sangue che dovrebbero rilanciare la crescita, ma aumentano solo i profitti. Ora il Fondo Monetario Internazionale rispolvera addirittura la formula della shock therapy per la Grecia, come già l'utilizzò per la Russia post-Sovietica e per l'Europa orientale. Di fronte al fallimento del piano di salvataggio per Atene - con l'economia che crolla, le entrate che diminuiscono a causa della recessione ed i conti pubblici che peggiorano invece di migliorare - l'Imf, per bocca del suo inviato ad Atene Bob Traa, propone una soluzione innovativa: non più tagli diluiti nel tempo, meglio licenziare subito tutti i dipendenti pubblici in sovrannumero! Meglio uno shock violento e ridotto nel tempo che metta l'opposizione di fronte ad un fatto compiuto. Una follia: licenziare gli impiegati pubblici diminuirà sicuramente le spese dello stato, ma la recessione diventerà ancora più acuta, le entrate fiscali diminuiranno ulteriormente e lo stato si troverà, infine, con un deficit di bilancio ancora più in rosso. Quello che gli economisti del Fondo sperano è che il mercato, ritrovata la fiducia nella Grecia, faccia ripartire l'economia reale, ma non c'è nessuna base reale che sostenga questo ragionamento. Lo shock non funzionò in Russia vent'anni fa, i tagli alla spesa pubblica non stanno funzionando oggi in Grecia ed in Italia e nemmeno nel Regno Unito dove i licenziamenti in massa dei civil servants hanno affossato qualsiasi speranza di ripresa economica. 
Gli economisti neo-liberali non sembrano avere nessun'altro riferimento culturale e capacità intellettuale a parte i loro modelli economici che vengono smentiti, giorno dopo giorno, dalla dura realtà dei fatti. In realtà non è nemmeno il loro compito proporre soluzioni di largo respiro, cosa che spetterebbe ai politici.
Se solo ne avessimo.
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sabato 24 settembre 2011

Ccnl metalmeccanici. Landini (Fiom): “Una piattaforma triennale che sia centrata su democrazia, non derogabilità e partecipazione negoziata. L’articolo 8 della Finanziaria va cancellato con ogni strumento disponibile”

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Sintesi della relazione tenuta dal segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, all’Assemblea nazionale in corso a Cervia per approvare la piattaforma per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici.

“La riconquista di un Contratto nazionale unico ed unitario per tutti i metalmeccanici, con una piattaforma che sia coerente con le lotte e le rivendicazioni di questo ultimo anno, sono l’obiettivo prioritario della Fiom.”
Con queste parole il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, ha iniziato a illustrare la sua proposta di piattaforma all’Assemblea nazionale della Fiom in corso a Cervia.
“Sappiamo di partire in salita, con alle spalle un Contratto nazionale separato, con una legge che estende il modello Fiat a tutte le imprese del nostro Paese e con un piano volto a cancellare i diritti. Proprio per questo vogliamo proporre una piattaforma non ordinaria e che sia credibile.”
“Per prima cosa proponiamo a Fim, Uilm, Federmeccanica, Unionmeccanica e Cooperative un confronto sulle regole di approvazione di un Contratto, che confermino il ruolo delle Rsu, e sulla certificazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali. Si tratta di un punto che non viene affrontato né dall’Accordo del 28 giugno – che continuiamo a non condividere anche per questo motivo - né dall’articolo 8 della Finanziaria. La Fiom non ha mai firmato e non firmerà mai accordi che tengano fuori le altre organizzazioni sindacali o che facciano licenziare altri lavoratori. Ma è insufficiente l’impegno che Fim e Uilm sembrano voler assumere rispetto a questo argomento. Anche perché rimane nostra convinzione che l’articolo 8 non debba essere modificato o emendato, ma stralciato perché i diritti sono dei lavoratori e non di proprietà delle organizzazioni sindacali. E a tal fine pensiamo che si debbano usare tutti gli strumenti disponibili per cancellarlo, compreso il referendum.”
“La piattaforma che propongo all’Assemblea – e che sarà sottoposta al referendum tra i lavoratori – deve escludere le deroghe e prevedere un secondo livello di natura integrativa e gestionale. Deve avere durata triennale e deve affrontare il nodo della riunificazione dei processi produttivi, la riduzione della precarietà, per evitare che la competizione sia scaricata sulle condizioni dei lavoratori.”
“Proponiamo inoltre una partecipazione negoziata che preveda una fase di confronto tra azienda e sindacato su piano industriale, crisi e prospettive occupazionali. Durante questa fase sia l’azienda che i sindacati si devono impegnare a non attuare iniziative unilaterali.”
“Riguardo alla questione salariale la richiesta economica proposta è di 206 euro di aumento per il triennio e la rivalutazione dell’elemento perequativo per i lavoratori non coperti da contrattazione di secondo livello.”
Sottolineando l’importanza della presenza del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, all’Assemblea nazionale, Landini ha concluso spiegando che la lotta per la riconquista del Contratto nazionale di lavoro è una battaglia comune di tutta la Cgil e non riguarda solamente i lavoratori metalmeccanici del nostro Paese.

