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lunedì 3 giugno 2013

No all'accordo sulla rappresentanza.

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Nella serata di venerdì 31 maggio è stato firmato il protocollo d'intesa sulla rappresentanza tra i vertici dei sindacati confederali e confindustria. L'intesa viene definita un gran passo avanti perché, ci spiegano, finalmente i lavoratori potranno esprimersi con una consultazione sugli accordi che verranno firmati. Perché le organizzazioni firmatarie potranno certificare la loro reale rappresentanza e perché i delegati nelle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) saranno eletti esclusivamente con un criterio proporzionale.
Purtroppo le cose non stanno esattamente così. Non ci sarà un metodo di consultazione uguale per tutti, ovvero il referendum, ma le categorie potranno scegliere il metodo che riterranno più appropriato, quindi anche il famigerato voto palese che si presta ad ogni tipo di manomissione. Se è vero che la dove c'erano le Rsu, oggi vengono riconfermate col proporzionale puro è anche vero che la dove ci sono le Rsa (delegati scelti direttamente dai vertici sindacali) nessuno li obbligherà a cambiare prassi.Ma la cosa peggiore di questo accordo è che chiunque non condividerà un accordo e sarà minoranza nelle consultazioni, lo dovrà accettare comunque.
Il fatto che invece di utilizzare la parola “sanzioni” si utilizzino parole come “clausole di raffreddamento” non cambia la sostanza, ovvero chi non condividerà quegli accordi non potrà mobilitarsi contro, pena una serie di sanzioni che verranno decise nei contratti. Poco importa se nell'accordo non si parla specificamente di divieto di sciopero, per altro diritto che per ora è ancora garantito dalla costituzione, la questione è che chi non sarà d'accordo sarà impossibilitato a opporsi. Il protocollo d'intesa è inoltre parte integrante l’accordo del 28 giugno 2011, che legittima le deroghe ai contratti: tutto quello che viene deciso in un contratto nazionale può essere peggiorato nella contrattazione di secondo livello. L’accordo è dunque uno strumento in più per i padroni per continuare a far pagare la crisi alla classe lavoratrice.

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