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sabato 1 settembre 2012

Giovani senza lavoro al 34%

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L’Istat registra un aumento del 2,7% in un solo anno. E sale l’inflazione 3 milioni di precari, due terzi sotto i 35 anni. Esplode il part time, ma è del tutto «involontario»

Un’accelerazione degna di una Ferrari. Ma se si parla di disoccupazione c’è poco sorridere. E ieri l’Istat, con l’aplomb che compete a un’stituzione seria, ci ha conseegnato una lunga serie di dati che nell’insieme descrivono un quadro sociale già drammatico (e in attesa di un autunno che promette molte chiusure aziendali, licenziamenti nel pubblico impiego e ammortizzatori sociali in scadenza).
Nel secondo trimestre di quest’anno, infatti, i disoccupati sono arrivati a 2.705.000, confermando un tasso di disoccupazione al 10,5%. Un anno prima erano 758.000 di meno; l’aumento dei senza lavoro è dunque del 38,9% in riferimento alla platea e del 2,7 rispetto alla popolazione in età da lavoro.
Ma questi numeri, pur così pesanti, non dicono tutta la verità. Chi ha la fortuna di avere un’occupazione ufficiale, infatti, ha comunque un lavoro che garantisce un reddito medio molto più basso di prima. Le «figure lavorative a tempo pieno» hanno perso per strada 439.000 persone (-2,3%). Hanno pagato dazio sia gli «autonomi» (196.000) che i dipendenti full time (236.000). Mentre è esploso il fenomeno del «part time involontario», ovvero – come spiega l’Istat – «i lavori accettati in mancanza di occasioni a tempo pieno». A completare questo tassello, è aumentato del 4,5% (105.000 persone) il numero dei contratti a tempo determinato, portando il totale dei precari (solo per questa tipologia di contratto «atipico») al 10,7% dell’occupazione complessiva, 2.455.000 persone. Se si sommano i collaboratori (462mila) i precari ammontano a quasi 3 milioni. Da sottolineare ancora come i due terzi dei lavoratori in questa condizione abbiano meno di 35 anni, impiegati di preferenza in settori come l’agricoltura, la sanità e la ristorazione.
Un secondo fenomeno rilevante è la caduta veloce dell’occupazione maschile, per nulla compensata da quella femminile, che pure risulta percentualmente in aumento. Ma è l’occupazione giovanile il buco nero dell’Italia del 2000.
Il tasso di disoccupazione nell’età compresa tra i 15 e i 24 anni – escludendo ovviamente quanti sono ancora impegnati nel percorso scolastico o universitario – è salito ancora: 33,9%, mentre un anno fa era «solo» al 27,4. In questa fascia il record negativo assoluto spetta alle donne del Mezzogiorno: una su due (il 48%) non riesce a trovare lavoro. Sono cifre da quarto mondo, non di un paese sviluppato; tantomeno di un paese che voglia anche avere un futuro.
Sulle cause, naturalmente, l’Istat non può avanzare ipotesi, ma qualcosa si capisce egualmente. Indagando i movimenti tra i cosiddetti «inattivi» in età da lavoro, compresa tra i 15 e i 64 anni, emergono spostamenti molto evidenti. Intanto, diminuiscono in modo consistente (729.000 in meno in un solo anno) e sono soprattutto di italiani. Fin qui si tratta di un fenomeno noto: la quantità di anziani che passano statisticamente nella fascia dei pensionati è molto più numerosa dei ragazzi che compiono il quindicesimo anno senza più andare a scuola. Il dato forte è però l’esplosione della ricerca di una lavoro anche in questa «categoria». La riduzione di quanti si dicono «non disposti a lavorare» è fenomenale: 906.000 unità in meno, nel 40% dei casi individui tra i 55 e i 64 anni. La stessa Istat è costretta a collegare questo fenomeno con «l’inasprimento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione». Se a qualcuno serviva la dimostrazione matematica che l’innalzamento dell’età pensionabile riduce automaticamente l’occupazione giovanile, eccolo «tecnicamente» servito.
Non è naturalmente finita qui. Su una polazione impoverità grandina anche l’aumento dei prezzi. Ad agosto l’inflazione registra un aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 3,2% nei confronti di agosto 2011. L’inflazione già acquisita per il 2012 sale così al 3,0%. Non sorprende dunque il rapporto Eurispes che rivela come soltanto una famiglia su tre, nel nostro paese, riesca ad arrivare alla fine del mese «con serenità» e con un livello di vita «dignitoso».

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