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venerdì 23 settembre 2011

Accordo sui contratti Confindustria-sindacati

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CAMUSSO (CGIL): «UN ACCORDO IN AUTONOMIA». Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha espresso la sua soddisfazione per l'operazione. Con la firma definitiva dell'accordo del 28 giugno scorso «abbiamo ribadito che la contrattazione è materia dell'autonomia delle parti e implicitamente riteniamo illegittimi gli interventi del governo», ha spiegato al termine dell'incontro. Una nuova dimostrazion del fronte comune tra Camusso e Marcegaglia contro le azioni di governo. Per la Camusso si tratta «dell'impegno formale all'applicazione dell'accordo del 28 giugno» dopo le disposizioni previste in materia di rapporti di lavoro dall'articolo 8 della manovra del governo. Su quest'ultimo tema l'intenzione della Cgil rimane ferma: «La cancellazione dell'articolo 8 è un obiettivo fondamentale. L'ipotesi su cui ci stiamo muovendo è quella del ricorso alla Corte Costituzionale».
Il segretario generale della Cgil ha poi commentato le indiscrezioni relative all'incontro sulle misure per lo sviluppo avvenuto ieri al Tesoro: «Perché, ci sono misure per lo sviluppo? È difficile parlare del nulla», ha detto la Camusso. «A parte che siamo passati ai piani decennali di stampo sovietico, è il nulla ripetuto. Sono tre anni che diciamo che il governo fa misure depressive che non hanno nessun effetto sulla crescita: parlare di piani decennali vuol dire non avere coscienza di quello che sta succedendo».
dice Giovanni Rivecca del PRC Basilicata che questo accordo che ha firmato la CGIL  e una vera vergogna, con questo accordo smantelliamo utti i contratti nazionali e quello che vuole MARCHIONNE invito a tutti i lavoratori di mobilitarci a finche la CGIL ritiri la firma.
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5 ottobre,indignarsi è giusto

