Francesco Boccia, presidente della Commissione bilancio alla Camera,
avverte che se la famiglia Riva non è in grado di mantenere gli impegni presi è
necessario un intervento dello Stato. I ministri dello Sviluppo economico e
dell'Ambiente sono al lavoro per valutare le strade da percorrere
Più informazioni su: Andrea Orlando, Eni, Enrico Letta, Flavio Zanonato, Francesco Boccia, Ilva.
Nazionalizzare l’Ilva? E’ una ipotesi da
considerare. Parola di Francesco Boccia,
presidente della Commissione bilancio alla Camera e quindi uomo del governo
Letta. “Se la famiglia Riva non è in
grado di mantenere gli impegni presi, ovvero fare le bonifiche che erano state concordate con lo Stato,
non vedo alternative che un intervento dello Stato”, ha spiegato il deputato
del Pd, sottolineando che “quando non ci sono privati in grado di produrre un
bene ritenuto essenziale dal Paese è giusto nazionalizzare e in questo caso
temo non ci siano”.
Una possibilità, secondo Boccia, è rilevare una parte della società
basandosi sul modello Eni, dove il
capitale pubblico controlla una quota di maggioranza relativa e il resto
dell’azienda è quotato in Borsa. “Si vedrà ora in Parlamento”, ha detto, “ma
non bisogna perdere tempo perché siamo in fase di emergenza“. Il
deputato Pd ha poi chiarito che i ministri dello Sviluppo economico e
dell’Ambiente, Flavio Zanonato e Andrea Orlando, sono impegnati a determinare lo stato di
attuazione delle prescrizioni Aia (Autorizzazione integrata ambientale) e, al
termine delle considerazioni, diranno se sarà necessario considerare altre
strade per risolvere il problema dell’Ilva, tra cui la nazionalizzazione.
Boccia, sulla base dell’esperienza come commissario liquidatore dell’organo
straordinario di liquidazione del dissesto finanziario di Taranto (dal 2006 al 2008), ha spiegato che l’Ilva
“non è un’azienda ordinaria, perché è più grande della stessa città, e non può
permettersi di continuare a produrre disastri ambientali“.
E ha ricordando che era chiaro da subito che il controllo di garante previsto
dalla legge non bastasse. Bisognava invece intervenire con la formazione di un
comitato di gestione cui affidare le operazioni di bonifica, formato da
rappresentanti di azienda, istituzioni e lavoratori, e da un’autorità che
verifichi lo stato dell’inquinamento ambientale.
Non è la prima volta che si parla di nazionalizzazione dell’Ilva. Nello sciopero a oltranza di metà gennaio indetto dal sindacato Usb per
garantire i diritti dei dipendenti dell’azienda pugliese, che ha
portato Palazzo Chigi a convocare un vertice d’urgenza, i lavoratori chiedevano
a gran voce tra le altre cose l’immediata nazionalizzazione dell’impresa. Ma
l’intervento dello Stato, seppur considerato dall’esecutivo, è per ora soltanto
una ipotesi. “Il governo deve valutare adesso se la siderurgia è considerato un settore fondamentale”,
ha detto Boccia, sottolineando che “l’Ilva non può chiudere e chi ha sbagliato
deve pagare”.
La squadra di Letta ha
però già avvertito di non essere intenzionata ad abbandonare l’azienda di
Taranto. “Se
l’Ilva si ferma, possiamo dire addio all’industria siderurgica e avremo
problemi con l’industria meccanica“, ha dichiarato il ministro Zanonato,
dopo le dimissioni
a catena dal Cda dell’azienda pugliese, chiarendo che il polo
dell’acciaio deve rimanere italiano. Ciò che serve ora, secondo Boccia, è
trovare al più presto una soluzione. “Le bonifiche devono essere fatte
dall’attuale azionista ora o dallo Stato domani, mettendo le mani
sull’azienda”, ha concluso. “Altrimenti non si può più andare avanti”.
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