“Un sindacato autonomo e indipendente ma non indifferente”.
Parte da qui la foto di gruppo scattata nell’aula magna dell’hotel Parco dei
Principi a Roma dove questa mattina si è svolto l’atteso confronto tra la Fiom
e i partiti di sinistra e del centro-sinistra. Pd, Sel, Idv da una parte e Prc,
Pdci, Alba dall’altra. Una foto che non finirà in nessun album di famiglia, sia
chiaro, perché alla fine ci si lascia con uno stentato arrivederci.
Del resto è proprio la “non indifferenza” della Fiom
all’articolo 18 e alla rappresentanza sindacale/democrazia a segnare
l’incomunicabilità dei metalmeccanici con Pd e Sel. Certe cose, comunque, è
meglio dirsele in faccia.
E da oggi il sindacato dei metalmeccanici avrà almeno la
certezza di aver parlato chiaro. Può proseguire tranquillo sulla sua strada,
quindi. E il leader Maurizio Landini chiudendo i lavori invita tutti alle
giornate del 13, 14 e 15 giugno. Ci saranno un po' di mobilitazioni,
naturalmente, e quegli accenti giusti per sottolineare che la battaglia contro
la cosiddetta "Riforma del lavoro" ancora non è finita.
Partito della Fiom? A giudicare dai contenuti messi sul
tavolo, sembra più che altro una Fiom che si dà tanto da fare. E non certo per
esibire un improbabile protagonismo. E’ sempre la solita grande Fiom, che da
più di un decennio ha deciso di difendere con le unghie e con i denti i diritti
dei lavoratori. Questo sì. L’unico riferimento esplicito che ad un certo punto
il leader Maurizio Landini fa è al sindacato delle origini quando insieme alla
piattaforma generale veniva posto il problema del significato generale della
lotta, ovvero della trasformazione della società.
Oggi c’è più che altro un sindacato che viene messo
nell’angolo dalla politica, dagli imprenditori e dal governo. E quindi cerca,
quasi per istinto, un modo efficace di difendersi.
Del resto, come sottolinea lo stesso Landini
nell’introduzione l’offensiva non è certo di poco conto né, tanto meno,
“tattica”. C’è una Fiat che sta facendo a pezzi la Costituzione della
Repubblica italiana nell’indifferenza generale. C’è un sindacato che si sta
facendo a pezzi da solo e sta cancellando oltre alle conquiste di questi anni
il rapporto democratico con i lavoratori. C’è una crisi usando la quale si
tenta di stravolgere la condizione del lavoro. C’è, infine, una colpevole
mancanza di politica industriale che regala alle imprese la facoltà di
inseguire il “profitto immediato” senza preoccuparsi di avere una visione di
medio-lungo periodo. A tutto questo non basta opporre una piattaforma. Occorre
mettere mano a un programma politico che spazi dalle pensioni alla riduzione
dell’orario di lavoro, dalla lotta all’evasione alla patrimoniale passando per
il reddito di cittadinanza e la scuola. Insomma, Landini la chiama “costruzione
di un altro punto di vista”.
A preoccupare molto la Fiom è la mancanza della legge sulla
rappresentanza. La vicenda della Fiat, basata sulla cooptazione delle sigle ha
impresso una accelerazione senza precedenti alla trasformazione della natura
del sindacato. Rischia di scomparire il principio base che tiene in piedi il
rapporto con i lavoratori: poter contare attraverso il voto. “E’ da lì che
parte l’unità sindacale – dice Landini – non da una alchimia politica”. Il Pd
si guarda bene dal prendere un impegno certo. Pier Luigi Bersani, che risponde
a Landini un po’ come quando si fa l’inventario delle cose da mettere in
valigia per una lunga vacanza, parla di una “legge d’appoggio”. Che vorrà mai
dire? Del resto non si sente in debito verso la chiarezza, nemmeno di fronte
una platea di sindacalisti e di lavoratori. E i fischi, scatenatisi
sull.’articolo 18, li prende anche un po’ per questo atteggiamento di
superiorità. Tutto l’intervento è percorso dal solito leit motiv “questa è una
fase di transizione e quindi dobbiamo badare a difendersi”. E così tra un
“punto di riflessione” sul meccanismo “solo contributivo” e la “nebbia della
Fiat” ecco che guadagna l’uscita molto prima che finiscano gli interventi.
Prima di Flores D’Arcais, che non si risparmia nulla. “Le risposte che
traccheggiano – dice all’indirizzo del Pd – sono le peggiori”. D’Arcais, libero
dalla politica, imbastisce un intervento che fa l’esatta fotografia della
situazione: “La bestia nera per l’estabilishment si chiama Fiom”, dice. Da qui
la necessità di “inventare uno strumento” di fronte al “No” totale del Pd. Una
chiave, quella della critica al Pd, che sta al centro anche degli interventi di
altri intellettuali, come Stefano Rodotà, applauditissimo, che mette sotto
accusa l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Ma non di Mario
Tronti – non a caso ripreso da Bersani – per cui è inutile starsela tanto a
raccontare: il problema in questo momento è prendere il potere.
Chi entra parecchio in palla è il leader dell’Idv Antonio Di
Pietro pronto a scaricare le pistole soprattutto contro Bersani, che a sua volta
non gli nasconde un visibile fastidio. “Gli elettori non hanno bisogno di una
foto (il riferimento è alla "foto di Vasto",ndr) ma di una
proposta concreta, come ha detto Romano Prodi. Non vogliamo fare scelte suicide
ma scelte di campo e chiederemo alla società civile, ai movimenti la forza di
portare avanti le nostre idee”. “Perché devo votare Monti – aggiunge – se è una
sobrietà che mi fa morire di fame?”.
La proposta del segretario del Pdci Oliviero Diliberto, che
sottoscrive in pieno le parole di Landini, sembra un teorema: “Ritorniamo
insieme - rivolgendosi a Vendola - facciamo un percorso unitario. E poi come
soggetto unico negoziamo l'alleanza con il Pd”. Niki Vendola, a scanso di
equivoci, si tiene ben distante. Il suo intervento, anche in questo caso
fortemente “narrativo”, è uno slalom continuo largo rispetto ai temi spinosi e
incredibilmente lento rispetto all’attualità. Parla di “agenda”, “coalizione di
lavoro” e “buona partenza”, ma in quanto a prendere impegni preferisce
rimandare a tempi migliori.
Paolo Ferrero, che parla subito dopo Landini, definisce
quello della Fiom “un ottimo programma di governo”. “Un programma del genere lo
firmerei subito – aggiunge -. Costruiamo un polo di sinistra attorno a questo
progetto, e solo dopo un’unità del genere potremo decidere se e come fare delle
alleanze”. Ferrero parla di mobilitazione unitaria e anche della possibilità di
mettere in campo un referendum. Sul fiscal compact, che equivale al memorandum
della Grecia, è sicuramente il caso di mettere in campo una “azione durissima”.
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