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venerdì 14 ottobre 2011

Referendum su Ilva Riva ricorrerà davanti al giudice

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Come un spettro, il referendum sulla chiusura dell’Ilva aleggiava, ieri a Roma, sopra le teste di chi ha partecipato all’incontro tra il Gruppo Riva e i sindacati metalmeccanici: Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm. Il fantasma si è materializzato nelle parole dei dirigenti dello stabilimento siderurgico, quando hanno confermato il ricorso alla magistratura ordinaria per bloccare la consultazione proposta dal comitato ambientalista «Taranto futura». Dopo il via libera del Consiglio di Stato, due giorni fa, è tornata a galla una certa «ansia» in chi ritene le acciaerie tarantine strategiche per i propri destini d’impresa al punto da non poter immaginare né di fare a meno dello stabilimento né di ridimensionarlo, chiudendo l’area a caldo. Si aprirà un nuovo capitolo nella lunga querelle giudiziaria, prima davanti al giudice amministrativo, ora di fronte a quello ordinario, nella storia di un voto che finora sembrava doversi negare alla Storia, che suscita reazioni contrastanti, «stati emotivi» di cui il Gruppo Riva percepisce il peso, la densità, nel subconscio collettivo di tutti gli attori: la fabbrica e i lavoratori, la classe dirigente, la città. «È stato detto apertamente - ha dichiarato il segretario organizzativo della Fiom Cgil Stefano Sgobbio - che il referendum preoccupa.

I timori aziendali sono legati soprattutto a quella che potrebbe definirsi una spada di Damocle tale da condizionare l’andamento stesso delle attività lavorative», cioè l’ansia spasmodica del referendum sulla chiusura e il dibattito rovente che ne seguirebbe. Facile immaginare, di nuovo, Confindustria e sindacati (Cgil e Cisl) al fianco della causa anti-referendaria magari con un altro ricorso al giudice ordinario. «In realtà bisogna battersi - ha spiegato ancora Stefano Sgobbio - perché l’azienda acceleri sugli investimenti per l’eco-compatibilità degli impianti siderurgici previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Segnali positivi sono giunti dall’incontro. Gli interventi vanno anticipati. L’Ilva ha espresso il timore che lavorare diventi difficile di fronte a un’opinione pubblica che vuole la chiusura dello stabilimento».

Per il resto, l’incontro di ieri a Roma non ha riservato sorprese. L’azienda non farà ricorso alla cassa integrazione, almeno in questa fase, malgrado il mercato mondiale dell’acciaio sia di nuovo in flessione e gli effetti si stiano facendo sentire con una contrazione delle commesse. Due i punti critici analizzati dall’Ilva: la contingenza economica e la mancanza di liquidità finanziaria dei clienti. Il Gruppo Riva continuerà comunque a produrre superando il risultato dello scorso anno di 7 milioni circa di tonnellate di acciaio (a ottobre erano già 6 milioni e 450mila). Resta il campanello d’allarme, anzi la campana, suonata ieri e ascoltata dai sindacati. La fase di incertezza non risparmia la siderurgia tarantina, nella logica del mercato globale. Da oggi si torna a vivere alla giornata. Del doman non v’è certezza.

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