Piazza Esedra-San Giovanni: alla fine del percorso le uniche concessioni alla tradizione potrebbero essere proprio i capolinea del corteo del 15 ottobre. Tutto il resto sarà affidato alla creatività di chi avrà deciso di accogliere l'appello degli indignados spagnoli per una giornata europea e internazionale "United for global change", prima scadenza internazionale convocata dal basso.Cosa accadrà al termine di quel corteo? L'indignazione riuscirà ad accamparsi, a occupare lo spazio pubblico coniando forme di democrazia reale e una propria piattaforma, che poi sono i tratti distintivi di quanto avviene in mezza Europa? Assedierà o si terrà alla larga, quasi a ignorarli, i palazzi del potere? Ci sarà un palco o verrà scelta una modalità più partecipativa e orizzontale? Ci sarà solo la piazza romana o ci si convocherà anche in altre città per decentrare e ampliare la partecipazione? Ciascuno di questi nodi esprime prospettive differenti ma inizia ad essere chiaro che quel giorno sarà l'inizio di una mobilitazione imponente e lunga almeno quanto la crisi. L'innovazione non allude a un "copia e incolla" di pratiche mutuate dall'estero ma di costruire un percorso a disposizione della sollevazione possibile visto che, nei mesi precedenti, l'indignazione italiana ha già espresso grandi mobilitazioni (studenti, donne, precari, il decennale del 2001 genovese) ma segnali di "eccedenza", alla ripresa estiva, non è che si siano registrati almeno al di fuori della partecipazione allo sciopero del 6 settembre. Il movimento studentesco ha appena rimesso piede nei suoi luoghi, l'Uds per il 7 ottobre ha convocato cortei in ogni città. L'attesa, tuttavia, è palpabile per una manifestazione che vedrà convergere a Roma decine di migliaia di persone. Segno ne è la terza riunione dello spazio di coordinamento che ha visto ieri la partecipazione di un centinaio di persone appartenenti a vario titolo alle sigle sociali, politiche e sindacali che agiscono lo spazio del movimento antiliberista di questo Paese. Solo la settimana precedente erano meno della metà. 
Dal salone dell'Arci nazionale s'è usciti con un invito a costruire nei territori la partecipazione italiana «contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia compiuta, con le politiche anticrisi, a difesa dei profitti e della speculazione finanziaria», si legge nel comunicato finale prodotto dopo decine di interventi. Un'indicazione in sintonia con quanto sta già accadendo in periferia: da domani e ogni venerdì, fino al 15 ottobre, la società civile cosentina, ad esempio, manifesterà lungo Corso Mazzini e fino a Piazza dei Bruzi.
Il Coordinamento 15 ottobre, tuttavia, non è un social forum. Prevale, al momento, una versione piuttosto minimale, di servizio, con l'obiettivo di preparare una piazza grande e inclusiva ma che non scalfisce la polarità su cui l'esperienza nostrana sembra inchiodata, quella tra conflitto e sua rappresentazione. Una polarità tutta interna all'anomalia italiana (berlusconismo, bipolarismo, assenza di una opposizione politica, concertazione) in cui sono tutte da ricostruire la istituzioni di movimento e la rappresentanza politica dei soggetti conflittuali. Dunque il coordinamento curerà unitariamente la logistica e l'organizzazione della manifestazione nazionale di Roma e ne definirà le sue parti comuni. «Il suo obiettivo è favorire la massima inclusione, convergenza, convivenza e cooperazione delle molteplici e plurali forze sociali, reti, energie individuali e collettive che stanno preparando e prepareranno la mobilitazione con i propri appelli, le proprie alleanze, i propri contenuti. Ci impegniamo insieme a costruire una manifestazione partecipata, pacifica, inclusiva, plurale e di massa, il cui obiettivo è raccogliere e dare massimo spazio alla opposizione popolare, alle lotte e alle pratiche alternative diffuse nel nostro paese. Sarà una tappa della ripresa di spazio pubblico di mobilitazione permanente, come si sta realizzando in tutta Europa e nel Mediterraneo».
Nel fine settimana le singole realtà saranno occupate in vari appuntamenti: dalla Perugia-Assisi alla convention bolognese di San Precario fino alla kermesse di Uniti contro la crisi in un ex cinema romano occupato a San Lorenzo. Martedì prossimo, dalle 11 ancora all'Arci nazionale, il prossimo appuntamento per varare il titolo/slogan della manifestazione e l'arrivo del corteo che alcune reti preferibbero in una piazza più centrale. Funzioneranno una mailing list, un blog, la comunicazione virale sui social network.

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mercoledì 21 settembre 2011

TUTTI IN PIAZZA IL 15 OTTOBRE. APPELLO UNITARIO DEL COORDINAMENTO DEI MOVIMENTI

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IL 15 OTTOBRE SARÀ UNA GIORNATA EUROPEA E INTERNAZIONALE DI MOBILITAZIONE

gli esseri umani prima dei profitti, non siamo merce nelle mani di politici e banchieri, chi pretende di governarci non ci rappresenta, l’alternativa c’è ed è nelle nostre mani, democrazia reale ora!

