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domenica 10 giugno 2012

La parola al lavoro", la Fiom incalza sinistra e centrosinistra

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“Un sindacato autonomo e indipendente ma non indifferente”. Parte da qui la foto di gruppo scattata nell’aula magna dell’hotel Parco dei Principi a Roma dove questa mattina si è svolto l’atteso confronto tra la Fiom e i partiti di sinistra e del centro-sinistra. Pd, Sel, Idv da una parte e Prc, Pdci, Alba dall’altra. Una foto che non finirà in nessun album di famiglia, sia chiaro, perché alla fine ci si lascia con uno stentato arrivederci.
Del resto è proprio la “non indifferenza” della Fiom all’articolo 18 e alla rappresentanza sindacale/democrazia a segnare l’incomunicabilità dei metalmeccanici con Pd e Sel. Certe cose, comunque, è meglio dirsele in faccia.
E da oggi il sindacato dei metalmeccanici avrà almeno la certezza di aver parlato chiaro. Può proseguire tranquillo sulla sua strada, quindi. E il leader Maurizio Landini chiudendo i lavori invita tutti alle giornate del 13, 14 e 15 giugno. Ci saranno un po' di mobilitazioni, naturalmente, e quegli accenti giusti per sottolineare che la battaglia contro la cosiddetta "Riforma del lavoro" ancora non è finita.
Partito della Fiom? A giudicare dai contenuti messi sul tavolo, sembra più che altro una Fiom che si dà tanto da fare. E non certo per esibire un improbabile protagonismo. E’ sempre la solita grande Fiom, che da più di un decennio ha deciso di difendere con le unghie e con i denti i diritti dei lavoratori. Questo sì. L’unico riferimento esplicito che ad un certo punto il leader Maurizio Landini fa è al sindacato delle origini quando insieme alla piattaforma generale veniva posto il problema del significato generale della lotta, ovvero della trasformazione della società.
Oggi c’è più che altro un sindacato che viene messo nell’angolo dalla politica, dagli imprenditori e dal governo. E quindi cerca, quasi per istinto, un modo efficace di difendersi.
Del resto, come sottolinea lo stesso Landini nell’introduzione l’offensiva non è certo di poco conto né, tanto meno, “tattica”. C’è una Fiat che sta facendo a pezzi la Costituzione della Repubblica italiana nell’indifferenza generale. C’è un sindacato che si sta facendo a pezzi da solo e sta cancellando oltre alle conquiste di questi anni il rapporto democratico con i lavoratori. C’è una crisi usando la quale si tenta di stravolgere la condizione del lavoro. C’è, infine, una colpevole mancanza di politica industriale che regala alle imprese la facoltà di inseguire il “profitto immediato” senza preoccuparsi di avere una visione di medio-lungo periodo. A tutto questo non basta opporre una piattaforma. Occorre mettere mano a un programma politico che spazi dalle pensioni alla riduzione dell’orario di lavoro, dalla lotta all’evasione alla patrimoniale passando per il reddito di cittadinanza e la scuola. Insomma, Landini la chiama “costruzione di un altro punto di vista”.
A preoccupare molto la Fiom è la mancanza della legge sulla rappresentanza. La vicenda della Fiat, basata sulla cooptazione delle sigle ha impresso una accelerazione senza precedenti alla trasformazione della natura del sindacato. Rischia di scomparire il principio base che tiene in piedi il rapporto con i lavoratori: poter contare attraverso il voto. “E’ da lì che parte l’unità sindacale – dice Landini – non da una alchimia politica”. Il Pd si guarda bene dal prendere un impegno certo. Pier Luigi Bersani, che risponde a Landini un po’ come quando si fa l’inventario delle cose da mettere in valigia per una lunga vacanza, parla di una “legge d’appoggio”. Che vorrà mai dire? Del resto non si sente in debito verso la chiarezza, nemmeno di fronte una platea di sindacalisti e di lavoratori. E i fischi, scatenatisi sull.’articolo 18, li prende anche un po’ per questo atteggiamento di superiorità. Tutto l’intervento è percorso dal solito leit motiv “questa è una fase di transizione e quindi dobbiamo badare a difendersi”.  E così tra un “punto di riflessione” sul meccanismo “solo contributivo” e la “nebbia della Fiat” ecco che guadagna l’uscita molto prima che finiscano gli interventi. Prima di Flores D’Arcais, che non si risparmia nulla. “Le risposte che traccheggiano – dice all’indirizzo del Pd – sono le peggiori”. D’Arcais, libero dalla politica, imbastisce un intervento che fa l’esatta fotografia della situazione: “La bestia nera per l’estabilishment si chiama Fiom”, dice. Da qui la necessità di “inventare uno strumento” di fronte al “No” totale del Pd. Una chiave, quella della critica al Pd, che sta al centro anche degli interventi di altri intellettuali, come Stefano Rodotà, applauditissimo, che mette sotto accusa l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Ma non di Mario Tronti – non a caso ripreso da Bersani – per cui è inutile starsela tanto a raccontare: il problema in questo momento è prendere il potere.
Chi entra parecchio in palla è il leader dell’Idv Antonio Di Pietro pronto a scaricare le pistole soprattutto contro Bersani, che a sua volta non gli nasconde un visibile fastidio. “Gli elettori non hanno bisogno di una foto (il riferimento è alla "foto di Vasto",ndr) ma di una proposta concreta, come ha detto Romano Prodi. Non vogliamo fare scelte suicide ma scelte di campo e chiederemo alla società civile, ai movimenti la forza di portare avanti le nostre idee”. “Perché devo votare Monti – aggiunge – se è una sobrietà che mi fa morire di fame?”.
La proposta del segretario del Pdci Oliviero Diliberto, che sottoscrive in pieno le parole di Landini, sembra un teorema: “Ritorniamo insieme - rivolgendosi a Vendola - facciamo un percorso unitario. E poi come soggetto unico negoziamo l'alleanza con il Pd”. Niki Vendola, a scanso di equivoci, si tiene ben distante. Il suo intervento, anche in questo caso fortemente “narrativo”, è uno slalom continuo largo rispetto ai temi spinosi e incredibilmente lento rispetto all’attualità. Parla di “agenda”, “coalizione di lavoro” e “buona partenza”, ma in quanto a prendere impegni preferisce rimandare a tempi migliori.
Paolo Ferrero, che parla subito dopo Landini, definisce quello della Fiom “un ottimo programma di governo”. “Un programma del genere lo firmerei subito – aggiunge -. Costruiamo un polo di sinistra attorno a questo progetto, e solo dopo un’unità del genere potremo decidere se e come fare delle alleanze”. Ferrero parla di mobilitazione unitaria e anche della possibilità di mettere in campo un referendum. Sul fiscal compact, che equivale al memorandum della Grecia, è sicuramente il caso di mettere in campo una “azione durissima”.

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