Cinque ore di colloquio per non portare a casa niente.
L’incontro di ieri tra il Governo e la coppia Sergio Marchionne e Lapo Elkann,
vera e propria triste parodia di “Attenti a quei due”, è stato un autentico
disastro. Un disastro per il Bel Paese, ma soprattutto per i lavoratori della
Fiat. Bene che vada si andrà avanti a quote crescenti di cassa integrazione. In
più, rottamazione di qualche linea di produzione e aiuti sui mercati stranieri.
Nessuno che abbia chiesto il conto a Marchionne, ovviamente. Di investimenti,
poi, non c’è nemmeno l’ombra. Per Melfi e Pomigliano ci si attacca addirittura
ai fondi europei. Così siamo rassegnati al declino. Solo che prima delle
elezioni non si può dire. “Bisogna lavorare per l’export” ripete stancamente
l’Ad di Fiat, rimettendo in campo un vecchio leit motiv il cui obiettivo è in
realtà il costo del lavoro. Il Governo da parte sua non ha il becco di un
quattrino. E non lo nasconde. Si chiude quindi? La prospettiva è quella del
congelamento, per ora. Si tira a campare. A pagare saranno sempre i soliti, che
non solo si ritroveranno senza una busta paga degna di questo nome e con la
prospettiva del licenziamento, ma dovranno sopportare un regime normativo da
“stato di polizia”. E intanto si pensa a come spolpare il cadavere. Non è
proprio tutto da buttar via in fondo. Intanto, nessuno ha detto che Fabbrica
Italia, ovvero tutto l’apparato di regole contrattuali e “relazioni sindacali”
viene messo da parte. Anzi, a quanto sembra Mario Monti è pronto a farne la
base per il cosiddetto “Patto per la produttività”. Alcuni passaggi raggiunti
nel nuovo accordo dei chimici, per esempio, sono molto illuminanti:
congelamento degli aumenti retributivi e part time imposto ai senior vicini
alla pensione in cambio di una estensione della precarietà per chi verrà
assunto; nonché, deroghe a non finire al contratto nazionale. La Cgil per il
momento ha sospeso il giudizio e il segretario della Filctem-Cgil si è
addirittura dimesso dopo la firma. Insomma, siamo all’applicazione dell’accordo
del 28 giugno, articolo 8 (quello dettato dalla Fiat al ministro Sacconi)
compreso.
Monti si frega le mani, ovviamente. Non gli pare vero poter
“addottare” in pieno il modello Fabbrica Italia senza dover portare in giro
l’odiatissima faccia di Sergio Marchionne. Ora si apre una partita interessante
che vede al centro ancora una volta il sindacato, e la Cgil in particolare, da
una parte; e dall’altra alcune grosse crepe che si stanno aprendo nel fronte
imprenditoriale. Per il momento siamo alla rissa generale (come scrive Ettore
Livini su Repubblica). Monti l’ha capito ed è pronto a fare il punto di
riferimento per la ricerca di un nuovo equilibrio. La Cgil dovrà invece ancora
fare i conti con un fronte unitario letteralmente a pezzi. A lei decidere se il
quadro si può ricomporre inseguendo la Cisl sul suo terreno oppure se occorre
cambiare passo. In fin dei conti l’occasione c’è. Nei lunghi mesi che ci
separano dalle elezioni si potrebbero tornare ad agitare elementi di contenuto
che farebbero impallidire il nulla pneumatico delle segreterie dei partiti.
Quegli elementi concreti che riguardano la condizione materiale delle persone
che nessuno ha nai voluto prendere seriamente in considerazione.
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