Commissione Europea, governi europei, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, multinazionali e poteri forti ci presentano come dogmi intoccabili il pagamento del debito, il pareggio del bilancio pubblico, gli interessi dei mercati finanziari, le privatizzazioni, i tagli alla spesa, la precarizzazione del lavoro e della vita.
Sono ricette inique e sbagliate, utili a difendere rendite e privilegi, e renderci tutti più schiavi. Distruggono il lavoro e i suoi diritti, i sindacati, il contratto nazionale, le pensioni, l’istruzione, la cultura, i beni comuni, il territorio, la società e le comunità, tutti i diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Opprimono il presente di una popolazione sempre più impoverita, negano il futuro ai giovani. Non è vero che siano scelte obbligate. Noi le rifiutiamo. Qualunque schieramento politico le voglia imporre, avrà come unico effetto un’ulteriore devastazione sociale, ambientale, democratica. Ci sono altre strade, e quelle vogliamo percorrere, riprendendoci pienamente il nostro potere di cittadinanza che è fondamento di qualunque democrazia reale.
Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo, così come le politiche economiche europee, continuano ad avvicinare. Vogliamo una vera alternativa di sistema. Si deve uscire dalla crisi con il cambiamento e l’innovazione. Le risorse ci sono.
Si deve investire sulla riconversione ecologica, la giustizia sociale, l’altra economia, sui saperi, la cultura, il territorio, la partecipazione. Si deve redistribuire radicalmente la ricchezza. Vogliamo ripartire dal risultato dei referendum del 12 e 13 giugno, per restituire alle comunità i beni comuni ed il loro diritto alla partecipazione. Si devono recuperare risorse dal taglio delle spese militari. Si deve smettere di fare le guerre e bisogna accogliere i migranti. Le alternative vanno conquistate, insieme. In Europa, in Italia, nel Mediterraneo, nel mondo. In tanti e tante, diversi e diverse, uniti. E’ il solo modo per vincere.
Il Coordinamento 15 ottobre, luogo di convergenza organizzativa dei soggetti sociali impegnati, invita tutti e tutte a preparare la mobilitazione e a essere in piazza a Roma, riempiendo la manifestazione con i propri appelli, con i propri contenuti, con le proprie lotte e proposte
PER LA NOSTRA DIGNITÀ E PER CAMBIARE DAVVERO

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ora tutti parlano di patrimoniale

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Stamattina a Omnibus quasi tutti i "giornalisti" presenti disquisivano di patrimoniale dicendo che sarebbe una misura indispensabile. La Maria Teresa Meli del Corriere della Sera merita i complimenti per aver coniato lo slogan più efficace ricordando che se Lapo Elkan dichiara 74.000 euro c'è davvero bisogno di una patrimoniale. Ovviamente nessuno ha detto che in queste settimane Rifondazione e la FdS ha lanciato  il "PATRIMONIALE DAY". Ora che di patrimoniale cominciano a parlare persino Veltroni o Amato la patrimoniale non è più un tabù: però si guardano bene questi "segretari dell'opinione dominante" dal chiedere scusa per le campagne di derisione, disinformazione e linciaggio sulle proposte economiche che Rifondazione Comunista propone da un ventennio. Eccovi un assaggio di come il quotidiano "riformista" e "di sinistra" La Repubblica argomentava contro la patrimoniale nel '95 in un raro articolo che comunque entrava nel merito, mentre la cifra stilistica dell'argomentazione di stampa e tv è sempre stata quella di liquidare le proposte come irrealistiche, ideologiche, fuoti dal mondo, folli (ora semplicemente ci cancellano dagli schermi televisivi e dalla carta stampata). Era il 1995 Rifondazione era in forte ascesa elettorale e in anticipo sui tempi dava voce all'unica posizione antiliberista nella politica italiana (non c'era ancora nemmeno il movimento altermondialista, chiamato volgarmente da queste "prostitute intellettuali" noglobal).

LA PATRIMONIALE DI BERTINOTTI
13 febbraio 1995 — pagina 3 sezione: AFFARI & FINANZA

UN' IMPOSTA generale e progressiva che colpisca tutti i patrimoni, ad esclusione della prima casa e dei primi 200 milioni di Bot. E' questa la proposta, semplice e comprensibile a tutti, che Fausto Bertinotti, segretario generale di Rifondazione comunista, lancia da qualche tempo a questa parte agli italiani in tutte le trasmissioni televisive a cui è invitato. Lo scopo sarebbe quello di colpire i grandi patrimoni che adesso sfuggono in parte o totalmente a un' imposizione fiscale, mentre i redditi da lavoro vengono tassati e tartassati. Ma è davvero possibile introdurre una "patrimoniale"? O si tratta soltanto di uno slogan destinato a caratterizzare il movimento politico di Rifondazione comunista e a rimanere senza effetti, salvo forse quello di spaventare quelle classi medie che già tremarono quando, durante le elezioni dello scorso anno, lo stesso Bertinotti propose di inserire il reddito dei titoli di Stato nel 740? Gli esperti dicono che, in astratto, un' imposta patrimoniale non è affatto un' eresia. "Molti paesi ce l' hanno", dice il tributarista Enrico De Mita. "Di recente anche la Spagna l' ha introdotta. La patrimoniale, insomma, non è un elemento di socialismo reale. Tuttavia, per dare un giudizio, occorrerebbe precisare meglio la proposta, che per ora rimane vaga". In effetti Rifondazione è per ora assai incerta sulla proposta e rimanda a tempi successivi un vero e proprio articolato in materia. Si sa soltanto che il nuovo tributo dovrebbe essere "generale" (colpire cioè qualunque forma di patrimonio, dalle case ai Bot, dalle azioni alle imprese) e "progressivo" (più alto via via che cresce il patrimonio). Ne sarebbero esentati, per ammissione dello stesso Bertinotti, sia la prima casa che i primi 200 milioni di titoli di Stato. Una patrimoniale non sarebbe neppure una novità nell' ordinamento tributario italiano. Un' imposta di questo tipo venne adottata durante il regime fascista e restò in vigore dal 1940 al 1948; durante questo periodo diede un gettito di circa 1.400 miliardi all' anno (in lire costanti 1940). In tempi più recenti, negli anni 80, è stata introdotta in Francia (il suo nome era Igf, "imposta sulle grandi fortune") dove con un' aliquota dello 0,50 per cento colpiva i patrimoni superiori a 3,4 milioni di franchi, circa un miliardo di lire attuali. Anche l' Igf francese è stata però abolita: dava un gettito irrisorio ed era invisa all' opinione pubblica. Ma le sorprese non finiscono qui. Di patrimoniale, anzi di patrimoniali, il sistema tributario italiano è già pieno. Per cui, se si pensasse a introdurre un' imposta generale, si dovrebbe necessariamente rivedere tutto il sistema fiscale, eliminando i doppioni e ridisegnando le aliquote Irpef. Un lavoro immane. Le patrimoniali già esistenti sono piccole e grandi. Grande è sicuramente l' Ici, che colpisce gli immobili e dà un gettito di crica 16 mila miliardi. L' altra grande patrimoniale è l' imposta sul patrimonio netto delle imprese, che dà un gettito di circa 6 mila miliardi. C' è poi una miriade di piccole imposte che colpiscono non un reddito ma un bene. Tale è ad esempio l' imposta di successione. E tale è ormai diventata la tassa sul possesso di auto (che una volta era la tassa di circolazione). Una forma di patrimoniale è anche quella che colpisce i Fondi comuni d' investimento e che sostituisce quella sul reddito. E che altro è l' imposta di registro, se non un altro tributo di questo tipo che insiste sui trasferimenti immobiliari? Anche l' Iciap, che colpisce i professionisti, è almeno per un verso una patrimoniale visto che prende a riferimento la superficie degli immobili. Anche il canone Rai è ormai diventato formalmente una patrimoniale, visto che insiste sul possesso di televisori e radio, mentre non è più il corrispettivo di un servizio. Gli italiani sono dunque già in qualche modo avvezzi alle patrimoniali. Si può quindi facilmente passare alla "grande patrimoniale", come chiede Bertinotti? La risposta degli esperti, possibilista a livello teorico, è però totalmente negativa a livello pratico. "Non mi pare il momento per pensare a soluzioni del genere", dice De Mita. "Sarebbe possibile farlo soltanto in un sistema economico risanato dove la tassazione sui redditi, oggi elevatissima, sia stata ridotta. Secondo me, Bertinotti farebbe meglio ad appuntare la sua attenzione sulla lotta all' evasione". "Tutto quello che può essere tassato facilmente con una patrimoniale - dice Raffaello Lupi, professore di Diritto tributario all' Umiversità di Roma - come ad esempio gli immobili, è già stato tassato. Il resto è difficilmente sia controllabile e che tassabile, soprattutto in Italia. Pensiamo ai controlli: gli uffici finanziari ne riescono a portare a termine a malapena 50 mila all' anno, non sarebbero in grado di accertare anche i patrimoni. E poi la materia è sfuggente: in una patrimoniale generale, non ci sarebbero solo immobili, titoli di Stato e azioni, ma anche beni-rifugio, quadri, gioielli, pezzi d' antiquariato. Diciamo al verità: non si possono controllare i movimenti della ricchezza di 20 milioni di cittadini senza sfociare in uno Stato di polizia. Qualcosa per colpire di più la sola ricchezza finanziaria si potrebbe fare, ma è uno spazio ristretto, che richiederebbe un grande sforzo e un fisco efficiente". Dello stesso parere è anche Franco Gallo, ex ministro delle Finanze durante il governo Ciampi. "C' è una difficoltà obbiettiva a individuare i beni che dovrebbero sottostare alla patrimoniale generale, data la loro volatilità. E non dimentichiamo che oggi c' è libertà di movimento dei capitali, per cui alcuni potrebbero decidere di spsotare i loro beni altrove con estrema facilità". A Rifondazione comunista ne sono consapevoli. Per questo dicono che "si dovrebbero introdurre dei controlli sui movimenti di capitale". "Il che vorrebbe in pratica dire - commenta Gallo - uscire dall' Europa". - di ADRIANO BONAFEDE


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SIX PACK: I 6 PUNTI DEL GOVERNO UNICO DELLE BANCHE ENTRANO IN VIGORE

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L'Europa si prepara ad avere una nuova e rinforzata governance economica comune sui bilanci statali, l'Ansa riporta oggi con un approfondito articolo quello che in realtà rappresenta il il programma attuativo del governo unico delle banche. L'Ecofin informale di venerdì scorso in Polonia ha dato il via libera all'accordo di compromesso tra Consiglio e Parlamento Europeo dopo mesi di battibecchi tra tecnocrati e governanti. Da quanto ho avuto modo di leggere in questi giorni non ci dovrebbero essere ulteriori ostacoli all'entrata in vigore ( forse da gennaio ) del meccanismo di governo ultraliberista che inizierà a macinare il popolo ancora con più ferocia di quanto stanno facendo oggi i governi. Per gli stati che non si adegueranno all'austerity, scatteranno multe europee pesantissime che, a seconda dei casi, sono nell'ordine dello 0,2% o 0,1% del Pil. Volete sapere per caso quanto sarebbe in Italia una multa del genere? 30 miliardi di euro circa, miliardo più miliardo meno. Cioè una finanziaria pesantissima. Insomma, una rivoluzione autoritaria che dà alla Commissione europea poteri di controllo preventivo sulle politiche di bilancio nazionale, che stabilisce anche criteri comuni per le politiche fiscali tanto dei 27 quanto dei 17 paesi dell'Eurozona. Questo pacchetto di norme introduce meccanismi per la prevenzione e la riduzione degli squilibri, impone alcuni standard comuni per le statistiche e quindi interviene in maniera ancora più pesante sulla sovranità economica degli stati già compromessa dai ricatti della BCE. I parlamenti sono di fatto espropriati delle loro funzioni di indirizzo e le finanziarie saranno decise altrove. E' questo un pacchetto di norme che facendo riferimento al deficit fiscale, al debito pubblico e non al debito privato, all’inflazione favorisce di fatto le esportazioni ( della Germania ) massacrando i paesi periferici. Il nuovo autoritarismo monetario, che i tecnocrati chiamano "governance" o 'six pack', introduce la sorveglianza sul debito, un meccanismo devastante soprattutto per l'Italia. In poche parole un organismo superiore, senza che nessun popolo lo abbia deciso, ha il potere di imporre ai paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% - in Italia è del 120% - l'obbligo di ridurlo ogni anno del 5% (un ventesimo della parte eccedente). Non ho tempo per fare i conti ma raggiunto il pareggio di bilancio nel 2014 con lacrime e sangue, dovremo poi ridurre il debito con finanziarie pesantissime impostate su questi indici.
Dal punto di vista tecnico il 'six pack' è un pacchetto di provvedimenti composto da una direttiva e cinque regolamenti.

L'Ansa ci elenca i punti qualificanti dei sei provvedimenti:

1) Rapporto Wortmann-Kool (Ola, Ppe): rafforza la prevenzione sugli squilibri di bilancio, la Commissione può lanciare allarmi nel caso in cui uno stato membro non adotti politiche prudenti. Istituzionalizza il cosiddetto 'semestre europeo" cioè l'omologazione delle politiche economiche dei governi su obbiettivi che saranno stabiliti in comune accordo. L'accordo raggiunto prevede che, quando la Commissione rileva un motivo di allarme, lanci uno 'warning'. Che viene adottato immediatamente se il Consiglio lo approva a maggioranza qualificata (12 su 17). Se non lo approva, o se anche lo 'ignorà ed il comportamento persiste, dopo un 'cooling period' di un mese la Commissione ripropone un 'final warning' che avvia automaticamente la procedura di sanzione contro uno dei 17 paesi dell'Eurozona. Il Consiglio può bloccare la procedura solo a maggioranza semplice contraria (9 su 17). Lo stato coinvolto non ha però diritto di voto. Ma è ben poca cosa dato che sarà ben difficile avere una maggioranza contraria. Di fatto si da alla commissione europea un potere enorme e si svuota definitivamente la sovranità economica degli stati periferici che saranno costretti a pesantissime misure lacrime e sangue.

2) Rapporto Vicky Ford (Gbr, conservatori): riguarda la direttiva che introduce più trasparenza e indipendenza per gli istituti nazionali di statistica. Non ci saranno ancora identici criteri di bilancio tra i 27, ma vengono definiti canoni comuni e standard qualitativi che permettono una omogeneità di dati.

3)Rapporto Elisa Ferreira (Por, S&D): sul regolamento per la prevenzione degli squilibri macroeconomici tra i 27 paesi Ue. Stabilisce regole e procedure per i controlli. In particolare introduce il concetto di 'simmetrià per cui la Commissione deve valutare non solo i deficit, ma anche i surplus. In pratica, possono essere richiamati non solo Spagna o Grecia, ma anche Germania e Olanda perchè hanno consumi interni troppo ridotti.

4)Rapporto Diogo Feio (Por, Ppe): sul regolamento che introduce nel Patto di Stabilità e Crescita il controllo sul debito, imponendo agli stati che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60%, la riduzione del 5% annuo per la parte eccedente.

5) Rapporto Carl Haglund (Fin, Alde): sul regolamento che definisce le sanzioni per gli squilibtri macroeconomici. Si parte da un deposito fruttifero pari allo 0,1% del Pil, che - in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni della Commissione da parte del governo nazionale - diventa prima deposito infruttifero poi si trasforma in multa pari allo 0,2% del Pil.

6) Rapporto Sylvie Goulard (Fra, Alde): sul regolamento che definisce le sanzioni per la fase correttiva delle politiche di bilancio prevista dai rapporti Wortmann-Kool e Feio. In questo caso si parte da un deposito fruttifero pari allo 0,2% del Pil, che - in caso di mancato adeguamento - si trasforma prima in deposito infruttifero, quindi in multa con incameramento progressivo di 'fettè di tale deposito. Inoltre stabilisce una multa pari allo 0,2% del Pil per le frodi statistiche.
Questi sei punti rappresentano di fatto il colpo di stato monetario che in sordina i poteri forti hanno portato avanti senza di fatto nessuna discussione pubblica. La responsabilità della socialdemocrazia europea, che tardivamente ed in maniera scomposta solo nelle ultime settimane ha capito di aver annaffiato per decenni l'albero in cui si è impiccata è enorme. Sia in campo nazionale che continentale. La destra euroliberista e i poteri forti si sono così trovati oramai in mano uno strumento di governo economico autoritario le cui basi sono state costruite dai socialdemocratici in grado di riscrivere l'intero impianto dei diritti del lavoro e del welfare a favore del profitto. La ristrutturazione a guida Franco Prussiana nella crisi si chiude così con la completa e progressiva cancellazione dei diritti sociali in nome della competitività liberista, i primi a farne le spese saranno i lavoratori dei paesi periferici. Altrettanto critica deve essere mossa verso i sindacati europei che di fronte a questo attacco non sono riusciti a produrre uno sciopero continentale in grado di contrapporre a questa sfida la forza del mondo del lavoro. Tralascio il ritardo che in Italia anche la sinistra ha avuto nel comprendere la portata delle decisioni che si stavano prendendo in Europa. E' stata allora l'autorganizzazione sociale a muoversi assieme ai movimenti e alla sinistra anticapitalista individuando un appuntamento comune di mobilitazione.

Il 15 ottobre,  da questo punto di vista rappresenta la prima tappa della lotta che verrà, per la destrutturazione dell'Europa che è oramai irriformabile e per la costruzione di uno spazio pubblico nel quale le intelligenze collettive possono ricostruire un progetto che lega democrazia, beni comuni, e giustizia sociale. Davanti a noi anni difficili, di lotta e resistenza sociale in uno spazio politico inedito che parte da piazza Tahirir ed arriva a Londra. Niente altro dobbiamo fare che rompere le catene che i potenti della terra hanno legato al collo dei lavoratori e delle lavoratrici dell'Euromediterraneo.
Alla loro crisi, la nostra lotta.

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